L’impatto della trasformazione del lavoro su performance, competitività e capacità delle aziende di intraprendere percorsi di trasformazione digitale. L’analisi degli esperti di AlixPartners insieme al contributo di RCS Media Group, Nexi, JLL e Microsoft per valorizzare le risorse umane e la gestione dei talenti
Il mercato del lavoro sta attraversando un momento di turbolenza causato da diversi fattori: cambiamenti organizzativi dettati dai nuovi modelli di hybrid work, mancata corrispondenza tra domanda e offerta in campo digitale, incremento delle aspettative di determinati ruoli in termini di conciliazione tra lavoro e vita privata. In questo ambito, le aziende devono ridisegnare la propria strategia in termini di recruiting, formazione continua e incentivazione per attrarre e trattenere le persone in azienda.
AlixPartners, società di consulenza globale, specializzata nella creazione di valore e nel miglioramento della performance, ha realizzato per Data Manager un’analisi sulla trasformazione del mercato del lavoro, da cui emergono le principali leve per affrontare lo “skill shortage” che continuerà a rimanere una tematica critica nel bel mezzo di quello che probabilmente passerà alla storia come il mercato delle assunzioni più impegnativo della vita delle aziende dalla seconda guerra mondiale. «La ricerca di profili professionali in area digitale è una sfida complessa, legata a doppio filo al raggiungimento degli obiettivi aziendali» – sottolinea Piero Masera, managing director di AlixPartners. «Il digital mismatch è un dato di fatto con cui le imprese devono fare i conti. Un conto che è difficile da far tornare perché da un lato c’è una domanda che sta crescendo a ritmi vertiginosi, ma dall’altro la carenza di risorse digitali ha innescato un conflitto tra le aziende per “l’accaparramento” delle risorse più critiche, con un innalzamento significativo dei loro salari e dei benefit connessi». Oltre al fenomeno della “great resignation”, dai dati più recenti emerge che oltre il 40% dei dipendenti sta considerando di lasciare il proprio attuale impiego. «Un’azienda alla ricerca di personale, in passato faceva leva su un contratto a tempo indeterminato, uno stipendio adeguato, benefit, ma ora la retribuzione non basta più» – spiega Marcello Bellitto, director di AlixPartners. «A fare la differenza sono la possibilità di lavorare da remoto, l’opportunità di crescere professionalmente mediante scambi con aziende leader del settore, un rapporto professionale meno gerarchico e un lavoro in un ambiente più flessibile. Le aziende vincenti creano le condizioni affinché il collaboratore percepisca una sensazione di libertà nello sviluppare tematiche di suo interesse o che promuovano il senso di appagamento nel sentirsi utili a una certa causa, come le attività sociali o di sviluppo della sostenibilità ambientale».
DIGITAL MISMATCH
Come superare la difficoltà di allineamento tra offerta e domanda di lavoro, calibrate sulle nuove competenze digitali? La difficoltà di trovare profili digitali si riscontra anche nel settore dei media, di cui parliamo con Vito Ribaudo, responsabile HR di RCS MediaGroup. «Il problema del reperimento di competenze digitali – spiega Vito Ribaudo – ha cominciato a porsi verso la metà degli anni 90, con la ricerca di operatori grafici per la nuova tecnica di stampa. Il divario tra il numero di laureati nelle materie scientifiche (STEM) e il fabbisogno delle aziende continua ad aumentare ogni anno. Nel nostro settore, siamo in una profonda fase di trasformazione che vede il cartaceo spesso superato dalla crescita degli abbonamenti digitali. Per questo motivo, in RCS abbiamo istituito una scuola di formazione interna – la “RCS Academy” – per sviluppare le competenze digitali, che sono sempre più critiche per la crescita dell’azienda. Ci sono previsioni relative al nostro settore che dicono che dal 2043 non si stamperanno più i giornali. Magari non sarà così ma si tratta di previsioni su cui interrogarsi. I profili impiegati nel nostro settore sono molteplici ma nel mondo giornalistico è difficile ottenere un contratto strutturato per categorie che hanno velocità di sviluppo così diverse tra loro. In particolare i profili più richiesti sono sviluppatori, data scientist, data engineering, esperti di cybersecurity e di cloud. Un aggravio per il nostro settore è che le risorse con queste competenze digitali spesso preferiscono lavorare in altri settori industriali caratterizzati da dinamiche di crescita più attrattive.
