Digital first, anytime-anywhere e green. Dieci vendor IT tracciano la road map per il 2021. L’impegno dei fornitori di tecnologie per supportare la trasformazione digitale delle imprese italiane. Una nuova alleanza per far ripartire il Paese con l’energia dell’innovazione e la creatività delle persone

La crisi mette a nudo la capacità delle persone e delle imprese di resistere e reagire al cambiamento. La lezione non è per tutti la stessa. Il cambiamento è possibile e abbiamo gli strumenti per realizzarlo. Calamità naturali, emergenze sanitarie, crisi sociali, incidenti e attacchi informatici sono una costante di rischio con cui le imprese hanno imparato a fare i conti anche per le conseguenze dirette o indirette sull’IT. Eppure, nonostante il business globale di vario grado, industry e dimensione fosse in gran parte preparato ad affrontare blocchi di sistema, la pandemia ha rimesso tutto in discussione, aumentando la capacità di reazione e accelerando molti dei flussi di rinnovamento e digitalizzazione già in atto.

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L’attuale emergenza ha evidenziato, a più livelli, il ruolo cruciale dell’information technology per la continuità del business aziendale. Secondo recenti rilevazioni di IDC, il 54% delle imprese europee si è detto in questo momento intenzionato ad aumentare gli investimenti tecnologici per consentire l’accesso remoto sicuro ai propri dati e alle proprie applicazioni. La stessa IDC si aspetta che un’azienda su due faccia lo stesso per gli ambienti di lavoro virtuali. L’economia nella cosiddetta “nuova normalità” richiede alle organizzazioni di operare in maniera diversa, organizzando team agili e molto più riconfigurabili, in grado di adattarsi rapidamente alle esigenze e ai nuovi requisiti di mercato. Tali necessità hanno però messo a nudo tante carenze, soprattutto quando la forza lavoro è stata declinata, per forza di cose, su un piano remoto. Il paradosso, spauracchio per molti, del lavoratore che a casa avrebbe prodotto di meno, si è invece realizzato in utenti pronti a dare il meglio di sé ma privi di quelle applicazioni strutturali e infrastrutturali idonee a svolgere correttamente e proficuamente i propri compiti.

Certo è che abbattere le ramificate barriere tecnologiche, organizzative e culturali non è semplice. Ad aiutare le imprese in questa trasformazione, un ruolo molto importante lo stanno svolgendo i vendor di vario genere e settore – dalla collaborazione alla sicurezza informatica, passando per la gestione intelligente della supply chain a quella di un’identità sempre più labile, senza perimetri territoriali ben precisi, mai come oggi liquida e onnipresente. «Il periodo di pandemia che stiamo attraversando anziché creare nuovi comportamenti, ha essenzialmente accelerato dei trend preesistenti» – spiega Ombretta Fornari, technical director della Business Unit Retail di Axians Italia. «Abbiamo assistito e assisteremo nei prossimi mesi all’accelerazione in tutti gli ambiti della trasformazione digitale, che avrà nel corso del 2021 un ulteriore consolidamento in termini di innovazione ed evoluzione sia a livello di processo e di organizzazione sia a livello di interazione con il target finale». Soprattutto in ambito retail – continua Ombretta Fornari – le aziende e i fornitori di soluzioni tecnologiche dovranno riporre particolare attenzione alle richieste e alle esigenze dei consumatori per essere pronti ad agire in maniera agile. Fondamentale, per le aziende e per i fornitori di soluzioni innovative, non sottovalutare l’incertezza che ci aspetta, gli scenari che cambiano quotidianamente e soprattutto le nuove opportunità che si presentano».

