Intelligenza artificiale. Istruzioni per l’uso

Consumatori italiani e aziende: il futuro è nell’Intelligenza artificiale

Il ruolo dei vendor per una corretta adozione. La vera sfida non è sviluppare l’intelligenza delle macchine, ma abilitare il collegamento tra intelligenza umana e potenziamento tecnologico. Evitando di commettere l’errore di pensare al futuro imprigionati dagli schemi del passato

Il gap tecnologico che finora non ci permetteva di parlare a cuor leggero di intelligenza artificiale è stato abbattuto. Sempre di più stiamo direzionando lo sviluppo di questi servizi verso la dotazione di capacità prescrittiva, ovvero la capacità di prendere decisioni in autonomia, mettendo in pratica delle azioni, verso la machine intelligence. L’AI inizia dai dati, ma non è una sfera di cristallo, un robot autocosciente, e neppure un perfect model prediction. L’AI risolve molte cose e crea qualche grattacapo. L’attenzione deve essere concentrata su quale sia il problema aziendale sottostante e capire come integrare l’intelligenza artificiale, proprio come qualsiasi altra tecnologia aziendale.

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Per evitare una bolla, sul modello ERP anni 90, i vendor devono concentrarsi su quello che le aziende utenti vogliono ottenere. Oggi, grazie al cloud, ai big data analytics e agli algoritmi di machine learning, le macchine possono eseguire compiti complessi che se eseguiti da un essere umano richiederebbero intelligenza. Solo quindici anni fa, era difficile prevedere lo sviluppo di queste tecnologie. Siamo di fronte a qualcosa di completamente nuovo. E non bisogna commettere l’errore di pensare al futuro imprigionati negli schemi del passato. Quando parliamo di intelligenza artificiale non dovremmo pensare tanto a un dispositivo – «quanto alla più grande riserva di capacità di problem solving (a costi accessibili) che l’umanità abbia mai conosciuto» – come afferma Luciano Floridi, professore di Filosofia ed Etica dell’Informazione all’Università di Oxford. Oggi, la tecnologia ci permette di disarticolare la capacità di essere “intelligenti” dalla capacità di svolgere un compito con successo. Ed è qui che sta la vera killer application. Ma il vero nocciolo della questione è come decideremo di usarla. Se utilizzeremo l’intelligenza artificiale solo per vendere un paio di scarpe in più, non solo avremo sprecato la straordinaria opportunità di capire di più il mondo, ma avremo commesso l’errore di adattare il nostro mondo all’ambiente operativo di una macchina, e non viceversa. E il costo per scelte non fatte o fatte male potrebbe essere altissimo.

L’AI È GIÀ IN MEZZO A NOI

La percezione diffusa è che l’intelligenza artificiale sia una “cosa” piuttosto che un’intelligenza incorporata in molti servizi e sistemi che già utilizziamo. Per esempio, ogni volta che interagiamo con le nostre piattaforme social preferite, c’è un algoritmo che accoppia la nostra esperienza d’uso con un motore di AI e decide quali post farci vedere. Alcuni tra i videogiochi più popolari impiegano l’intelligenza artificiale per creare situazioni sempre nuove e imprevedibili. Anche chatbot e assistenti virtuali sono alimentati dall’AI. Uber la incorpora per stimare i tempi di percorrenza. E Gmail impiega il machine learning contro lo spam. Molti internet provider utilizzano l’intelligenza artificiale per ridurre i consumi di energia elettrica nei data center. E in moltissime città, aeroporti e stazioni, i sistemi di sicurezza e controllo sono basati su potenti algoritmi di riconoscimento facciale. Nell’industria retail, l’AI viene utilizzata per prevedere i comportamenti di acquisto dei consumatori. E nel finance e nell’insurance per la prevenzione delle frodi. Anche gli assistenti di guida sulle smart car prendono decisioni, analizzando in tempo reale le informazioni che provengono dall’ambiente circostante. E l’AI è anche al centro dell’evoluzione della diagnostica medica e permetterà di ridisegnare l’intero modello di spesa della Sanità, pubblica e privata, che oggi incide per l’8,9% del prodotto interno lordo nazionale (dati I-Com).

