Dove ci porta il treno della GenAI? Come passare dalla sperimentazione all’adozione. Viaggio in cinque tappe per trasformare l’AI generativa da fenomeno del momento a leva per creare valore. È il tempo di decidere se restare a terra o salire a bordo

Immaginate di essere su un treno ad alta velocità che sfreccia verso un nodo industriale in cui ogni scambio è orchestrato da modelli generativi: codici PLC scritti al volo, e-mail rifinite con tono perfetto, contratti assicurativi spiegati in linguaggio naturale, checklist di qualità create in tempo reale. Non è la sceneggiatura di un nuovo film in lavorazione, ma la realtà che emerge mettendo insieme le voci dei CIO leader dell’innovazione in Italia. Nasce così questo racconto: non un white paper tecnico, ma un diario di bordo che attraversa cinque tappe fondamentali nell’adozione dell’AI generativa.

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Gli analisti di Gartner stimano 644 miliardi di dollari di spesa globale in GenAI entro il 2025. Ma accanto all’entusiasmo, c’è un dato che invita alla cautela: oltre il 70% dei Proof of Concept avviati negli ultimi due anni non ha superato la fase pilota. Il motivo? Governance assente, mancanza di controllo dei costi e difficoltà nel reperire i talenti giusti. Dalle e-mail ricevute e dalle interviste sul campo, il messaggio dei CIO è netto: «Non vogliamo un altro fuoco di paglia. Vogliamo ROI, sicurezza e scalabilità».

È da qui che inizia il nostro viaggio, costruito attraverso i contributi di Angelini, BMW, Ferrovie dello Stato, Generali, Hera, Intesa Sanpaolo e Siemens. Taccuino alla mano, da una tavola rotonda all’altra, abbiamo raccolto visioni, sfide e priorità per esplorare da vicino dati, rischi, architetture. E alla fine, tracciare la rotta per i primi dodici mesi di implementazione concreta.

IL PANORAMA DAL FINESTRINO

Prima tappa: il paesaggio è fatto di numeri. Oltre l’80% della spesa in AI generativa si concentra su hardware GPU e infrastruttura cloud, solo una quota minore è destinata a licenze di modello e servizi di consulenza. Questo significa che la corsa è soprattutto infrastrutturale e a trazione CapEx.

Cambiano anche le metriche con cui si misura il valore. Non contano più le righe di codice scritte, ma la percentuale di processi “co-pilotati”, la riduzione del time-to-market, il riutilizzo strutturato del know-how aziendale. E questo indica il passaggio da un’adozione sperimentale a una logica di piattaforma e di impatto trasversale. Mentre scorriamo i “binari digitali” del nostro viaggio, ci appaiono due curve che si incrociano.

La prima è la “curva dell’incanto”: quella in cui ogni dipendente esplora ChatGPT dal proprio browser personale, affascinato dalle possibilità, ma senza regole né struttura. La seconda è la “curva dell’industrializzazione”: qui, i foundation model e le tecniche di Retrieval Augmented Generation (RAG) non sono più esperimenti isolati, ma vengono ingabbiati in piattaforme sicure, governate, integrabili.

Lo spartiacque nella trasformazione reale dell’AI generativa non è la scelta del modello, ma la qualità con cui vengono gestiti i data contract. Senza validazione, governance e monitoraggio, i modelli perdono affidabilità, i progetti non scalano, e il ROI resta incerto. Al contrario, con data contract robusti, il foundation model diventa uno strumento industrializzabile, governabile e sicuro. Ma non basta. Senza un glossario condiviso, un audit log immutabile e un vector database trattato come un asset critico, anche l’architettura più promettente rischia di arenarsi.

DALLA TEORIA ALLA PRATICA

Seconda tappa: è il momento di mettere i piedi a terra. I casi concreti ci raccontano dove l’AI generativa ha già iniziato a creare valore. I PoC di successo hanno una cosa in comune: partono da problemi ben definiti, con metriche di business chiare. L’AI non sostituisce, ma aumenta la capacità dei team: suggerisce, sintetizza, automatizza. E quando funziona, non resta nel cassetto. Diventa microservizio, plug-in interno, acceleratore di processo. Ma sempre, e solo, quando è inserita in un ecosistema controllato: con dati verificabili, accessi tracciati e ruoli chiari. Intesa Sanpaolo adotta un approccio strategico e strutturato alla GenAI, con l’obiettivo di potenziare la produttività e rafforzare la gestione del rischio.

Sebbene i dettagli quantitativi restino riservati, il disegno appare chiaro, come ci conferma Marco Ditta, group head Data & AI Officer. Dalla Torre di Torino, Intesa Sanpaolo punta sull’intelligenza artificiale per rivoluzionare il banking, investendo su due asset interni chiave: un AI Lab integrato nell’Innovation Center e un Democratic Data Lab su Google Cloud, focalizzato sul controllo del rischio. Un ulteriore tassello è la partnership con iGenius che ha portato all’introduzione di Crystal, un modello GPT per la business intelligence generativa: un assistente conversazionale capace di fornire insight in linguaggio naturale e aumentare l’efficienza operativa nei processi decisionali. Più di un esperimento, quasi una roadmap. E l’investimento non è solo tecnologico: è culturale.

