Cosa c’entra l’archivistica con l’informatica?

archivista

Qual è il ruolo dell’archivista nel tempo dei sistemi documentali digitali o, ancora e di frequente, “ibridi”? Cosa significa “cultura archivistica diffusa”? Proviamo a capire in questo intervento di Dario Altobelli Archivista senior della Ab-Archivibiblioteche, partner di Iws Consulting; Docente di Sociologia del Diritto presso l’Università Roma Tre, come le due cose siano non solo importanti, ma strettamente connesse!

Gian Antonio Stella, il noto editorialista del Corriere della Sera, ha di recente osservato che, per fare un giornale, per scrivere un buon articolo, occorrono gli archivi. Ai lettori che oggi chiamano i centralini delle redazioni dei vari quotidiani italiani, chiedendo di aiuto ai centri di documentazione: “Per favore, mi passa l’archivio?” Si risponde così: “Non abbiamo l’archivio! Per scrivere non serve mica un archivio! Tanto… c’è tutto su internet!” […] Una risposta che è pura follia: “figlia dell’idea balzana di certi manager” che non capiscono che per fare un giornale – e non solo un giornale, diciamo noi, ma anche, per esempio, per condurre un’azienda – occorre la memoria. Occorrono gli archivi![…] (“Tanto c’è tutto su Internet! Non è vero, occorrono gli archivi” di Gian Antonio Stella, pubblicato su 7 – settimanale del Corriere della Sera, del 8 marzo 2018).

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Quindi, davvero servono archivi, archivisti e cultura archivistica nell’epoca digitale, nel tempo di internet, nell’epoca dei social network?  Noi pensiamo proprio di sì!

  1. La figura professionale dell’archivista, oggi.

Dall’organizzazione delle modalità di lavoro alla relazione con l’utenza esterna o con un pubblico, dalle attese normative in termini di trasparenza, di tutela delle informazioni personali e di accesso agli atti alla centralità giuridico-probatoria delle registrazioni di protocollo, dalla predisposizione e aggiornamento degli strumenti archivistici alla corretta formazione dei documenti e sino alla loro affidabile conservazione nel tempo: questi, elencati in ordine sparso, sono solo alcuni tra i molteplici aspetti da considerare per comprendere come la funzione inerente alla gestione dei documenti e degli archivi richieda l’attività di personale qualificato e di professionisti per essere svolta adeguatamente.

Quando diciamo personale qualificato e professionisti della gestione documentale stiamo dicendo: archivisti!

L’insieme delle norme che regolano la gestione documentale per gli Enti pubblici italiani e lo standard UNI 11536: 2014 per la professione archivistica affermano, in modi diversi, l’indispensabilità di personale specializzato per la gestione documentale in ogni Organizzazione, sia pubblica che privata.

Se ciò non è possibile, buon senso vuole che almeno ci si affidi a qualificati servizi in outsourcing per tali finalità.

È da escludere, in ogni modo e senza deroghe, che tale funzione strategica e delicata sia affidata al caso, all’improvvisazione, alla buona volontà dei dipendenti – stile fai-da-te – o a personale professionalmente e culturalmente inadeguato.

Nell’opinione pubblica – ed anche in quella di molti archivisti! – l’archivista è inteso soprattutto come un professionista al quale è affidato il compito di custodire e valorizzare la documentazione di un Soggetto produttore, documentazione che sarà perlopiù su supporti cartacei. Corollari di questa immagine: l’archivista “ricostruisce” (ordina, inventaria, ricondiziona) complessi documentari compromessi per la loro consultazione e fruizione a causa di abbandono e trascuratezza protratti nel tempo da parte dei Soggetti produttori; l’archivista, un po’ come un bibliotecario, introduce studiosi o ricercatori ai patrimoni documentari e agli strumenti per la loro consultazione.

Leggi anche:  Arm si compra un prezzo di Raspberry Pi

Niente di più vero, ma anche niente di più parziale: ritenere ancora oggi che l’archivista rivesta quasi esclusivamente questo ruolo ne mortifica il complesso profilo di umanista e professionista e consolida frusti stereotipi.

Al di là di quanto previsto dall’ottimo standard UNI 11536: 2014, nella pratica quotidiana dell’“archivio in formazione”, questa figura professionale ha una preparazione solidamente edificata sulla dottrina archivistica, ma deve spaziare dalla dimensione giuridico-amministrativa a quella logico-matematica, dalla diplomatica all’informatica e alla sociologia delle organizzazioni, e oltre.