L’AI PER DECIDERE

I sistemi di intelligenza artificiale sono sempre più utilizzati come supporto alle decisioni. Le imprese che decidono di adottare questi sistemi chiedono garanzie non solo di trasparenza ma anche di mantenimento del fattore competitivo. Secondo Confindustria Digitale, la trasformazione digitale può impattare di quasi il 10% sul fatturato delle PMI. Una leva di competitività strategica per l’Italia, che rappresenta la seconda manifattura d’Europa. Ma c’è molto da fare nella creazione di una nuova cultura dell’innovazione. Abbiamo individuato cinque fattori che possono influenzare positivamente la corretta adozione dell’AI da parte delle imprese: 1) le strategie di acquisto da parte dei decision-makers; 2) una chiara data strategy 3) i ruoli e le responsabilità chiaramente definiti; 4) l’innalzamento delle competenze; 5) e un offering da parte dei vendor basato su una logica di progetto step-by-step. In linea teorica, assistiamo alla nascita di nuovi ruoli di gestione, ma nella pratica c’è ancora confusione su come le nuove competenze debbano tradursi in termini di responsabilità all’interno delle organizzazioni per evitare di generare data silos e fallimenti dei progetti.

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UNA FORZA DIROMPENTE

L’intelligenza artificiale sta diventando una forza dirompente in tutti i settori. IDC definisce l’AI come un sistema che impara, ragiona e si auto-corregge. Nel 2018, la spesa mondiale per i sistemi di intelligenza artificiale ha raggiunto 24 miliardi di dollari con un aumento del 50,5 per cento rispetto al 2017. La spesa globale per l’intelligenza artificiale continuerà a registrare significativi investimenti da tutti i segmenti industriali nei prossimi anni. IDC (idcitalia.com) prevede un tasso di crescita annuale composto (CAGR) del 37,3% fino al 2022, quando la spesa supererà i 77 miliardi di dollari. Nelle imprese italiane, entro il 2019 la spesa per sistemi e piattaforme di intelligenza artificiale/cognitive crescerà a ritmi molto sostenuti: dai 17 milioni di euro previsti per il 2018, raggiungerà i 25 milioni di euro nel 2019 (Dati Assintel – IDC). Secondo Diego Pandolfi, research and consulting manager di IDC Italia – «le imprese italiane stanno guardando a queste tecnologie per sviluppare progetti di applicazioni e sistemi in grado di apprendere, adattarsi al contesto e fornire risposte sulla base delle informazioni elaborate in diversi ambiti operativi, a partire dall’industria e destinati a estendersi nell’area dei servizi».

IMPARARE A LAVORARE CON L’AI

L’AI trasforma un mondo di dati in un mondo di intelligenza diffusa, con un nuovo livello di interazione fra uomini e macchine. Il principale beneficio apportato dall’intelligenza artificiale è la possibilità di comprendere e sfruttare grandi quantità di dati, anche di tipo differente (strutturati e non), a supporto del business. «Grazie all’AI – spiega Fabio Moioli, direttore divisione Enterprise Services di Microsoft Italia – è ora possibile trasformare queste informazioni in intelligence azionabile per supportare più rapidamente e in modo più efficace i processi di decision making». Per esempio – le tecnologie basate sull’intelligenza artificiale possono migliorare sensibilmente la gestione delle informazioni, consentendo di ottenere vantaggi competitivi. «Tuttavia – avverte Moioli – sebbene i benefici dell’AI siano tangibili ed evidenti, il problema principale è la difficoltà riscontrata dalle aziende nel cambiare il proprio modo di operare». Per avere successo nell’adozione dell’intelligenza artificiale è quindi fondamentale concentrarsi su tre aspetti: «La strategia di business, la gestione del cambiamento e, infine, human intelligence e formazione».

In secondo luogo, è importante stabilire un fondamento etico che guidi lo sviluppo interdisciplinare e l’applicazione dell’intelligenza artificiale. «Considerando la crescente sofisticatezza e il ruolo sempre più pervasivo dell’AI nella società moderna – continua Moioli – le aziende devono sviluppare e adottare chiari principi che ne guidino l’utilizzo». In questa prospettiva, Microsoft ha dato vita a un comitato consultivo interno che ha l’incarico di assicurare che ogni prodotto segua principi quali imparzialità, affidabilità, sicurezza, privacy, inclusività, transparency e accountability. «Questi principi guida ci aiutano a garantire che i nostri tool di intelligenza artificiale e i nostri servizi siano di supporto ad aziende e persone aiutandole a realizzare il proprio potenziale» – spiega Moioli. «Quando si lavora con l’intelligenza artificiale, bisogna ricordare che non si tratta di una “battaglia” tra uomo e macchine, ma di una collaborazione virtuosa, che vede ciascuno eccellere in ambiti differenti. Dobbiamo imparare a lavorare con l’AI, coniugando la creatività, l’empatia, le emozioni e la capacità di giudizio che ci caratterizzano in quanto esseri umani con la velocità di calcolo e la possibilità di elaborare e comprendere grandi quantità di dati delle macchine, per aiutare il progresso della società, migliorando la qualità della vita».