LA SFIDA È AUTOMATIZZARE

Nonostante la crisi globale, la corsa verso la digitalizzazione prosegue inesorabile. Entro il 2022, sulle piattaforme digitali passerà il 65% del PIL mondiale, il cui incremento sarà conseguenza degli investimenti per la trasformazione digitale diretta (DX), che continuano a crescere a un tasso annuale (CAGR) del 15,5%, avvicinandosi a 6,8 trilioni di dollari man mano che le aziende diventando imprese digitali su larga scala. «E il 41% di quella spesa IT è correlata al cloud» – afferma Fabio Rizzotto, associate VP, head of Research and Consulting di IDC Italia. «Tuttavia, per diventare “Future Enterprise” c’è molto lavoro da fare. Tanti leader tecnologici hanno elogiato le loro organizzazioni per gli sforzi nel mantenere la continuità durante il periodo della pandemia. Pertanto, la prima serie di investimenti tecnologici riguarderà quelli che colmano il divario nella trasformazione digitale di un’azienda». Secondo una recente survey di IDC – il 42% delle organizzazioni globali dovrà lavorare “di riparazione”, per garantire la piena conformità con le politiche di privacy e sicurezza, o per essere integrate con altri sistemi, un’operazione essenziale per andare avanti con il percorso verso la DX. Ma quali effetti del Covid-19 ci porteremo dietro anche nel 2021 in termini di impatto sul business, sul lavoro e l’utilizzo delle tecnologie? Secondo IDC, il primo impatto sarà sulla trasformazione del lavoro, con una crescita delle modalità “ibride”. Nel recente passato, quando si parlava di “work from home”, le organizzazioni contavano in media su una percentuale del 14% della forza lavoro.

Oggi, quella percentuale è salita al 45%. «I lavoratori remoti – continua Rizzotto – non possono tornare a essere cittadini di seconda classe dal punto di vista della produttività e della connettività, pertanto si prevede che entro il 2023, il 75% delle aziende G2000, secondo la classifica annuale di Forbes, si impegnerà a fornire parità tecnica a una forza lavoro ibrida per progettazione piuttosto che per circostanza, consentendo loro di lavorare insieme separatamente e in tempo reale». Il secondo grande imperativo per le organizzazioni – spiega Rizzotto – «sarà focalizzato sulla progettazione per le nuove esigenze dei consumatori, con le esperienze contactless che faranno sentire gli utenti più sicuri. IDC prevede che nel 2021 i team ridisegneranno le priorità per almeno il 40% delle loro attività di sviluppo, concentrandosi su design e interfaccia utente, così da supportare l’automazione dei processi».

La terza mega tendenza che avrà un impatto nel 2021 sarà l’automazione. «La pandemia ha accelerato le iniziative di automazione e continuerà a farlo – afferma Rizzotto – perché ha dimostrato come alcune attività non possono essere svolte su larga scala senza la tecnologia». IDC stima che entro il 2022, il 45% delle attività lavorative ripetitive sarà automatizzato o potenziato utilizzando “collaboratori digitali”, basati su intelligenza artificiale, robotica e RPA. Secondo Fabio Rizzotto – ci sarà anche una crescente “automazione delle operazioni” soprattutto nei settori industriali. «Le intersezioni tra diversi gruppi ICT – per esempio, SP di comunicazione e SP cloud, ISV specifici del settore e SP cloud, fornitori di IT e OT – “costringeranno” l’IT ad adattare e rivalutare continuamente le relazioni e le priorità con il fornitore, spesso legate a relazioni tra le aziende ICT, per eseguire al meglio le strategie digitali per l’implementazione delle risorse e per operazioni IT autonome». Sempre secondo gli analisti di IDC, gli investimenti tecnologici e le decisioni relative alle operazioni IT nei prossimi tre anni saranno subordinati al raggiungimento di uno (o più) degli obiettivi di resilienza, riassunti nella necessità di reagire alle sfide IT e di business più urgenti con il minimo attrito possibile; di recuperare il dissesto finanziario adottando nuovi approcci ai sistemi informativi e ai data center in grado di ridurre il costo delle operazioni a lungo termine; e di adottare nuove tecnologie, modelli di implementazione e pratiche operative per scongiurare altri blocchi di sistema.