L’archivista che si occupa di documentazione corrente, il Records Manager come è chiamato nei paesi anglosassoni, assomma in sé molteplici competenze e conoscenze che, auspicabilmente, sa mettere a fattor comune con i colleghi dell’Ente presso cui lavora e, quando presente, all’interno di un servizio, ufficio, gruppo di lavoro o team multidisciplinare da lui coordinato e diretto per gli scopi e le finalità proprie della gestione documentale, che richiedono sempre un approccio inter-disciplinare.

  1. Che significa “cultura archivistica diffusa”?

Accanto a questa istanza che si configura nei termini di una vera e propria “best practice”, vi è la conseguente e correlata importanza di una cultura archivistica diffusa nell’Ente.

Per gli Enti pubblici il legislatore, in tempi ormai remoti, aveva intravisto la delicatezza di questo punto e la necessità di procedere “con l’attivazione di un capillare programma di sensibilizzazione e di formazione, che in questo contesto assume un rilevante significato culturale” (Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 ottobre 1999 – Gestione informatica dei flussi documentali nelle pubbliche amministrazioni).

La sensibilizzazione e la formazione, che chiaramente il legislatore non limitava specificamente alla scienza archivistica, erano l’ultima azione da intraprendere dopo le prime tre:

  • l’individuazione e la nomina tra i dirigenti e i funzionari in organico di un responsabile del protocollo informatico in possesso di idonei requisiti professionali o di professionalità tecnico-archivistica;
  • l’individuazione delle grandi aree organizzative omogenee nel cui ambito operasse un unico sistema di protocollo;
  • infine, la costituzione di una specifica struttura per la gestione del protocollo informatico (il ben noto, quanto tuttora largamente assente nelle Pubbliche Amministrazioni, “Servizio per la tenuta del protocollo informatico e la gestione dei flussi documentali e degli archivi”).

Non avendo le PA ottemperato in molti casi a nessuno dei primi tre obblighi, non sorprende che il quarto di essi, più sottile e raffinato e inerente alla “cultura”, sia caduto nell’oblio.

Dal nostro punto di vista, lo spunto normativo è, però, importante perché dimostra come il tema di una “sensibilità” nei confronti delle tematiche inerenti alla gestione documentale – tematiche da intendersi in senso proprio come culturali, tecniche, giuridiche, etc. – fosse un obiettivo di primo piano e non un requisito accessorio demandato alla buona volontà degli interpreti.

Leggi anche:  Shape your Vision | Be Engaged: «Trasformiamo il nostro passato in un futuro straordinario»

Si può anzi sostenere che una cultura archivistica diffusa è centrale, oggi come allora, per la buona riuscita di innovazioni nella gestione documentale di un Ente sia pubblico che privato.

Non se ne sente più molto parlare, ma è forse il caso di riprendere questo argomento con forza in tempi in cui il Piano Triennale 2017-2019 per l’informatica nella Pubblica Amministrazione deroga in modo preoccupante dai principi dell’archivistica e, quindi, anche dal fronte normativo più consolidato; e le versioni del D.Lgs. 82/2005 Codice dell’Amministrazione Digitale continuano a susseguirsi a ritmi serrati, perdendo sempre più di comprensibilità, coerenza e applicabilità.

Per cultura archivistica diffusa intendiamo, propriamente, l’insieme di alcuni elementi fondamentali necessari al personale di una Organizzazione, fra cui:

  • conoscenze di base della scienza archivistica: concetti e principi fondamentali; definizioni di documento, archivio, fascicolo etc.; principali strumenti archivistici; etc.
  • consapevolezza della rilevanza della gestione documentale con particolare attenzione ai profili implicati generali e di settore: amministrativi e giuridici, organizzativi e procedurali, fiscali ed economici, e così via;
  • conoscenze tecniche specifiche per lo svolgimento delle attività di lavoro: impiego degli strumenti archivistici e tecnologici; conoscenza delle procedure di competenza; etc.

Il raggiungimento di un livello accettabile di cultura archivistica diffusa è, in tutta evidenza, un obiettivo strategico verso cui indirizzare la cura di piani formativi adeguati e un risultato da difendere e mantenere nel tempo con appropriate modalità di aggiornamento e verifica delle conoscenze e competenze acquisite.

