La smart factory a scuola di convergenza

La smart factory a scuola di convergenza

Mentre le autorità sanitarie riflettono sulla possibile exit strategy dalla lunghissima fase emergenziale e sulla corretta esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, grava ancora – al momento di scrivere – l’incognita dell’elezione del Capo dello Stato, è giusto fare una riflessione che non si riferisce solo agli aspetti “finanziari” della trasformazione digitale.

La storia di copertina di questo numero e il servizio dedicato ai contenuti espressi nel corso della recente tavola rotonda, dedicata alla fabbrica intelligente o interconnessa, affrontano due aree di intervento – l’innovazione della burocrazia e del settore manifatturiero – che il PNRR prevede di inondare di investimenti. Risorse che, soprattutto nel caso della Smart Industry, si affiancano alle iniziative già prese in passato. Inserendosi tra l’altro in un contesto di regole sempre più marcato dalla presenza di direttive nazionali ed europee spesso nate con la volontà di promuovere la standardizzazione e imprimere una direzione ben precisa alle politiche di innovazione tecnologica.

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Il futuro data driven dell’industria manifatturiera è certamente una questione di standard e investimenti, possibilmente oculati. Si tratta dopotutto di iniettare nuove componenti hardware e software per consentire un dialogo con impianti di produzione e macchinari che per quanto assuefatti ai concetti del controllo numerico e della programmazione, restano confinati a protocolli e linguaggi chiusi e specializzati. Non riescono a parlare con facilità con i sistemi informativi che oggi governano non solo gli aspetti amministrativi e fiscali di un’impresa, affiancandosi sempre più spesso al decisore umano nella pianificazione del business. L’obiettivo dell’Industry 4.0 è appunto quello di compiere un salto di qualità, dalla fabbrica automatica e robotizzata alla vera fabbrica digitale: un ambiente produttivo in cui l’automazione digitale delle singole macchine non sia più un fatto isolato dai processi a monte e a valle della fabbrica stessa.

L’animato dibattito che ha caratterizzato la tavola rotonda di Data Manager dimostra che in questo campo la progettualità non manca. Le tecnologie di interconnessione e gli strumenti analitici necessari per gestire e valorizzare le nuove informazioni raccolte hanno raggiunto gradi di maturazione quasi inaspettati e la progettualità non manca né sul cosiddetto “shop floor” né tantomeno nelle stanze direzionali delle imprese. Eppure, si avvertono ancora diversi gap, non sempre riferibili a politiche industriali e assetti normativi (che sono sempre perfettibili), ma che frenano la trasformazione, rischiando di depotenziare il migliore dei piani di investimento.

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Gap di natura più culturale che investono il management delle aziende, non sempre pronto a inquadrare gli obiettivi di business della trasformazione ma riguardano soprattutto le persone e le loro competenze. In fin dei conti, è inutile disegnare un progetto di innovazione se a mancare sono soprattutto gli esecutori dotati del corretto know-how. E anche se gli interlocutori che hanno partecipato alla tavola rotonda testimoniano di un notevole impegno per la creazione di questo know-how all’interno delle stesse organizzazioni, il divario evidenziato deve necessariamente essere colmato da una strategia formativa complessiva, che parte dalle scuole di livello superiore e professionale. Formazione e lavoro devono dialogare in modo molto più serrato per evitare pericolosi disallineamenti. Insomma, è una questione di convergenza tra OT, IT e sapere.