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STRESS TEST PER LA RESILIENZA

Del resto, questa pandemia rappresenta un enorme “stress test” per il sistema. «Ha fatto emergere ciò che era solido e ciò che non lo era» – sottolinea Edward Abbiati, direttore marketing di Engineering. «È stata anche un acceleratore di vari trend trasformativi. E se da una parte ha messo in sofferenza ciò che era già fragile, dall’altra ha velocizzato trend nascenti: sia tecnologici, come la trasformazione digitale, il cloud e la cybersecurity, che etici, come la sostenibilità e la responsabilità sociale delle organizzazioni. Il Covid-19 ha mostrato chiaramente che la digitalizzazione non è più solo un’opzione, ma è vitale. E nel nostro settore, è tornata in cima alla lista delle cose da fare. Si dice che la tecnologia non risolva problemi, ma senza tecnologia non potremmo risolvere nessuno dei problemi che stiamo affrontando. Come Engineering, in pochissimi giorni abbiamo abilitato 12mila persone a lavorare da casa, aiutando anche i nostri clienti a rimanere operativi. Abbiamo assistito a una grande spinta verso il cloud, elemento fondante della digital transformation, che ha permesso alle aziende, nei mesi più difficili, di tenere i “motori” sempre accessi e di cominciare a evolversi verso nuovi paradigmi, a partire dalle tecnologie di digital workplace e i tool di collaborazione. La gestione, elaborazione e valorizzazione dei dati sono diventate essenziali, anche per combattere la pandemia. Ma aumentare la digitalizzazione significa anche gestire l’aumento dei rischi. E la cybersecurity, già importante prima di questa crisi, ha fatto un enorme balzo in avanti. La crisi ci sta dimostrando quanto tutti avessimo sottostimato la nostra capacità di cambiare. Ma con la consapevolezza che il cambiamento è realizzabile e le tecnologie a supporto ci sono, la sfida non sarà riparare quello che si è rotto, ma costruire in maniera diversa, migliore».

Stando a una recente indagine di Microsoft, il numero di imprese italiane che hanno adottato modelli flessibili di lavoro è aumentato in modo esponenziale in seguito allo scoppio dell’emergenza sanitaria, passando dal 15% dello scorso anno al 77% del 2020. I manager intervistati credono che il 66% dei propri dipendenti continuerà a lavorare da remoto almeno un giorno a settimana. Questa “nuova normalità” – «ha portato significativi benefici in termini di produttività ed efficienza ma ha altresì posto delle sfide relativamente alla possibilità di socializzare con i colleghi e di condividere esperienze e informazioni» – conferma Luba Manolova, direttore della divisione Microsoft 365 di Microsoft Italia. Infatti, gli intervistati hanno dichiarato di sentirsi meno legati ai colleghi, di avere difficoltà a delegare in modo efficace, a supportare i team virtuali e a promuovere una forte cultura di squadra. «Questo senso di isolamento – continua Luba Manolova – rischia di inibire la condivisione di idee e di ridurre la capacità di innovazione delle aziende. Rispetto allo scorso anno è stato registrato un calo sensibile nel numero di manager che dichiarano che la propria azienda possiede una cultura innovativa, passando dal 40% nel 2019 al 30% nel 2020. Inoltre, è diminuita anche la percezione dell’innovazione di prodotti e servizi, che è passata dal 56% nel 2019 al 47% nel 2020. In questo contesto, la principale sfida per le imprese – e per il dipartimento HR in particolare – è proprio promuovere una cultura di squadra anche in digitale, fornire gli adeguati strumenti tecnologici e formare i dipendenti affinché possano sfruttare appieno tutte le funzionalità a disposizione. Grazie a strumenti innovativi basati sul cloud, come Microsoft Teams, è infatti possibile collaborare agilmente e in tutta sicurezza anche a distanza, condividere informazioni, lavorare contemporaneamente sugli stessi documenti e comunicare con i propri colleghi, superando anche ostacoli come la differenza linguistica, la dislessia o altre difficoltà di lettura».

