Sfruttare le condizioni economiche e sociali in un mondo digital-first

Come coinvolgere i dipendenti in un ambiente di lavoro ibrido

In un contesto come quello odierno, sempre più digitale, stiamo assistendo al cambiamento dirompente e duraturo del modo in cui viviamo, lavoriamo, giochiamo e apprendiamo

A oltre 18 mesi dallo scoppio della pandemia, si possono cominciare a tirare le somme di alcuni trend emersi e che sono destinati a durare nel tempo. La maggior parte degli indici presi in considerazione in questo periodo concorda sul fatto che esiste un netto cambio di velocità per quanto riguarda i percorsi di trasformazione digitale (DX). La pandemia ha indubbiamente accelerato la digital transformation non solo all’interno delle aziende, ma anche nelle istituzioni, e nel loro modo di interagire con clienti o con cittadini in un contesto in cui la situazione macroeconomica, quella microeconomica e la sempre maggiore diffusione di tecnologie dirompenti stanno cambiando i paradigmi su cui i leader aziendali e tecnologici hanno fondato le scelte evolutive fino ad oggi.

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UN MONDO A “TRAZIONE” DIGITALE

Secondo quanto emerso dall’IDC Worldwide Digital Transformation Sentiment Survey 2021, il 53% delle imprese mondiali intervistate è oggi digitalmente determinata, ovvero ha un livello evoluto per quanto riguarda la maturità nel percorso di trasformazione digitale e quindi è in grado di scalare velocemente il business, sfruttare e potenziare i talenti presenti in azienda, rispondere rapidamente alle richieste dei clienti, semplificare e ridurre gli step di un flusso di lavoro o di un processo velocizzando quindi il time to market.

Al pari, anche i consumatori hanno accelerato la transizione al digitale in ambiti che vanno al di là del gaming, del social network o della fruizione dei contenuti. A livello mondiale, per esempio, è cresciuto molto il numero di pazienti che ha utilizzato la telemedicina e i teleconsulti medici durante la pandemia. Contemporaneamente, è cresciuta di oltre il 20% anche l’adozione di smartwatch e di braccialetti per il fitness, spinta dalla necessità di molti consumatori di fare esercizio fisico da soli o in video conferenza. In particolare, quest’ultima crescita è guidata soprattutto da new buyer, ovvero da acquirenti che hanno acquistato questo genere di prodotto per la prima volta.

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L’utilizzo dei dispositivi PC è cresciuto del 26% in quanto i consumatori hanno speso molto più tempo online, influenzando notevolmente le abitudini legate alla sicurezza, alla gestione dell’identità e della privacy. Insieme a questo è cresciuto, e continuerà a crescere anche nei prossimi due anni, l’utilizzo di strumenti per le VPN, la gestione delle password e l’adozione di soluzioni di parental control, al fine di proteggere i bambini con l’applicazione di filtri e limitazioni su pc, smartphone, tablet e tv.

Tutto questo ci fa comprendere come ormai l’approccio digital-first non sia più solo appannaggio del mondo business o di alcuni ambiti specifici, ma un obiettivo comune e dinamico per tutti, comprese le istituzioni pubbliche e i privati che puntano a migliorare un qualche aspetto del proprio business, dei propri servizi o della propria vita con l’utilizzo di tecnologie digitali. Il livello di connessione tra realtà pubbliche, realtà private e persone in un mondo digital-first è sempre più spinto. Questo livello di interconnessione digitale genera una quantità di dati che IDC ha stimato essere di poco inferiore agli 81 ZB nel 2021 e che è destinato a sfiorare i 180 ZB nel 2025. Dati che possono essere sfruttati in modo intelligente a proprio vantaggio da interi ecosistemi per cogliere e anticipare le mutevoli direzioni che il mercato può prendere in situazioni precarie come quella che stiamo ancora vivendo.