  1. Una cara, vecchia conoscenza: l’archivistica

Attenzione: facciamo riferimento alla nozione di “cultura archivistica diffusa”, e non ad una generica cultura della o sulla gestione documentale. L’espressone “gestione documentale” ricalca quelle anglosassoni di “document management” o “records management”: forme di “gestione” che rientrano necessariamente nel dominio della scienza archivistica.

L’archivistica deve guidare ogni attività sul fronte documentale perché è la sola a seguire alcuni principi fondamentali che non si smetterà di ripetere, fra cui:

  • il documento è sempre parte di una catena di altri documenti ai quali è legato da un vincolo;
  • il significato e il valore di un documento sono conferiti dai diversi “contesti” – giuridico-amministrativo, di provenienza, procedurale, documentale e tecnologico– del quale è parte integrante;
  • il documento e la catena di cui fa parte sono il riflesso di un’attività, il “precipitato” e la manifestazione dell’atto a partire dal quale sortiscono effetti esplicantesi su molteplici ambiti.

Da questo punto di vista, l’archivista ha sempre ben chiaro il focus sulla temporalità e sul ciclo di vita della documentazione e l’archivistica, particolarmente nell’ambito dell’archivio corrente, ha lo statuto di una scienza prima inter pares.

La prospettiva storica, che è parte del metodo archivistico come metodo scientifico, si declina nella gestione documentale corrente come sguardo prospettico sulla linea mobile dell’orizzonte degli eventi: capacità di prevedere, in qualche modo, gli esiti di una produzione documentale che professionisti di altri settori tendono a vedere unicamente secondo prospettive parcellizzate sia cronologicamente che funzionalmente, o ignorano del tutto, con i risultati che è possibile riscontare facilmente in qualsiasi Ente pubblico o privato: assenza di un controllo sulla produzione documentale; assenza di strumenti di gestione delle masse di documenti e dati; difficoltà se non impossibilità nel reperimento della documentazione e dell’informazione ricercate; elevati costi di gestione e tempi di lavoro dilatati da ridondanze procedurali; e molto altro che l’esperienza testimonia.

  1. Conclusioni
Leggi anche:  Mechinno sarà presente a FARETE 2023 di Bologna

Si comprende facilmente perché in una Organizzazione, sia pubblica che privata, alla figura di uno o più archivisti in organico, adeguatamente formati, competenti e capaci, debba sempre accompagnarsi una cultura archivistica diffusa fra i dipendenti. La promozione di tale cultura è in definitiva uno dei compiti propri dell’archivista di ogni organizzazione.

Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza di questo punto che costituisce uno dei requisiti più importanti per la migliore gestione documentale.

Solo se si afferma e si mantiene nel tempo una cultura archivistica, che si tradurrà in sensibilità condivisa per la corretta gestione documentale, è possibile ottenere quei risultati che danno atto dell’importanza dell’archivistica come moderna scienza della documentazione e dell’informazione in contesto.

Risultati anche in termini di risparmio economico: per fare solo un paio di esempi, i tempi di reperimento di informazioni e dati sono drasticamente ridotti grazie ad adeguati sistemi di classificazione e fascicolazione correttamente impiegati; gli spazi di conservazione sono razionalizzati e ottimizzati (sia in termini di metri lineari che di terabyte di memoria!) grazie a corretti e puntuali piani di conservazione della documentazione.

Inoltre, una cultura archivistica diffusa in una Organizzazione costituisce un presupposto non secondario per l’affermazione e il rispetto dei principi di democrazia, di trasparenza e di certezza degli atti dell’Organizzazione stessa sia nei confronti dei suoi utenti interni sia nei confronti di un’utenza (o clientela) esterna.

In questa prospettiva si comprende come, per esempio, la pubblicazione dell’elenco dei procedimenti amministrativi per gli Enti pubblici costituisca solo un aspetto – e diremmo l’esito e non il punto di partenza – di un fronte più ampio connesso alla centralità della gestione documentale. Lo stesso si dica per quanto riguarda l’adozione di strumenti di registrazione di protocollo a norma o rispetto alla pubblicazione degli atti rilevanti per i quali vi sono obblighi di pubblicità che, per motivi diversi che non occorre richiamare, interessano oggi sempre più anche le Organizzazioni private.

Per concludere, alle domande che ci siamo posti all’inizio possiamo rispondere in modo affermativo: nell’epoca digitale, l’archivista, o Records Manager, è il protagonista della gestione documentale e la diffusione di una cultura archivistica è un requisito indispensabile per l’efficacia e l’efficienza del sistema informativo dell’Organizzazione e del suo archivio.