PERIMETRO ESTESO E PROTETTO

Ma bastano soluzioni software per dirsi davvero inseriti nel mood della nuova era del digitale? Purtroppo no, visto che non sempre le aziende, indipendentemente dalle loro dimensioni, hanno saputo adottare un approccio architetturale adeguato in grado di accelerare la semplificazione dell’operatività senza sacrificare la sicurezza complessiva dei sistemi. Per Andrea Negroni, country leader Cybersecurity di Cisco Italia – è necessario orchestrare e automatizzare le risorse di cybersecurity al fine di migliorare non solo la protezione, ma anche la visibilità e la reattività. «Altro elemento, sempre più rilevante – continua Negroni – è quello legato all’accesso e controllo di applicazioni, dati e servizi che, in un contesto IT in continua evoluzione, possono essere erogate sia dai data center aziendali che dal cloud. Il modello Zero Trust mette come uno dei punti cardine la verifica continua dell’identità degli utenti, migliorando il controllo e la visibilità sull’utilizzo delle risorse aziendali indipendentemente dal punto di accesso, all’interno del network aziendale oppure a casa o in un aeroporto». Il perimetro aziendale cambia in modo profondo, diventando sempre di più indefinito ed esteso. «I responsabili di sicurezza – spiega Negroni – dovranno tenere sotto controllo una rete i cui confini cambiano quotidianamente gestendo con risorse, spesso limitate, un numero sempre crescente di piattaforme spesso poco integrabili tra di loro: la cosiddetta cyber fatigue».

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Insomma, la forza lavoro “aumentata” era già un trend in crescita ma, con il Covid-19, c’è stata un’impennata. Lo sa molto bene Danny Allan, CTO e senior VP of Product Strategy di Veeam che ricorda come molte aziende estenderanno fino a metà dell’anno prossimo la possibilità di lavorare a distanza e, per tale motivo, l’utilizzo di piattaforme come Microsoft Teams e Slack, non potrà che incrementare. «Ciò significa – continua Allan – che crescerà l’esigenza di sfruttare la potenza del cloud per archiviare l’enorme afflusso di dati dalle piattaforme di collaborazione. Nel 2021, ciò porterà a una maggiore attenzione, consapevolezza ed esigenza di protezione e gestione dei dati dei software di collaborazione. La componente hardware è in declino e sarà sempre più soppiantata da modelli software-defined. Le appliance perderanno di interesse man mano che si passerà a modelli software-defined. Dieci anni fa, proprio le appliance hanno rappresentato il “giocattolo” su cui tutti non vedevano l’ora di mettere le mani, tuttavia non hanno avuto la forza necessaria per rimanere tanto quanto era stato predetto. Abbiamo infatti ben presto assistito a un cambio di tendenza verso il backup-as-a-service. Con la pandemia – spiega  Allan – il lavoro a distanza ha avuto un impatto sulla modalità di gestione della componente hardware rispetto al 2020 e ciò continuerà nel 2021, quando i modelli software-defined saranno centrali». Non solo. Secondo Danny Allan di Veeam, il machine learning si democratizzerà nel cloud intorno ai dati. «Le aziende si stanno già rendendo conto delle infinite opportunità derivanti dai dati a loro disposizione. Ecco perché il riutilizzo dei dati sarà un importante trend per le aziende nel corso del 2021, e molte di esse sfrutteranno la potenza del machine learning per poter trarne il maggior beneficio. Tutto ciò è ancora in una fase emergente, tuttavia, la sua adozione aumenterà man mano che le aziende si renderanno conto dell’estrema utilità nell’analizzare e riutilizzare i dati che già possiedono. Sfruttando il machine learning nel cloud, le aziende diventeranno più intelligenti».

UN CAMBIO DI STRATEGIA

Gli ultimi mesi ci hanno segnato profondamente e hanno segnato, in maniera indelebile, processi e flussi di business sia per quanto riguarda i servizi che i prodotti, richiedendo un cambio strategico, nuovi investimenti e focus su ambiti particolari, probabilmente poco considerati in precedenza. Ma dal punto di vista dell’innovazione tecnologica, concreta e “tangibile”, cosa ci porteremo dietro nel 2021?

La tecnologia è un alleato essenziale per rallentare la diffusione del virus, gestire la crisi e mitigarne le conseguenze – spiega Pedro Garcia, amministratore delegato di Minsait in Italia. «Per affrontare alcune sfide, come la modernizzazione delle infrastrutture tecnologiche, le aziende e le istituzioni italiane devono puntare su cinque tendenze principali: serverless computing, intelligenza artificiale, fine del data center proprietario, edge computing e infrastruttura globale. Ma già adesso tecnologie come l’analisi dei dati e l’intelligenza artificiale si sono mostrate determinanti in vari settori, ad esempio per affrontare le priorità in ambito sanitario».