Per il responsabile HR di RCS MediaGroup, la pandemia ha segnato uno spartiacque. «Abbiamo effettuato molti colloqui di lavoro con persone che vivono lontano dalla sede, perché alcune attività si possono svolgere anche da remoto. Personalmente, ritengo però che vivere in una comunità professionale permetta uno sviluppo professionale maggiore. Le dinamiche tra colleghi e il gruppo sono importanti. Dovremo trovare un equilibrio nuovo. Stiamo inoltre rivedendo gli aspetti economici e creando forme di retribuzione variabile, legate a progetti e risultati. Ma riteniamo che per attrarre i talenti digitali, e soprattutto per trattenerli, dobbiamo puntare soprattutto sullo sviluppo delle competenze, offrendo corsi personalizzati, con modalità di erogazione continua in grado di innalzare la qualità delle competenze digitali non solo delle risorse tecniche ma di tutta l’organizzazione». Dall’analisi di AlixPartners il quadro è molto chiaro: il numero di vacancies di profili digitali ha raggiunto un livello senza precedenti, trainato dall’incremento del turnover. «La pandemia, – afferma Filippo Guidotti Mori, director di AlixPartners – grazie all’adozione di massa di strumenti di collaboration e smart working, ha accelerato il turnover in questo settore, contribuendo alla riorganizzazione del modello di lavoro nel settore digitale. Tuttavia, questo fenomeno non ha fatto altro che amplificare un tema strutturale, basti considerare che i laureati in discipline STEM in Italia sono inferiori alla media europea».
TALENTI E FORMAZIONE
«Nell’individuazione dei talenti e nei processi di formazione, giocano un ruolo fondamentale le partnership con le università e le academy aziendali» – spiega Guidotti Mori. «Occorre rivedere i piani di assunzione passando da un approccio reattivo a uno proattivo: il tema delle assunzioni non deve essere affrontato solo quando c’è una posizione aperta, ma deve essere un processo continuo che inizia con l’individuazione dei talenti e prosegue con la formazione, in aula e on the job, fino all’inserimento. Molte aziende operano già all’interno delle università, prendendo in carico i laureati». Ambiente di lavoro flessibile, processi di crescita professionale, percorsi di formazione continua e progetti di lavoro innovativi: qual è la chiave per rendere più attrattivo il lavoro? Abbiamo girato la domanda ad Alexandre Francesco Bove, CEO of Nexi Digital e head of IT Digital di Nexi Group che ci spiega come l’evoluzione digitale del Paese passi anche attraverso l’innovazione dei pagamenti, una responsabilità che il Gruppo Nexi sente propria. La PayTech, leader europeo nei digital payments, è la realtà che investe di più in tecnologia nel proprio mercato di riferimento: circa 300 milioni all’anno dopo le integrazioni con Nets e con SIA. Per allineare competenze e obiettivi di business, il Gruppo Nexi si muove su tre direttrici: formazione, assunzioni dal mercato, inserimento di giovani, anche attraverso stage. E punta su tre leve per crescere: persone, smart working e welfare.
«Per la nostra azienda è fondamentale investire sulle competenze delle persone, costruendo il giusto mix di skills in grado di accompagnare la digitalizzazione dei pagamenti e, di conseguenza, la crescita del Paese. Tra il 2019 e il 2021, sono state assunte 450 persone, inoltre nel 2020/21 il Gruppo ha dato vita a Skill Up, programma di sviluppo a supporto della crescita del capitale umano, realizzato in collaborazione con AICA, Forrester e Politecnico di Milano, che ha coinvolto 570 persone per mappare, valorizzare e potenziare le competenze dei singoli colleghi. Nello stesso periodo – continua Bove – la nostra azienda ha realizzato Data Academy, iniziativa di education per lo scambio di informazioni su Big Data, AI e Machine Learning, che ha coinvolto più di sessanta dipendenti. Le HR del Gruppo Nexi sono costantemente impegnate a fare evolvere i progetti formativi per le persone, per questo nel 2021 sono stati attivati due percorsi per favorire lo scambio di informazioni e l’approccio alla leadership: la Managerial Academy, pensata per circa 400 colleghi con l’obiettivo di far emergere e valorizzare esperienze, attitudini e diversità, rendendo i manager più consapevoli del proprio ruolo; e la Leadership Academy, rivolta a manager di nuovo ingresso per rafforzare le competenze distintive necessarie per affrontare le sfide attuali e future». Per quanto riguarda il welfare, Nexi punta sui servizi alla persona che migliorano la vita del dipendente: previdenza e piano sanitario integrativi, offerte speciali per viaggi, benessere, esperienze gastronomiche e sportive, cinema e teatri, assistenza fiscale e legale convenzionata, corsi di coaching e counseling, programmi di prevenzione e check-up medico. «Inoltre, c’è un team di colleghi dedicato – spiega Bove – che sta progettando gli uffici in modo coerente con le nuove modalità di lavoro, quindi dotando gli spazi di aree che consentano meeting ibridi. Il restyling della nostra sede principale prevede spazi in linea con una maggiore esigenza di collaborazione, scambio di idee e di incontro».
L’ECOSISTEMA DELLE COMPETENZE
Come attrarre e trattenere i talenti digitali in azienda e con quali strumenti? Parlando di welfare, spazi lavorativi confortevoli, strumenti di work-life balance e pacchetti di benefit variegati, Barbara Cominelli, CEO di Jones Lang LaSalle punta su un modello “Flex for your day”. «Per noi la flessibilità diventa “activity-based designed”, in altre parole il lavoratore decide in autonomia se lavorare in ufficio o da remoto in base alla scelta più funzionale all’attività da svolgere: meeting, analisi desk e così via. L’ufficio diventa quindi lo strumento migliore, più adeguato a ospitare al meglio alcuni momenti lavorativi specifici, con un design basato proprio per soddisfare le esigenze legate all’attività da svolgere: salottini per incontri one-to-one informali, spazi ampi per il caffè, terrazze e spazi verdi per momenti di convivialità informali.
Lo spazio diventa più accogliente per rispondere all’idea di maggior confort, meno postazioni individuali e più metri quadrati per gli spazi comuni». Secondo Barbara Cominelli, è necessario agire su tre aree: «Prima di tutto, occorre lavorare sulla pipeline scolastica e universitaria, introducendo sin dalla scuola primaria la formazione sul digitale e sulla tecnologia, che devono far parte della cassetta degli attrezzi che lo studente ha a disposizione, come la matematica, la grammatica e l’inglese etc. È molto importante anche rafforzare il legame tra aziende e università, permettendo agli studenti di affiancare alla studio teorico anche l’esperienza di utilizzo pratico della tecnologia, per imparare a utilizzare gli strumenti e le piattaforme più diffusi e anche dando la possibilità di frequentare corsi aggiuntivi per la certificazione delle competenze. La seconda area di intervento riguarda la “cross-fertilization” dei saperi, introducendo la tecnologia anche in facoltà umanistiche (e viceversa) con l’obiettivo di istituire una cultura informatica diffusa, “coding per tutti”. Non tutti devono diventare esperti di programmazione ma tutti devono sapere cosa può fare la tecnologia. A me piace il modello anglosassone dove uno studente può scegliere di studiare Computer Science e Filosofia insieme, perché ci permette di dare contenuti verticali ma anche quella learning agility e sguardo aperto che sono chiave per disegnare il futuro. Come terzo punto infine, occorre investire in modo programmato sulla formazione e sullo sviluppo delle risorse aziendali attraverso percorsi di reskilling e upskilling in funzione delle necessità connesse alla digital transformation dei processi aziendali». Una strada necessaria che presuppone tempo e investimenti – riconosce Barbara Cominelli. «Ma tutto questo può funzionare solo iniziando a ragionare più per ecosistema, tra pubblico e privato, tra aziende e università. Se ogni azienda gioca da sola la sua partita, alla fine il risultato sarà limitato, mentre in realtà ci sarebbe la possibilità di fare sistema in quanto molte delle esigenze di formazione e sviluppo sono comuni. In sintesi, occorre intervenire su diversi fronti, partendo dai giovanissimi nelle scuole, fino ad arrivare ai board delle aziende, ai distretti industriali, alle istituzioni del Paese. Siamo solo all’inizio di un processo che sta modificando profondamente il mondo del lavoro e del fare impresa».
