Interoperabilità, accessibilità e open source come principi chiave per rifondare i processi della PA. Digital Compass e PNRR per un futuro resiliente. Disco verde alla cooperazione europea, ma la trasformazione digitale della PA italiana procede a macchia di leopardo

Attenzione all’esperienza del cittadino, sistemi resilienti, ridisegno dei processi, competenze tecniche ma soprattutto manageriali, interazione pubblico-privato. Questi i punti salienti della futura PA come emerge anche dalla relazione approvata dalla Plenaria di Strasburgo con cui si chiede alla Commissione di sviluppare un pacchetto di norme specifiche, ponendo l’interoperabilità, l’accessibilità e l’uso di software open source come principi fondamentali. In particolare, la cooperazione transfrontaliera digitale nel comparto giustizia ha ottenuto il via libera, riconoscendo l’importanza di promuovere sinergie e scambi digitali tra le diverse giurisdizioni. La relazione sottolinea l’urgenza di prepararsi per l’era dell’intelligenza artificiale e dell’automazione, riconoscendo la necessità di normative specifiche per guidare questo processo in modo etico e responsabile. La priorità sull’interoperabilità, l’accessibilità e l’open source riflette la volontà di creare un ambiente digitale che possa adattarsi in modo flessibile alle nuove tecnologie, garantendo al contempo l’accesso equo e trasparente ai per plasmare il futuro digitale in modo inclusivo e responsabile.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Le linee guida sull’evoluzione della buona amministrazione a livello europeo avranno effetti diretti anche sul cammino di trasformazione digitale intrapreso dalle singole PA centrali e locali, a livello di singolo stato. Ma quanto siamo distanti dal raggiungere questi obiettivi e quanto il PNRR potrà incidere in questo percorso? In Italia, quello che è mancato negli anni, e quello che forse continua a mancare, non sono le tecnologie, ma una visione strategica d’insieme a medio-lungo termine. I dirigenti e i funzionari pubblici europei, e non solo, sono alla ricerca di nuovi modi per rendere i loro servizi incentrati sui cittadini, riducendo al contempo i costi. Mentre la centralità del cittadino è un concetto ampiamente condiviso, i programmi di implementazione devono fare i conti con la qualità dei servizi, le diverse disponibilità di budget, i processi e i sistemi legacy, la mancanza di competenze e la scarsa pervasività di una cultura orientata al servizio. L’innovazione abilitata dalla tecnologia è ora più che mai una priorità assoluta per i politici e gli alti funzionari pubblici.

Entro il 2030, secondo il Digital Compass, l’Unione Europea si impegna ad assicurare accesso completo per tutti alla vita democratica e ai servizi pubblici online, inclusi quelli progettati per le persone con disabilità. L’obiettivo è creare un ambiente digitale best-in-class, caratterizzato da servizi e strumenti altamente accessibili, efficienti e personalizzati, mantenendo al contempo elevati standard di sicurezza e privacy. Sulla stessa falsariga, il PNRR definisce come prioritario l’obiettivo di trasformare la Pubblica Amministrazione rendendola più semplice per cittadini e imprese, riducendo i tempi e i costi e contribuendo alla creazione di nuovi posti di lavoro. La tecnologia però da sola non basta. Nemmeno i nuovi strumenti, come l’intelligenza artificiale generativa che sta attraendo investimenti pubblici e privati, da soli sono sufficienti. I leader del settore pubblico devono applicare un approccio olistico per migliorare l’esperienza dei cittadini. Devono allineare gli investimenti tecnologici con obiettivi (Purpose) incentrati sui cittadini e la qualità della vita. Devono costruire soluzioni tecnologiche e organizzazioni che siano modulari, agili e resilienti (Resilience) agli shock a breve termine e ai cambiamenti a lungo termine. Inoltre, devono estendere la loro immaginazione (Imagination) per ripensare i processi e le politiche esistenti, invece di limitarsi a digitalizzare lo status quo. E soprattutto, devono padroneggiare (Mastery) capacità operative, dati ed esperienza che possono fare la differenza, collaborando attraverso una logica di ecosistema in cui dati e servizi sono integrati tra governi e partner privati nell’interesse di cittadini e imprese, migliorando sicurezza e privacy.