Secondo Marco Di Luzio, chief marketing officer di InfoCert – Tinexta Group, i mesi di lockdown non hanno fatto altro che accelerare quella trasformazione digitale che negli ultimi anni rappresentava già un trend in crescita. «Soluzioni di “digital trust” sono state adottate in modo pervasivo sia da professionisti sia da imprese a garanzia della continuità operativa delle loro attività, generando innovazione a vari livelli. Siamo convinti che tale processo di trasformazione digitale non si fermerà anzi, si rafforzerà e proseguirà. Prendiamo due strumenti che si sono ampiamente diffusi in questi mesi: l’identità digitale SPID, indispensabile per accedere alle misure di sostegno, o ai tanti portali della Pubblica Amministrazione, e la Posta Elettronica Certificata (PEC), che nel 2020 ha raggiunto i quasi 16 milioni di caselle PEC attive, con più di 3 miliardi di messaggi scambiati a livello paese. Nel 2021, il numero di identità digitali crescerà ulteriormente, superando di molto le 12 milioni attuali, innescando un circolo virtuoso destinato ad autoalimentarsi, come dimostra la decisione dell’INPS di consentire l’accesso degli utenti ai propri servizi online esclusivamente tramite SPID. Una forte spinta alla diffusione della PEC verrà invece dall’introduzione dell’e-Delivery eIDAS, che assocerà alla PEC una Firma Elettronica Qualificata con riconoscimento della persona. Stiamo vivendo uno scatto irreversibile di maturità del mercato, che difficilmente rinuncerà a innovazioni che hanno portato benefici tangibili. Anzi, prevediamo che molte realtà sfrutteranno l’occasione per andare oltre l’adozione del singolo strumento e ripenseranno strategicamente i propri processi organizzativi in ottica digital first, anytime-anywhere, remote e green».

Pare sia cresciuta quella consapevolezza che investire nella trasformazione digitale non sia solo una voce di costo ma un passo doveroso per continuare a esistere come azienda. «Fatto il passo non si torna indietro, per lo meno dal punto di vista della trasformazione» – afferma Marco Pasculli, managing director di NFON Italia. «Il 2020 verrà ricordato come l’anno dell’emergenza, il periodo che ha costretto le aziende che non lo avevano già fatto, a fornire strumenti innovativi ai propri collaboratori per lavorare lontano dalla sede di lavoro. Mi auguro che gli imprenditori e i manager delle imprese italiane non tornino al passato – spiega Pasculli – ma che si facciano carico delle esperienze vissute per continuare il proprio processo di digitalizzazione. L’accesso online in qualunque luogo dei documenti aziendali e la loro relativa gestione ha aumentato la conoscenza e l’utilizzo di tali strumenti. Per molte imprese, i mesi passati hanno insegnato a lavorare diversamente, a scoprire il digitale. Domani come oggi – continua Pasculli – gli investimenti migliori andranno nella direzione di strumenti flessibili e che possono essere ridimensionati (a crescere e a decrescere), in un istante. Abbiamo maturato che le nostre aziende si devono concentrare sul proprio business e non investire in strumenti da gestire, aggiornare e manutenere in proprio. Ed è il cloud ad aver cambiato le regole del gioco. E guardando al domani, la concentrazione di dati e processi in cloud consentirà anche un’economia più green. I data center sono dimensionati per occupare capacità computazionali senza sprechi e ogni elemento è progettato per consumare meno energia possibile».

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IL CONTATTO CON IL CLIENTE

Il calo generalizzato dei ricavi conferma anche un cambiamento dei comportamenti e degli stili di acquisto. Il mercato digitale, che pur con il rimbalzo registrato non potrà assorbire tutte le perdite, rappresenta al momento la “exit strategy”. Come ne uscirà ridisegnato il B2C? «Sarà necessario ridisegnare gli spazi fisici di contatto con il cliente, siano essi destinati alla vendita nella versione più classica ma anche nella modalità digitale e automatica» – ribadisce Ombretta Fornari di Axians Italia. «In Italia, stiamo lavorando per selezionare continuamente le tecnologie emergenti che vanno in questa direzione e che garantiscano affidabilità e sostenibilità. La digital transformation ha indotto le aziende a raccogliere, gestire e conservare quantità di dati enormi rispetto al passato. Accanto alle soluzioni tecnologiche che possiamo proporre per la conservazione, fruizione e protezione del dato, assumono oggi particolare importanza le tecnologie automatizzate per consentire l’analisi in tempo reale dei flussi di dati, legate al concetto di DataOps. Questa modifica radicalmente l’approccio alla gestione delle informazioni all’interno delle aziende, introducendo agilità, analisi predittive, con una logica di self-service».

