Impresa di famiglia, essere la “figlia di”? Federica Meroi: “Serve dimostarare di valere, nessun diritto acquisito”

Impresa di famiglia, essere la

Trovarsi nelle condizioni di essere la figlia di: non è questione facile. Quando e soprattutto ci si trova a dovere, ed in particolare modo, come in questo caso, a volere lavorare nell’azienda di famiglia.

Perché il ruolo piace, perché è adatto alla propria persona e ci si sente perfettamente in linea con i valori che l’azienda promuove. Ovvero: ci sono tutte le prerogative per cui l’attività lavorativa nell’azienda di famiglia sia di grande soddisfazione. Eppure, gli ostacoli, come sempre, non mancano. E’ la storia personale e professionale di Federica Meroi, di Alfa Sistemi, azienda tecnologica fondata a Udine dal padre Ferruccio.

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‘Entro in azienda in punta di piedi. Sento che devo guadagnarmelo un ruolo all’interno dell’organizzazione, per merito e capacità’ spiega Federica. Riflessioni e pensieri questi che dovrebbero essere normali, scontati, e che però non lo sono. A testimonianza di un forte senso di responsabilità non solo nei confronti dell’organizzazione aziendale e di chi già vi lavora, ma anche verso se stessi.

‘Non penso che, perché si ha la fortuna di avere una azienda di famiglia, questo comporti necessariamente il diritto di lavorarci. Nel mio caso ha rappresentato un’opportunità, non un diritto acquisito. Sono serviti quindi impegno, lavoro e dimostrazione, a fatti, delle proprie capacità. Cosa che ho cercato di fare sin da subito, cercando di imparare il più possibile, con rispetto ed umiltà, mettendomi in discussione ogni giorno e cercando di cogliere ogni possibile occasione per migliorarmi’.

La vita nelle imprese di famiglia non è sempre cosi facile. Esistono ancora oggi tabù, quasi di tipo esistenziale. Spesso, una figlia, soprattutto se donna con prole, deve dimostrare molto di più di meritare quel ruolo. I retaggi del passato ci limitano rispetto ad una visione aperta e lungimirante, oltre che controproducente per gli obiettivi della piccola e media impresa italiana: il nostro miglior tessuto economico e sociale. Bacino di crescita produttiva, di visione, ed anche di riflessione sociale.

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‘Ho passato anni a soffrire di quella che definirei, “rubandola” agli psicologi, la sindrome dell’impostore, ossia a chiedermi se mi meritavo davvero il mio ruolo e a darmi da fare per dimostrare a tutti e anche e soprattutto a mio padre che valevo. Finché un giorno, dopo un lungo lavoro su me stessa e dopo aver davvero metabolizzato le parole sue e dei miei colleghi, ormai divenuti la mia famiglia allargata, ho capito che era arrivato il momento di credere più in me stessa, ed andare semplicemente avanti con l’impegno e la passione che mi contraddistinguevano, senza più sprecare energie ad arrovellarmi. Ho provato di fatto a trasformare questa vulnerabilità in un punto di forza, affinché divenisse uno stimolo al miglioramento continuo personale e professionale invece che una zavorra da portare. Racconto tutto ciò, non senza un certo timore trattandosi di temi così personali, per portare un messaggio positivo a quanti vivono, per i più disparati motivi, momenti di incertezza, di dubbio e di fragilità. Spesso siamo abbagliati da giudizi e pregiudizi, ed anche, forse, troppo influenzati da ciò che gli altri pensano di noi. Quando invece a contare dovrebbero essere solo i fatti e la coerenza tra le nostre azioni e i nostri valori.’ conclude Meroi, ricordando quella che definisce la sua “crociata per la gentilezza, valore che ritiene cardine della vita aziendale e personale”.