LE SFIDE PER I CIO

Secondo Stefano Maio, country sales leader Big Data Analytics di Oracle Italia, le tecnologie di intelligenza artificiale e machine learning offrono enormi potenzialità. E presto, queste tecnologie che definiamo ancora “emergenti” entreranno in profondità in tutti i processi aziendali. Le aziende hanno chiari i problemi di business che devono affrontare, ma l’intelligenza artificiale non è una panacea universale: «È un ambito complesso, che richiede ingenti risorse e anche l’effettiva disponibilità di dati rilevanti da sfruttare, a prescindere dalla loro quantità». Il primo suggerimento per i CIO quindi è quello di fare una valutazione su due aspetti: «Da un lato valutare la capacità delle soluzioni AI – che si vorrebbero adottare – di semplificare e centralizzare la gestione dei progetti, per ottimizzare la possibilità dei sistemi di apprendere e creare valore crescente. Dall’altro capire se si può contare su dati che abbiano veramente la potenzialità di generare nuovi insight e indirizzare l’azienda verso scenari magari inaspettati ma sorprendenti, nella loro utilità – suggeriti proprio dall’accoppiata dati-AI». Detto questo, oggi la spinta all’innovazione arriva sempre più spesso dalle linee di business, sotto forma di necessità anche molto specifiche: migliorare il customer engagement, attuare una gestione del personale e dei talenti più personalizzata, aumentare la sicurezza. Il secondo suggerimento quindi per un’adozione corretta di questa intelligenza è quello di stabilire una stretta collaborazione tra le LoB, considerando l’intelligenza artificiale – «un patrimonio collettivo, un elemento da integrare intrinsecamente negli strumenti che le linee di business utilizzano».

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In questo senso, Oracle ha fatto una scelta ben precisa: «Tutte le nostre applicazioni as a service per le varie aree si stanno man mano trasformando, diventando applicazioni “intelligenti e adattive” che rendono disponibili le opportunità di machine learning e AI anche in modo molto granulare all’interno dei diversi processi. Infatti, l’interazione con macchine e sistemi basati su AI non può prescindere in nessun caso dal fattore umano». Ci sono però altri contesti in cui il machine learning è invece fondamentale proprio per liberare le risorse umane da compiti ripetitivi e per fare meglio dell’uomo – spiega Stefano Maio. È il caso per esempio della security del database. «La nostra proposta di autonomous database permette di disporre di sistemi che si autogestiscono, autoproteggono, autoaggiornano, riducendo i margini di errore e accelerando la capacità di innovare e trasformare il business». Un ultimo aspetto importante è quello che riguarda le competenze. «Per sfruttare pienamente le opportunità dell’intelligenza artificiale c’è bisogno di specialisti, che non sono semplici da trovare sul mercato del lavoro. È quindi molto importante sviluppare le competenze del personale tecnico e attuare strategie efficaci per attirare e trattenere i talenti del settore al proprio interno».

IL FUTURO DEL LAVORO

Nei prossimi anni, la sfida principale per le aziende sarà quella di riuscire ad adattare l’organizzazione, i processi, i modelli operativi e la gestione delle risorse per affrontare questo scenario in trasformazione. L’automazione e l’intelligenza artificiale (AI) stanno trasformando il business delle aziende di tutto il mondo e contribuiranno alla loro futura crescita economica. Queste tecnologie non solo permetteranno loro di cogliere nuove opportunità e fronteggiare le sempre più pressanti richieste dei clienti, ma trasformeranno la natura stessa del lavoro e dei luoghi da dove ci connetteremo.

Le previsioni sono molto polarizzate. Secondo gli analisti, a livello di economia globale, l’aumento della produttività generato dall’automazione porterà a una crescita generalizzata del sistema, e in alcuni paesi come l’Italia, permetterà anche di colmare lo squilibrio dovuto alla progressiva riduzione della popolazione in età lavorativa, causata dall’invecchiamento demografico. Attualmente, solo il 5% circa delle occupazioni potrebbe essere completamente automatizzato con le tecnologie disponibili. Molti lavori, infatti, comportano compiti che possono essere automatizzati solo in parte o altri completamente non automatizzabili. Ma in prospettiva, da qui al 2030, McKinsey prevede che circa il 30% delle attività relative al 60% di tutte le occupazioni potrebbe essere automatizzato, ma in ogni caso tutte le occupazioni saranno influenzate dall’automazione dei processi.