Lo stesso ambito della customer experience si evolve verso i concetti empathy e intimacy. Il cliente (nella vista unificata dei suoi vari profili) è l’unico canale che conta. Con quali conseguenze?

«I concetti di “empathy” e “intimacy” affascinano, ma rendono necessaria una sana riflessione sui limiti epistemologici di una loro effettiva raggiungibilità» – spiega Andrea Zinno, data evangelist di Denodo. «In un mondo digitale, possiamo profilare gli utenti osservando ciò che fanno, ma per contro è quasi impossibile capire perché lo fanno, cosa che ci consentirebbe di creare profili di ben altro valore». Ciò che possiamo fare – continua Zinno – «è aumentare la nostra capacità di osservazione, nella speranza che il cosa ci dia qualche informazione sul perché e, poiché gli occhi di un’azienda sono i dati, dobbiamo pensare a una data strategy che ci consenta di gestirli al meglio e di poter estrarre da loro il giusto valore. Bisogna però guardarsi dall’effetto “cantina”, dove la quantità crescente dei dati, nel volume, nel formato e nella velocità, si traduce in un aumento dell’entropia, rendendo difficile trovare e utilizzare le informazioni per fornire servizi di qualità. Avere più dati significa avere più carburante per l’innovazione, a patto che tale carburante sia stoccato in sicurezza e che sia facile rifornirsene». Per sfruttare al massimo le potenzialità dei canali è necessario estrarre il massimo valore dai dati attualmente a nostra disposizione. «Perché sono i dati a valore – spiega Pedro Garcia di Minsait – che contengono le chiavi per comprendere e anticipare le tendenze del mercato e che permettono di perfezionare l’offerta fino a fornire prodotti personalizzati per ogni consumatore».

GOVERNARE IL CAMBIAMENTO

Organizzazione, processi e sistemi sono le leve per trovare le migliori soluzioni e stare al fianco dei clienti anche nei momenti di emergenza. Le esigenze gestionali “anywhere-anytime” rappresentano solo un pezzo dei bisogni delle imprese. Altri aspetti importanti – spiega Paola Pomi, CEO di Sinfo One – sono stati il BYOD e il supporto ai manager nella lettura degli eventi. «Il BYOD è stato dettato dalle contingenze, le nostre soluzioni lo supportano da anni, anche se le necessità di utilizzo dei device erano solitamente appannaggio di alcune tipologie di applicazioni. In tutti i casi, la UX ha permesso di sfruttare tutte le varie funzionalità, anche quelle di solito più fruite da desktop».

Per gestire l’emergenza e i nuovi scenari di mercato, un’altra richiesta frequente da parte delle imprese utenti è stata quella della estrema semplificazione degli indicatori aziendali – continua Paola Pomi – «ma con sempre più la possibilità di “investigazione” dei fenomeni aziendali, partendo dal macro-fenomeno, con la capacità di analisi dei dati temporali di dettaglio. Per le imprese è stato importante poter gestire, in modo semplice e chiaro, i dati della singola giornata, per estrarre insights in grado di dare supporto al processo decisionale e comprendere i cambiamenti del mercato, permettendo di cogliere le opportunità nascoste e affrontando le sfide grazie alle informazioni di cui si poteva disporre». Per Paola Pomi il cambiamento è pervasivo e non si torna indietro. «La trasformazione digitale era già partita sia a livello globale che nazionale. Le grandi aziende erano già, in questo percorso, in uno stadio che potremmo definire più maturo. Oggi, vedo che le PMI stanno accelerando, prendendo decisioni più adeguate al momento e anche più coraggiose. E questo atteggiamento potrebbe portarle a recuperare terreno, e magari addirittura a fare il sorpasso».