OBIETTIVI IN COMUNE

I governi di tutto il mondo, indipendentemente dalla missione delle singole agenzie, hanno un obiettivo chiave in comune: vogliono migliorare l’esperienza dei cittadini. Nel 2022, secondo un sondaggio di IDC condotto su 230 dirigenti governativi europei, il miglioramento dell’esperienza e della fiducia dei cittadini risulta in cima alle priorità strategiche, ben al di sopra della resilienza operativa, della produttività dei dipendenti e della sostenibilità ambientale. Inoltre, il 55% degli intervistati ha dichiarato di aver stanziato budget messi a disposizione dal PNRR per migliorare l’esperienza e la fiducia dei cittadini; e il 77% sta investendo tali fondi proprio per aumentare l’esperienza dei cittadini attraverso la tecnologia.

Tuttavia, innovazione e miglioramento dell’esperienza del cliente non sono necessariamente correlati in modo diretto – come spiega Francesco Castanò, vicedirettore generale di ACI Informatica, che vanta una vasta esperienza in amministrazioni locali e centrali, avendo ricoperto ruoli chiave come CTO al Comune di Milano e CIO in Istat e MEF. «Gli investimenti nelle tecnologie digitali devono essere allineati a tali obiettivi. La digitalizzazione può rendere più efficienti i servizi ma deve essere guidata dalle esigenze dei cittadini. L’innovazione come mero esercizio tecnologico non sempre migliora la vita ai cittadini». La trasformazione digitale della PA italiana procede a macchia di leopardo. «Il mondo delle amministrazioni locali, pur mancando in molti casi di competenze specifiche, è molto influenzato e positivamente sollecitato dalle esigenze degli utenti finali, diversamente dalle amministrazioni centrali che hanno una minore interazione con l’utente/cittadino» – spiega Stefano Tomasini, dirigente generale del ministero dell’Economia e delle Finanze, già direttore centrale INAIL con funzioni di CIO, e una vita passata nella PA. Tuttavia, proprio le realtà con competenze maggiori potrebbero fare da traino: «La maggioranza degli oltre ottomila comuni italiani è costituita da comunità piccole, spesso prive di risorse o competenze tecnologiche adeguate. In questo senso, sarebbe utile avere servizi condivisi e progettati a livello nazionale».

Leggi anche:  Programmazione low-code per un AI Agile su SAP

Secondo Tomasini orientare le energie presenti presso le diverse amministrazioni è essenziale e deve essere individuato chi può svolgere tale servizio. «Il panorama della Pubblica Amministrazione è caratterizzato da una notevole frammentazione e al momento non si intravede una strategia a medio termine per le autonomie territoriali e per le amministrazioni centrali. Questa mancanza di indirizzo comune impedisce di indirizzare gli investimenti del PNRR in progetti mirati a creare sistemi unificati e condivisi, vantaggiosi per l’intera popolazione italiana e non limitati a una specifica realtà territoriale. Basti pensare alle differenze sia nelle modalità che nella qualità esistenti tra i vari servizi sanitari regionali, piuttosto che per i servizi di raccolta differenziata e, comunque, per tutti i servizi gestiti dai comuni. Ciò che manca è una prospettiva integrata che miri a uniformare l’erogazione dei servizi».

Per il vicedirettore generale di ACI Informatica Francesco Castanò, la soluzione di un super CIO o CTO nazionale potrebbe funzionare solo in alcuni ambiti. «Per esempio, il fascicolo sanitario ha valenza regionale, mentre sarebbe più appropriato se avesse una portata nazionale, considerando che il soggetto coinvolto è il cittadino italiano. Invece di implementare il sistema in ogni singola regione, potrebbe essere più sensato realizzarne uno unico a livello nazionale, seguendo l’esempio positivo dell’app IO».

Quindi, una figura strategica a livello nazionale non dovrebbe essere incaricata della centralizzazione totale, ma piuttosto di concepire e coordinare le strategie. Allo stesso tempo, dovrebbe avere il potere di bloccare progetti a livello locale che potrebbero avere impatti su scala nazionale, assumendosi la responsabilità di elevarli a livello sistemico. Questo approccio permetterebbe alle amministrazioni locali di continuare a gestire altre iniziative. «In questo compito di regia – suggerisce Tomasini – potrebbe svolgere un ruolo importante il Polo Strategico Nazionale, costituito nella logica della collaborazione tra pubblico e privato, in sinergia con TIM, Leonardo, Sogei, Cassa Depositi e Prestiti. Il PSN agisce come infrastruttura portante dei servizi che le Amministrazioni erogano a imprese e cittadini. Ciò che ancora non è stato indirizzato è il processo di omogeneizzazione dei servizi applicativi, che, invece, vengono portati nel PSN senza procedere alla loro reingegnerizzazione o al loro ripensamento dal punto di vista dei processi, dei dati e dell’esperienza utente e, quindi, senza realizzare una reale infrastruttura condivisa anche a livello applicativo. Se si implementasse questo approccio, si potrebbe agevolare la condivisione delle applicazioni e dei dati secondo la logica “once-only”, consentendo il rilascio di risorse che potrebbero essere destinate all’ideazione e implementazione di nuovi servizi evoluti». L’obiettivo – come suggerito da Tomasini – potrebbe essere la creazione di un marketplace di servizi per tutte le Pubbliche Amministrazioni e gli enti privati che ne hanno bisogno. «La gestione oculata di questo vasto insieme di dati potrebbe generare significativi vantaggi per il futuro dei servizi della PA».