NUOVI MODELLI

Le parole automazione e intelligenza artificiale suscitano timori come la disoccupazione di massa, l’aumento delle disuguaglianze e l’avvento di un mondo dove gli esseri umani verranno sempre più sostituiti dai robot. È indubbio che l’automazione e l’intelligenza artificiale diano vita a nuove opportunità, ma creino al tempo stesso grandi sfide. Un po’ com’è stato per le rivoluzioni industriali che l’hanno preceduta. Anche la cosiddetta quarta rivoluzione industriale racchiude in sé grandi potenzialità, ma occorre prendere subito le decisioni giuste, in ambito imprenditoriale e politico, e adottare un nuovo approccio alla formazione e al lavoro. L’intelligenza artificiale è una grande opportunità per innovare il modo di fare impresa ma anche di essere impresa. Non si tratta soltanto di sostituire le attività ripetitive. Dobbiamo puntare a cambiare il modello di sviluppo, mettendo le persone al centro. Se pensiamo che le macchine prenderanno il posto delle persone, l’intelligenza artificiale sarà percepita come una minaccia. Se pensiamo che le macchine potenzieranno le capacità delle persone, allora l’intelligenza artificiale rappresenterà un acceleratore dello sviluppo umano non solo della crescita economica.

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ABBATTERE I PREGIUDIZI

Avvalersi dell’AI per consolidare non per sostituire, giocare d’anticipo, essere trasparenti e creare fiducia, sono i fattori decisivi che caratterizzano una corretta adozione dell’intelligenza artificiale da parte dei manager che guidano l’innovazione all’interno delle loro organizzazioni. Uno dei più grandi malintesi legati all’intelligenza artificiale è proprio la paura che questo tipo di tecnologia possa sostituirsi ai lavoratori in carne e ossa. In realtà, l’AI rimuoverà le attività automatizzate e di routine in tutti i settori, ma come evidenziano i dati Salesforce, il 76% dei team di lavoro che già si avvalgono di soluzioni di intelligenza artificiale ha in realtà aumentato i livelli di personale negli ultimi tre anni. Non solo, Gartner prevede anche che entro il 2020, l’AI creerà 2,3 milioni di posti di lavoro andando a eliminarne 1,8 milioni, ma creandone altri 2 milioni entro il 2025. «In termini concreti – chiarisce Nicola Lalla, senior director Solution Engineering di Salesforce – l’AI non può di fatto sostituire un venditore durante una riunione con un cliente o prendere decisioni chiave per strutturare un nuovo accordo commerciale ma ciò che può fare, è aiutare le aziende a conoscere meglio i propri clienti e persino a suggerire soluzioni per rendere il proprio business più efficace sulla base di dati e risultati precedenti. D’altra parte stiamo parlando di grandi moli di dati impossibili da analizzare manualmente e ben sappiamo che i dati acquisiscono valore solo nel momento in cui vengono analizzati e si riescono a sintetizzare».

GIOCARE D’ANTICIPO

Non c’è dubbio che l’intelligenza artificiale stia sconvolgendo le logiche del lavoro, ma allo stato attuale ancora molto deve essere fatto perché le aziende possano sfruttarne appieno il potenziale. Secondo una ricerca di Salesforce e Harvard Business Review, solo il 37% delle aziende utilizza i dati dei clienti per prevedere o anticipare le loro esigenze. In poche parole – spiega Nicola Lalla – «coloro che cominceranno per primi a sfruttare l’intelligenza artificiale avranno una conoscenza più approfondita e intima dei propri clienti e quindi migliori relazioni volte alla fidelizzazione con la conseguenza di ottenere migliori risultati».

CREARE FIDUCIA

Quando si adottano soluzioni di intelligenza artificiale, è fondamentale sviluppare una cultura della fiducia. I dati del report di Salesforce The State of the Connected Customer sottolineano che il 59% dei clienti è favorevole alle aziende che utilizzano l’intelligenza artificiale per migliorare le esperienze dei propri clienti. «Di conseguenza – mette in evidenza Nicola Lalla – le aziende avranno dati attendibili e riusciranno a migliorare le relazioni con i propri clienti rafforzandone la fiducia. Tuttavia, in seguito agli episodi di violazione dei dati personali degli utenti, non stupisce che il 57% dei clienti dichiari di sentirsi a disagio nel modo in cui le aziende utilizzano le proprie informazioni. Non a caso, Salesforce sin dall’inizio ha posto la parola “trust” come valore imprescindibile, che si traduce nella trasparenza sulle misure di sicurezza messe in atto per salvaguardare i dati dei propri clienti e dei clienti dei propri clienti potenziate attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale».