Inaz racconta come cambia la remunerazione del lavoro

Dal baratto alla Industry 4.0: un libro realizzato nel settantennale dell’azienda traccia l’evoluzione del salarium sempre più legato allo sviluppo della tecnologia

Tutti conosciamo la storia del baratto o almeno la sua funzione. Un po’ meno chiara è la situazione di come siano cambiate le modalità di pagamento per beni e servizi, non solo negli ultimi secoli ma in tutta l’esistenza dell’uomo. A collegare le fila del mutamento del salarium è Inaz, azienda italiana specializzata nella consulenza e organizzazione del lavoro. Nel 2018 la compagnia compie 70 anni e una delle attività connesse a tale compleanno è stata la collaborazione per la stesura di un libro, Per una storia della retribuzione, scritto da Giuseppe De Luca, Matteo Landoni e Vera Zamagni ed edito da Edizioni del Mulino.

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70 anni di Inaz

In un quadro del genere il ruolo di Inaz è essenziale. In quanto soggetto attivo nel seguire i cambiamenti del lavoro nel nostro paese, l’aver supportato un’iniziativa del genere è più che lodevole: “Non esisteva, sino ad oggi, un’opera del genere- ha detto Linda Gilli, AD di Inaz – capace di restituire un quadro completo su come non solo  la remunerazione ma anche la contrattualistica, l’assistenza e il diritto alla professione siano diventati parte fondamentale del vivere quotidiano, un aspetto che ha seguito di pari passo l’evolversi della società stessa. Nel nostro 70esimo compleanno ci siamo fatti un grande regalo, rendere possibile un libro unico di cui si sentiva francamente la mancanza. Il 2018 però vuole essere un anno da ricordare ed è per questo che a settembre uscirà un docufilm, prodotto da Inaz, che analizza il lavoro sotto un altro aspetto, quello della risorsa. Il fattore umano: lo spirito del lavoro è nato grazie alla cura di Giacomo Gatti, regista docente e giornalista”.

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Comprendere come sia cambiato il modo di pagare il lavoratore vuol dire analizzare l’avvento di una serie di regole e norme che hanno standardizzato l’operato delle persone. A delineare una traccia di un simile e ampio contesto è Matteo Landoni: “Da sempre, sin dalla Bibbia, il tema lavoro è strettamente connesso alla redenzione dell’uomo. Da qui il famoso detto dell’attività professionale che nobilita, non solo nel senso materiale ma anche spirituale del termine. Quando la civiltà ha cominciato a organizzarsi a livello piramidale, sono cominciate a sorgere delle naturali richieste di garanzia, per assicurare un accesso quanto più inclusivo possibile alle varie categorie lavorative, pur distinte per classi e competenze. La massa è divenuta sempre più massa e la nascita di una responsabilità comune necessaria per regolamentare situazioni e ambiti differenti”.

Etica professionale

Ovviamente, protagonista della storia messa assieme da Inaz è il denaro. Ed è l’economista Giuseppe De Luca a spiegarne il perché: “L’uso della moneta è uno standard straordinario, perché introduce un’unità di misura uguale per tutti. Il soldo è il primo esempio di come la complessità della vita possa essere ridotta, almeno in parte, in un elemento condiviso. L’evoluzione e la stratificazione del denaro seguono la crescita dell’importanza del lavoro e l’affermazione di una classe dirigente impegnata a gestire la ricchezza non solo personale ma di un intero Stato. Spesso lo sottovalutiamo ma è la produttività a porre dei quesiti essenziali sullo scorrere del tempo, sull’individualità dell’uomo-operaio, sulla funzione della fabbrica e la divisione della sfera professionale da quella privata. Per una storia della retribuzione è uno stimolo per recuperare, all’interno del modello capitalistico, la vera essenza del lavoro che vive oggi contraddizioni molto forti, tra precarietà, giusta remunerazione e sfruttamento”.

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Tra robot e industrie

Ma un simile panorama come si ricongiunge alla società attuale? È Vera Zamagni a legare, tramite un lunghissimo filo storico, baratto e Industry 4.0. “Le rivoluzioni industriali hanno permesso la nascita di imprese di grandi dimensioni che, nel bene e nel male, sono divenute la causa della scomparsa del lavoro autonomo. Prima del motore a scoppio il dipendente era una figura inusuale, un’eccezione in un mondo che si basava ancora sull’imprenditorialità individuale. Evidentemente, ciò ha veicolato anche un certo cambio di passo da un rapporto committente/esecutore a uno tra azienda/singolo. Conseguenza della massificazione è la necessità di regolare su scala più vasta le professioni, allineando il salario per segmenti globali”.

E proprio la globalizzazione ha avuto un effetto diretto sulle remunerazioni, incrementando l’offerta ma pure il precariato e la dipendenza tra profitto e assunzioni. Ancora Zamagni: “Prendiamo ad esempio Wallmart, il più grande centro commerciale online e onsite che ha abbassato del 40% il prezzo dei prodotti in catalogo e, della stessa misura, lo stipendio del personale. A quel punto, il destino dei collaboratori è legato indissolubilmente all’acquisto, senza il quale non vi è possibilità di salario, dato che gli investimenti vengono dedicati allo sviluppo delle tecnologie ma non alle risorse umane. L’Industry 4.0 rischia di estremizzare ulteriormente i lati peggiori del contesto lavorativo odierno, in cui robot e macchine spingono verso una produzione illimitata e continuativa che, viste le ristrettezze economiche dei consumatori, deve costare meno perché inserita in un quadro in cui a farla da padrone sono la quantità e l’ottimizzazione senza compromessi. Insomma, la strada intrapresa non è delle migliori e il dibattito di Inaz mira proprio a questo: guardarsi indietro non per abbandonare la tecnica ma per riacquisire quel senso di umanesimo in grado di ridare al lavoro la dignità, la sicurezza e la nobiltà che ne hanno contraddistinto il passato.

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