RESILIENZA DINAMICA

Le organizzazioni del settore pubblico hanno bisogno di un livello di resilienza operativa che non può essere raggiunto attraverso la semplice automazione, ma che richiede la riprogettazione di processi e servizi, il disaccoppiamento dell’architettura di sistema per sfruttare le tecnologie moderne, come il cloud, l’intelligenza artificiale e l’adozione di metodologie agili. Quando la Small Business Administration (SBA) statunitense ha dovuto rispondere rapidamente all’ondata di richieste durante l’emergenza pandemica per distribuire le centinaia di miliardi di dollari di sussidi alle imprese, ha creato in pochi giorni una nuova applicazione di elaborazione dei prestiti nel cloud per il Paycheck Protection Program e l’Economic Injury Disaster Loan (EIDL). L’utilizzo di piattaforme di sviluppo cloud-native ha permesso di accedere ai moderni strumenti che hanno permesso di valutare in modo rapido le prestazioni, la robustezza, la manutenibilità, la sicurezza e la compliance del codice delle applicazioni sviluppate. La risposta rapida è stata possibile anche grazie ai cambiamenti organizzativi che l’ASB aveva attuato negli anni precedenti, quando la SBA aveva creato un centro di competenza per mettere a fattore comune conoscenze e tool provenienti dalle varie funzioni.

RIPENSARE I PROCESSI

Le amministrazioni pubbliche centrali e locali sono alla ricerca di innovazioni dirompenti per migliorare la convenienza e l’accessibilità dei servizi pubblici. Questo significa consentire a cittadini e imprese di utilizzare canali con cui sono già familiari, anziché imporre loro di registrarsi per servizi elettronici che potrebbero utilizzare solo sporadicamente. Tuttavia, tali cambiamenti richiedono un ripensamento dei processi esistenti e una revisione delle leggi e delle politiche, per esempio, per certificare e regolare i servizi digitali offerti dal settore privato. Altrettanto importante è la necessità di riprogettare i sistemi IT. Anziché sviluppare un’applicazione governativa separata, si può creare e mantenere un’interfaccia di programmazione delle applicazioni (API) che faciliti lo scambio di dati tra il governo e i partner privati. In questo modo, si promuove la collaborazione, mantenendo nel contempo rigorose protezioni per la privacy dei cittadini. Quando l’Agenzia delle Entrate e delle Dogane del Regno Unito (HM Revenue and Customs – HMRC) ha scelto di capitalizzare l’innovazione in corso nell’ecosistema dell’open banking, lo ha fatto per reinventare il tipico processo di riscossione delle entrate, con conseguente miglioramento dell’esperienza dei contribuenti. Il nuovo servizio ha reso le tasse pagabili in un clic e ha migliorato l’efficienza interna poiché HMRC ora deve gestire meno errori e pagamenti insoluti.

Leggi anche:  FAR Networks, il potere del lavoro ibrido

«La prima cosa da fare è ragionare per outcome e non per output» – spiega Castanò. Gli output sono gli elementi tangibili e misurabili che derivano da un’azione, mentre gli outcome sono i risultati desiderati e i benefici che si spera di ottenere attraverso tali azioni. La misurazione degli outcome è spesso più significativa in quanto fornisce una valutazione più approfondita dell’efficacia di un progetto o di un’organizzazione rispetto alla semplice misurazione degli output. «Questo significa interrogarsi sulla logica del risultato, mettendosi dalla parte del cittadino che deve usufruire di un servizio e iniziare a misurare il reale beneficio apportato dalla digitalizzazione. Si tratta di andare oltre la mera informatizzazione, evitando di digitalizzare le inefficienze ovvero di cambiare solo il canale di erogazione di un servizio senza innovare realmente i processi sottostanti».

Ci sono almeno tre passaggi necessari per attuare un vero cambiamento. «Alla base c’è la necessità di analizzare i processi e cambiare il business model dell’erogazione del servizio, eliminando passaggi che erano utili e necessari in passato, ma che oggi non svolgono più una funzione rilevante. Il livello intermedio consiste nel domandarsi quali nuove tecnologie si possono oggi utilizzare per migliorare l’outcome del processo, consentendo di eseguire le stesse operazioni in maniera più efficace, efficiente e con maggiore resilienza. L’ultimo passaggio coinvolge la collaborazione con operatori esterni per implementare processi di co-progettazione e co-design per lo sviluppo dei servizi».

