Questo veicolo si autodistruggerà in cinque secondi

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Non lascerei guidare la mia automobile da nessuno, figuriamoci se affiderei mai il volante a un computer

Non credo di esser l’unico a pensarla così e mi rendo conto di appartenere alla schiera di chi – a voler mutuare espressioni tipiche nel contesto dei trasporti – “viaggia contromano”. Il rischio non è solo quello di una collisione culturale: tutti sognano una self-drive o driverless car, e io continuo ad appassionarmi a romantiche vetture d’epoca, sentendomi in colpa quando – in trasferimenti “normali” di lavoro o piacere – adopero una moderna station wagon con il cambio automatico.

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Dopo aver duellato con chi mi sta restaurando la mia “nuova vecchia” spider, mi sono ricordato che ci possono essere problemi ben peggiori. Mi è venuta in mente un’intervista rilasciata due mesi fa da John Krafcik a due giornalisti del Financial Times. Krafcik chi? Prima che qualche lettore emuli Don Abbondio e rispolveri il “Carneade, chi era costui?” o qualcun altro – meno letterato e più videodipendente – esclami “Tatiana? Chi è Tatiana?”, come faceva Gabriele Cirilli sul palco di Zelig, spieghiamo che il tizio in questione è il “boss” del progetto Waymo. Come a poker, potrebbe esser necessario mostrare un’altra carta e – in questo caso – spiegare che Waymo è il programma industriale con cui Google ha previsto la realizzazione di auto senza conducente. Mister Krafcik ha rivelato che le Google-car resteranno “staccate” da Internet la maggior parte del loro tempo per evitare il rischio di essere hackerate e che il dialogo tra l’autovettura e il mondo digitale esterno sarà effettivo solo per i casi di necessità. Bene. Se una simile dichiarazione fosse uscita dalla bocca di uno dei tanti scettici, probabilmente sarebbero subito tuonate le invettive volte a incenerire il solito detrattore, ma proferita dal diretto interessato dovrebbe farci meditare. è proprio lui, infatti, ad aggiungere in proposito che le questioni riguardanti la cyber security «sono qualcosa che prendiamo molto, molto sul serio». L’atteggiamento prudenziale è più che giustificato.

Molte grandi case costruttrici di autovetture sono finite nel mirino di attacchi informatici e alcune incredibili dimostrazioni di vulnerabilità hanno fatto maturare la consapevolezza che il maggior contenuto di tecnologie sofisticate incrementa i rischi di “hackeraggio”. La sofisticata componentistica dei veicoli più evoluti costituisce il sistema nervoso del mezzo di trasporto mediante l’interconnessione tra dispositivi e “centralina”, ma al contempo offre un numero significativo di opportunità di indebito accesso alle funzionalità vitali da parte dei consueti immancabili malintenzionati. Il collegamento a Internet, per esempio, è la porta di ingresso per chi vuole prendere il controllo dell’auto e magari agire su sterzo o freni. Ne sanno qualcosa quelli di FCA, della Nissan e di altri marchi famosi. Due anni fa, una Jeep è stata oggetto di un vero e proprio dirottamento da remoto il cui video è rimbalzato in Rete sconvolgendo anche i più distratti.

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Chi è riuscito nell’impresa non ha dovuto fare acrobazie perché gli è bastato infiltrarsi nel sistema multimediale completo di Bluetooth e di lì circolare liberamente tra le mille funzioni che governano la guida, mettendo knock-out le apparecchiature per evitare le collisioni, per riconoscere automaticamente la segnaletica e le luci dei semafori, per fare le mille altre cose comandabili elettronicamente. Purtroppo, tutti considerano le performance dei pirati informatici solo simpatiche boutade. Nemmeno le recenti rivelazioni di WikiLeaks hanno saputo destare qualche legittima preoccupazione. Il fatto che la CIA abbia svolto ricerche e sperimentazioni di questo genere ha guadagnato qualche titolo sui giornali e dopo due giorni tutti se ne erano già dimenticati. Se può far sorridere l’eventualità di esser spiati dagli agenti segreti (che certo hanno di meglio da fare), spaventa che qualcuno (terrorista o criminale) possa utilizzare certi metodi per compiere un attentato sul modello della Promenade des Anglais a Nizza senza dover salire a bordo del veicolo assassino.