Come cambierà il welfare aziendale dopo la pandemia nel settore IT?

Nuovi sistemi di welfare per raggiungere il benessere sociale, per migliorare la gestione di un’impresa e le condizioni dei dipendenti

E ora si riparte. Sembra passata un’eternità da quando l’emergenza da Covid -19 ha costretto l’intero Paese a fermarsi e a rivedere tutti gli ambiti della vita dei cittadini. Parole come “distanziamento” e “smart working” sono entrate nel nostro quotidiano, tutti noi abbiamo dovuto imparare a digitalizzare molte delle nostre attività.

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Nell’ambito delle imprese, l’emergenza sanitaria ha favorito l’attenzione ai bisogni sociali, accrescendo di fatto il ruolo del welfare aziendale. Ma quali sono le possibili attuazioni di questi strumenti nell’ambito del settore IT? Quali saranno le sue evoluzioni? Ne parliamo con Riccardo Zanon, avvocato, consulente aziendale e padre della Welfare Terapia, autore del libro “Welfare terapia”, per ESTE Editore, per comprendere meglio il ruolo del welfare aziendale in questo nuovo contesto.

Con lo scoppio della pandemia, com’è cambiato l’approccio delle aziende italiane al concetto di welfare aziendale?

La pandemia ha di certo suscitato negli imprenditori riflessioni sulla gestione e sul concetto di lavoro. In un momento in cui era necessario pensare a quali passi compiere per mettere in sicurezza la propria azienda, migliorarla e renderla più attrattiva per il personale dipendente, sicuramente l’interesse di questo strumento e delle sue potenzialità all’interno di un’azienda è aumentato e questo è un aspetto positivo, ma quali saranno le conseguenze di questo interesse è ancora molto presto per dirlo. Di sicuro molte aziende si stanno attivando per ragionare su cosa e come fare welfare nella propria azienda.

Lo smart working e l’improvvisa digitalizzazione di molti i procedimenti produttivi non è stata accolta di buon grado da tutti i lavoratori. Cosa si può fare per rendere più soft questo passaggio e sostenere il proprio dipendente?

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Prima di tutto non chiamarlo smart working, quello che abbiamo vissuto possiamo definirlo un home working. Infatti, lo smart working rappresenta una possibilità per l’azienda di poter favorire la conciliazione dei tempi di vita/lavoro, una commistione tra lavoro in azienda e lavoro all’esterno dell’azienda, non necessariamente in casa, ma anche vicino casa, magari in un luogo in cui ritornare in meno tempo e con meno stress rispetto al trasferimento al lavoro ordinario.

Con l’home working, invece, abbiamo abbandonato le famiglie al loro destino: adulti costretti a lavorare in spazi limitati, in concomitanza con figli in didattica a distanza.

Lo smart working è uno strumento diverso che andrebbe conosciuto meglio per capire come poterlo inserire correttamente nell’ambito dell’organizzazione aziendale, prestando attenzione alle esigenze dei lavoratori e offrendo loro, se possibile, un supporto alla famiglia attraverso servizi di welfare aziendale.

In questo nuovo scenario lavorativo, ci sono dei settori, come quello IT, che hanno registrato veri e propri picchi di lavoro. Chi opera in questo settore, quindi, allo stress provocato dalla pandemia ha sommato un’insolita mole di lavoro e gli incentivi economici, in queste circostanze, non sono sufficienti a motivare. Quali strumenti del welfare aziendale potrebbero, invece, rivelarsi utili?

La vacanza è uno dei benefit maggiormente richiesti ed è anche quello che aiuta a ridurre lo stress. La vacanza è collegata al termine ferie e queste servono proprio per il recupero psicofisico del lavoratore. Non solo! Accesso a spa o trattamenti di massaggio risultano estremamente efficaci.

Un altro aspetto interessante può essere rappresentato dalla formazione mirata alla gestione dello stress, ad esempio, la cura del respiro, e del proprio corpo sono soluzioni che aiutano concretamente. Sono apneista e conosco l’importanza di respirare bene, per lavorare meglio e vivere meglio, ma non tutti sanno respirare correttamente ed anche io ho dovuto impararlo.

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Molte aziende IT che trattano dati sensibili hanno preferito continuare a far lavorare in sede i propri dipendenti, al fine di consentire una maggior sicurezza dei dati. Questi lavoratori tendono a sentirsi spesso meno tutelati e più esposti al rischio di contagio. In questo caso il welfare aziendale potrebbe venire in aiuto degli imprenditori?

Nel mio ultimo libro ‘Welfare Terapia’ parlo di questo aspetto. Il welfare aziendale può essere strutturato come una terapia per prevenire il contagio da COVID 19 nelle aziende. Il trasporto collettivo, ovvero dedicato ai soli dipendenti della nostra azienda, è soltanto una delle soluzioni di welfare che possiamo adottare.

Magari insieme al cd. Maggiordomo aziendale, ovvero alla possibilità per i nostri dipendenti di farsi recapitare la spesa oppure ogni altro acquisto direttamente in azienda, al fine di ridurre il più possibile il rischio di contagio all’interno di altri luoghi frequentati da persone esterne dalla comunità aziendale. Ogni soluzione va comunque valutata e personalizzata in base alle esigenze dei dipendenti e dell’azienda.

Si è più volte discusso del diritto dei dipendenti alla ‘disconnessione’, invitando a non inviare e-mail o fare telefonate fuori orario, per tutelare la qualità del tempo libero dei lavoratori, indispensabile per il benessere psico fisico di tutti gli individui. Crede che creare dei momenti di evasione anche all’interno dell’azienda possa essere di aiuto in questo senso?

Quando ero al liceo o all’università e non riuscivo più ad essere produttivo sui libri o a concentrarmi in modo adeguato, uscivo a fare una passeggiata o a praticare un po’ di sport, mi serviva per distrarmi, per ossigenare la mente e poter permettere il recupero dall’attività mentale.

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Perché al lavoro dovrebbe essere diverso? Le pause sul luogo di lavoro ci sono sempre state, potrebbero essere migliorate e non diventare soltanto pause caffè. C’è molta diffidenza ancora, eppure é una questione di KPI e di organizzazione: pianificando il lavoro in modo diverso e fornendo valutazioni basate su dati oggettivi, è possibile vincere questa diffidenza perché è più semplice capire da subito se la nostra azienda sta ottenendo o meno benefici. Senza analisi rischiamo di andare a sensazione, ma pensiamo per un attimo, se facessimo i bilanci con le percezioni, cosa otterremmo?