L’interazione tra settore pubblico e privato è fortemente influenzata dal contesto. «Alcune amministrazioni riescono a instaurare un efficace ecosistema collaborativo, ottenendo un effetto moltiplicatore degli impatti, mettendo insieme PA, università e settore privato» – spiega Castanò. In altri casi, non si riesce a raggiungere lo stesso obiettivo. La chiusura e la rigidità del settore pubblico non contribuiscono alla crescita del territorio, e ciò è attribuibile, in molti casi, alla gestione dei dirigenti pubblici e al sistema di incentivazione».

CAPACITÀ E COMPETENZE

I dati rivestono un ruolo cruciale nell’offrire la migliore esperienza possibile ai cittadini. I dati permettono di minimizzare l’impatto della burocrazia, consentendo lo scambio di informazioni tra diversi dipartimenti, la valutazione della soddisfazione degli utenti e, infine, la creazione di una visione completa del cittadino.

«La PA non è solo poco attrattiva dal punto di vista retributivo, ma la carenza di capacità gestionali e di governance in ambito IT rappresenta un problema significativo, anche a causa di un turnover molto limitato e della mancanza di una vision evolutiva sulle competenze necessarie. Pensare che il semplice inserimento (anche fosse di facile attuazione) di nuove risorse nella PA rappresenti la soluzione per far evolvere i servizi della PA è abbastanza illusorio. Occorre ripensare il modello operativo per la gestione del digitale della PA. Forse, un modo di affrontare la sfida delle competenze e, quindi, rendere più attrattiva la PA è attrezzarsi con realtà specializzate che, avendo come missione primaria la trasformazione digitale della PA, possano muoversi con modelli operativi ed assetti normativi diversi – più coerenti con i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro – ma all’interno della stessa PA e con maggiore efficienza ed efficacia» – spiega Tomasini. In futuro, sarà necessario concentrarsi sempre di più sull’analisi dei dati per mantenere i servizi in linea con le mutevoli esigenze dei cittadini. «Tanti soldi sono stati spesi senza ripensare i processi» – commenta Castanò. Non solo. «Ma per sfruttare il valore dei dati è necessario concentrarsi sulla qualità dei dati, i processi di governance, la tutela della privacy e la riformulazione delle policy per garantire un uso etico dell’AI per evitare di introdurre pregiudizi non intenzionali nel processo decisionale, mettendo assieme competenze di scienze sociali e data science».

SINERGIE DI SISTEMA

Secondo le statistiche di IDC, oltre il 70% dei governi condivide i dati solamente quando è strettamente necessario o quando lo impone la legge, nel settore privato e nelle altre amministrazioni pubbliche la percentuale si abbassa in media al 60%. L’interoperabilità e la condivisione dei dati costituiscono il fulcro per implementare il principio “once-only”. In Inghilterra, quando il Servizio Sanitario Nazionale (NHS) ha deciso di accelerare la campagna di vaccinazione per i care-giver non retribuiti, ha collaborato con il Dipartimento per il Lavoro e le Pensioni, il quale ha facilitato l’accesso a dati cruciali, come l’elenco dei beneficiari dell’indennità di assistenza. Utilizzando questi dati, l’NHS ha potuto identificare circa 540mila care-giver a cui non erano state offerte le vaccinazioni.

Leggi anche:  Microsoft, il tuo co-pilota per la business automation

Naturalmente, l’estensione della condivisione aumenta i rischi per la sicurezza e la protezione dei dati sensibili. In aggiunta, i cittadini possono percepire questi rischi come un effetto “Grande Fratello” superiore ai benefici in termini di reattività e praticità del servizio. Questa è la ragione per cui strumenti come i digital citizen wallet vengono implementati, per esempio il Singpass di Singapore. Questi strumenti consentono ai cittadini di accedere a una vasta gamma di servizi digitali, senza dover memorizzare le credenziali di accesso. Inoltre, permettono ai cittadini di controllare in modo trasparente chi accede alle loro informazioni personali e per quale motivo, consentendo loro di esprimere in modo continuo il consenso informato. Inoltre, i governi stanno prendendo sempre più in considerazione soluzioni sovrane che consentano loro di autodeterminare l’architettura, la catena di approvvigionamento, la sicurezza e le scelte operative.