La creazione di un mondo a “trazione” digitale impone che anche l’economia segua la stessa direzione, espandendo l’impatto delle tecnologie digitali anche nella produzione (digital twin, industry 4.0, data-driven development) e non solo nel consumo di prodotti, servizi ed esperienze, tanto da arrivare a pesare per il 65% sul PIL. In un’economia come questa, tutti i settori saranno guidati e plasmati sul modello della Future Enterprise.

IL MODELLO DELLA FUTURE ENTERPRISE

La Future Enterprise è la vision di IDC per comprendere come le aziende si stanno muovendo e stanno investendo per contribuire attivamente a mercati che sono sempre più digitali. È un framework per promuovere la cultura del digital-first che si basa su ecosistemi affidabili, genera una crescita dei ricavi sfruttando l’empatia nella customer experience e dimostra un’abilità di adattare i modelli operativi alle complesse esigenze dei clienti.

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La realizzazione di tutto questo deve abilitare una forza lavoro intelligente, potenziata e ben connessa, che ha nel cloud, nelle autonomous operations e nell’ubiquitous deployment le basi su cui costruire un’infrastruttura digitale. Quella digitale è un’infrastruttura che ha uno sviluppo cloud centrico per consentire l’accesso tempestivo a tecnologie innovative in grado di supportare modelli di business digitali e di allineare l’adozione tecnologica e la governance delle operations IT al raggiungimento degli obiettivi aziendali. L’infrastruttura digitale del futuro includerà risorse che consentiranno di migliorare non solo l’esperienza dei clienti ma anche quella di dipendenti, partner e fornitori, incorporare intelligenza e automazione (AI/ML) nelle business operations, supportare l’innovazione continua dal core all’edge. Questo processo evolutivo infrastrutturale ha un altro e forse più importante obiettivo, ovvero quello di rendere resiliente l’intera azienda: resilienza che è un concetto non nuovo ma che con l’implementazione delle tecnologie digitali va a essere stressata e amplificata superando il concetto tradizionale di business resiliency.

Infatti, se con “business resiliency” si fa riferimento alla capacità di un’azienda di rispondere rapidamente alle interruzioni dell’attività e ripristinare le operazioni aziendali in modo rapido e tempestivo, con “digital resiliency” IDC fa riferimento alla capacità di un’azienda di adattarsi rapidamente alle interruzioni dell’attività, sfruttando le capacità digitali non solo per ripristinare le operazioni aziendali, ma anche per trarre vantaggio dalle mutate condizioni. In altre parole, si deve passare da un approccio esclusivamente reattivo a uno reattivo-propositivo, capace di cogliere occasioni anche in situazioni avverse. In questo contesto si comprende perché creare un’infrastruttura resiliente è una delle principali priorità di business che viene citata da oltre il 70% delle aziende per i prossimi due anni, raggiungibile con una pianificazione più aggressiva dello spostamento degli investimenti infrastrutturali verso il cloud e i modelli a consumo.

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LE SFIDE DA AFFRONTARE

La creazione di un’infrastruttura resiliente ha però numerose sfide da affrontare che vanno a interessare aspetti tecnologici e non delle operations aziendali. Sul lato tecnologico le principali sfide che devono essere affrontate riguardano i problemi legati alla latenza dei workload mission critical e quindi le performance, così come i vincoli di sicurezza derivanti dall’uso dei sistemi legacy difficili da migrare verso il cloud. Da un punto di vista maggiormente operativo sovente l’utilizzo del cloud pubblico viene percepito come eccessivamente costoso. È necessario che le aziende cambino approccio tanto all’utilizzo delle soluzioni infrastrutturali quanto alla valutazione del ROI, in quanto la flessibilità delle soluzioni di cloud pubblico permette livelli di agilità e di velocità non raggiungibili con un’infrastruttura tradizionale. Un’infrastruttura resiliente efficace ed efficiente necessita di un livello di automazione che può essere raggiunto anche con l’implementazione di soluzioni di analytics per ottimizzare l’intero ambiente IT.

Sergio Patano associate Research & Consulting director di IDC Italia