LA CULTURA AZIENDALE FA LA DIFFERENZA
Chiediamo ad Angela Paparone, responsabile HR di Microsoft Italia, quali politiche abbia adottato un’azienda leader tecnologica quale Microsoft in un contesto tanto competitivo. «Studiamo e affrontiamo ogni giorno le modalità per differenziarci sul mercato. In particolare, la nostra cultura, radicata sul senso di appartenenza, fa la differenza. Negli ultimi due anni, sono profondamente cambiati i rapporti tra azienda e persone che hanno bisogno di identificarsi nei valori aziendali e chiedono un investimento nella loro crescita professionale con un approccio “open mind”. In Microsoft – continua Angela Paparone – abbiamo effettuato investimenti importanti sulla leadership, caring, inclusività, collaborazione, valorizzazione degli altri. Questa cultura fa da collante di tutta l’organizzazione, i nostri manager devono diventare modelli pivotali della trasformazione in atto, vogliamo aumentare la loro consapevolezza che questi comportamenti servono a fare coach e prendersi cura delle persone, a facilitare il loro percorso di crescita e far sì che si sentano in un ambiente che li comprende e li stimola». Microsoft consente di dedicare tempo e investimenti significativi per lo sviluppo delle persone: flessibilità, smartworking, possibilità di conciliare impegni professionali e familiari sono strumenti resi possibili dall’evoluzione tecnologica e dal tempo dedicato dai manager a parlare con i propri collaboratori per comprenderne le esigenze personali di cui tenere conto. «È fondamentale investire sulle persone che abbiano la capacità di vivere in un modello organizzativo che si mette in discussione» – afferma la responsabile HR di Microsoft Italia.
«In azienda, accogliamo sempre più Millennial, che hanno bisogno di sviluppare un senso di appartenenza, la possibilità di sviluppare le loro idee, un alto livello di partecipazione, fondare startup. Vogliamo creare una cultura “fearless” per avere una leadership adattiva in grado di adottare comportamenti coerenti con la nuova cultura in cui le persone si sentano incluse e stimolate all’innovazione. Ma questo stimolo può avere un impatto significativo solo se innova tutto il Paese». L’obiettivo di Microsoft è estendere a tutte le organizzazioni italiane i vantaggi del digitale anche per supportare il cambiamento culturale che porta all’innovazione e al benessere delle persone. «Per questo – spiega Angela Paparone – ci attiviamo con alcuni player importanti nel Paese per favorire questo processo: con UniCredit abbiamo lanciato un progetto Together4Digital che offre strumenti e linee di finanziamento dedicate, per accelerare i percorsi di trasformazione digitale delle aziende italiane, puntando anche sulla formazione delle persone».
QUALI SOLUZIONI?
In questo contesto di scarsezza di risorse digitali, quali tipi di alternative sono possibili? «Non esiste un’unica soluzione valida per tutti, ma qualunque essa sia, ci sono almeno due punti saldi. Il primo punto è quello di passare da un approccio reattivo a uno proattivo. Bisognerà assumere risorse pensando agli obiettivi di medio termine dell’azienda, anziché a uno specifico ruolo in un progetto o in una funzione. Sarà sempre più difficile trovare risorse “plug & play”, con le competenze richieste. Bisognerà valutare più il potenziale delle risorse e la loro capacità di adattarsi all’evoluzione del contesto. Si dovrà investire di più in formazione continua, per fare upskilling e reskilling delle risorse, con academy interne e con training on the job» – spiega Piero Masera. «Il secondo punto è quello di sviluppare una proposta per i dipendenti che sia più ampia rispetto alla mera offerta salariale. Per attirare i talenti e trattenere i dipendenti bisognerà investire sul brand dell’azienda nelle università, nei social, nella pubblicità, in modo da comunicare meglio alle nuove generazioni i valori della cultura aziendale. Bisognerà investire nei luoghi di lavoro perché siamo degli abilitatori di un diverso modo di lavorare, più flessibili, più collaborativi, più inclusivi. Ma il gap di risorse digitali è così ampio, che spesso le aziende non possono pensare di impiegare anni per colmarlo. Per questo, ultimamente ci affianchiamo alle aziende per valutare percorsi alternativi alla crescita organica: acquisire una società tecnologica, creare una joint venture con un player tecnologico, sviluppare una partnership di medio periodo con uno o più partner per la messa a disposizione di risorse e skill digitali reperibili a livello globale, terziarizzare la gestione delle attività digitali a una terza parte specializzata. Ognuna di queste alternative si differenzia in termini di velocità di realizzazione, ritorno dell’investimento, protezione del know-how, agilità di esecuzione, scalabilità, gestione del rischio. Non esiste una ricetta magica, ma ogni azienda ha l’obbligo di affrontare questo tema in modo strutturale, definendo la propria strategia di sviluppo che meglio si adatta alla propria cultura e al proprio posizionamento competitivo sul mercato. La raccomandazione principale che possiamo dare – conclude Masera – è di affrontare il tema in modo globale, non guardando solo al fabbisogno di risorse con competenze digitali, ma all’intera azienda. La digitalizzazione del business è in primo luogo un cambio di cultura, non un tema meramente tecnologico».