Un ambiente normativo troppo rigido può ostacolare l’innovazione. Da un lato bisogna evitare un eccesso di normative – suggerisce Castanò – perché normare in modo eccessivo può comportare una riduzione dell’efficienza e della flessibilità operativa. Anziché emettere direttive, è opportuno assegnare agli amministratori obiettivi orientati ai risultati». Ma gli obiettivi devono essere espressi bene altrimenti lo sforzo viene vanificato. L’esempio tipico è l’obiettivo di fare formazione misurato sul numero di corsi erogato senza avere obiettivi sul risultato della formazione: «Non è sufficiente avere personale nella Pubblica Amministrazione che ha seguito corsi di formazione, ma è essenziale avere collaboratori che abbiano sviluppato una consapevolezza profonda sull’utilizzo del digitale per migliorare i servizi e che siano misurati sui benefici che quei servizi apportano».

Dall’altro l’obbligo normativo può fungere da catalizzatore per l’innovazione, poiché spinge le organizzazioni a sviluppare nuove soluzioni, processi e approcci per rispettare gli standard, dalla fatturazione elettronica alla protezione dei dati.

CONCLUSIONI

Gli investimenti isolati in applicazioni CRM, firma elettronica e portali self-service omnicanale non sono più sufficienti. I dirigenti pubblici lungimiranti stanno mantenendo l’impegno di migliorare l’esperienza dei cittadini adottando un approccio che mette al centro i cittadini. «I fondi del PNRR – spiega Castanò – sono un prestito che deve servire a finanziare investimenti con un ROI positivo. L’approccio logico doveva essere il seguente: prendo in prestito denaro e pago interessi su questo debito. Se riesco a ottenere un rendimento dall’investimento superiore agli interessi che pago, allora ho ottenuto un vantaggio. D’altra parte, se utilizzo l’investimento per progetti obsoleti o privi di utilità, o se lo faccio senza una strategia e senza utilità per l’intero Sistema Paese, allora avrò solamente dissipato risorse e tempo». Secondo Tomasini, l’ansia da spesa può influire sulla lucidità nelle scelte. «La vera sfida della strategia digitale della PA è ripensare veramente i processi, i dati e le applicazioni in una logica unitaria e federata a beneficio del “cittadino italiano” e non di una singola realtà territoriale o funzionale. Il PNRR ha messo a disposizione risorse, in una logica distributiva verso soggetti che potrebbero non avere tutte le leve e le competenze per gestirle, finendo per creare così più problemi che opportunità».

La strategia per una PA digitale è eccessivamente focalizzata sugli aspetti tecnologici, mentre sarebbe fondamentale attivare una visione strategica integrata che abiliti i cambiamenti nell’azione e nei servizi della PA abilitati dalla tecnologia, ribaltando completamente il paradigma. In questo senso, il Dipartimento per la Funzione Pubblica e il Dipartimento per la Trasformazione Digitale potrebbero accompagnare una revisione del disegno operativo della futura macchina pubblica, come “PA nativa digitale”, attribuendo a soggetti pubblici qualificati e dedicati il compito di realizzarla. Se anche non è pensabile “abbattere” gli oltre ottomila campanili, che rappresentano una delle nostre innumerevoli ricchezze, facciamo, però, in modo che suonino all’unisono, fruendo di una base comune di servizi e infrastrutture. «Oggi la strategia è un’opzione. Deve diventare un ”faro”, a cui tutte le PPAA debbono far riferimento. Ci sono molti attori che intervengono più o meno direttamente in materia di digitale. Ci sono i due dipartimenti della PCM, l’AGID, l’ACN, il MEF e altri attori. Ognuno deve svolgere il proprio ruolo con un “vision” comune, che va costruita. Ma il corretto riposizionamento dell’Italia sotto il profilo della digitalizzazione richiede uno sforzo congiunto in questo senso». Coordinare tutti gli attori coinvolti risulta difficile. È necessario un orchestratore centrale che unifichi le iniziative delle in-house centrali e locali, considerando il Polo Strategico Nazionale (PSN) come fornitore principale di servizi e infrastrutture.

Forse è arrivato il momento di riconsiderare in modo organico la costruzione di un’architettura informatica per il Sistema Paese, indipendente dai vari governi che possono cambiare nel tempo. Un’architettura che dovrebbe abbracciare sia l’infrastruttura che le applicazioni, con competenze adeguate e correttamente incentivate. Un approccio strutturato e a lungo termine potrebbe fornire la base stabile per l’evoluzione digitale della pubblica amministrazione italiana.


Eustema protagonista nell’economia dei dati

Irion: Dati di qualità in tempi più brevi