Da Torino ci spostiamo a Mogliano Veneto (Tv), sede della direzione per l’Italia del gruppo Generali. Qui l’adozione della GenAI si fa concreta e multilingue. Il chatbot Chatty dialoga in quattro lingue (italiano, inglese, francese e tedesco), supportato da un microservizio di explainability che rilegge e rende trasparente il sign-off finale nei processi di gestione sinistri. La metrica chiave è un Trust Index, costruito tramite sondaggi flash post-interazione: la fiducia diventa un KPI.

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Il progetto non è isolato: anche Generali Svizzera ha adottato Chatty, questa volta in collaborazione con Enterprise Bot e HITS (House of Insurtech Switzerland). Il motore? Una combinazione tra ChatGPT e DocBrain, per accompagnare il cliente nella scelta delle polizze e nella gestione dei sinistri. Accanto a Chatty, il gruppo utilizza anche Leo (chatbot) e Leonie (assistente vocale), entrambi basati su Azure OpenAI. Ma l’AI generativa non è solo tecnologia: è capacità di visione.

Philippe Donnet (Group CEO di Generali) ha evidenziato l’evoluzione dell’AI e il suo impatto dal punto di vista sociale, economico, lavorativo ed etico, promuovendo la creazione di Agorai Innovation Hub per guidare lo sviluppo tecnologico, centro dedicato alla ricerca e all’applicazione dell’intelligenza artificiale e della data science, sotto la regia di Generali (nella sede di Palazzo Carciotti, simbolo di Trieste e prima sede del gruppo assicurativo), con il coinvolgimento di numerosi attori pubblici e privati.

Giancarlo Fancel (country manager & CEO di Generali Italia) ha ribadito l’investimento significativo nella trasformazione tecnologica, inclusa l’accelerazione dell’uso di dati, AI Generativa e automazione. Gian Maria Mossa (CEO di Banca Generali) ha enfatizzato il valore dell’innovazione dell’AI per migliorare la produttività e i servizi, puntando a diventare la prima AI Private and Investment Bank. Anche Steven Zuanella (Group Chief Digital Officer) e Yanna Winter (CIO, Head of IT, Generali UK) sono stati di recente relatori in discussioni sulla GenAI nel settore assicurativo. Questo quadro conferma un forte impegno di Generali nell’adozione della GenAI per migliorare l’esperienza del cliente e l’efficienza operativa, con un’attenzione particolare alla governance e alla conformità normativa, come evidenziato dalle discussioni sull’AI Act dell’UE. Nel “garage” bolognese di via Carlo Berti Pichat, troviamo Salvatore Molè (direttore centrale innovazione) che ha guidato, in collaborazione con Bain & Company, la definizione e la prioritizzazione di circa 150 casi d’uso di AI generativa, distribuiti in tutte le aree di business e articolati in tre ondate di implementazione.

Il primo proof of concept, un chatbot per il contact center, è già operativo e sta potenziando l’interazione sia con i clienti sia con i dipendenti. Gruppo Hera conferma un approccio strutturato e di lungo respiro all’adozione della GenAI, con un focus strategico sulla flessibilità della piattaforma, segno di una visione orientata all’integrazione graduale e scalabile nelle operazioni. Un elemento chiave emerso è la necessità di una piattaforma flessibile, innovativa e tecnologicamente agnostica, capace di adattarsi all’evoluzione rapida degli strumenti AI e alle esigenze aziendali. C’è anche il settore delle infrastrutture al centro della rivoluzione digitale in corso. Il Gruppo FS, nel suo piano industriale da oltre 190 miliardi di euro, indica l’AI come tecnologia abilitante per trasformare la mobilità verso modelli sempre più sostenibili nei prossimi dieci anni.

L’intelligenza artificiale facilita l’adattamento delle infrastrutture alle condizioni operative e il dialogo con gli utilizzatori, come nel caso della comunicazione tra treno e binario, rendendo le infrastrutture più intelligenti e reattive. Un punto chiave è la condivisione di dati omogenei e interoperabili tra paesi, modello già avviato dall’UE con i Common European Data Spaces, essenziali per infrastrutture integrate a livello transnazionale.

Da Bologna ci spostiamo a Roma, nel quartiere Appio-Tuscolano, in Viale Amelia, dove troviamo la sede centrale di Angelini Industries. Carlo Torniai (group chief data and analytics officer di Angelini Industries) ha lanciato AskAI, un’applicazione enterprise integrata in Microsoft Teams, progettata per essere accessibile a tutti i dipendenti a livello globale sin dallo scorso anno. Basata su modelli OpenAI erogati tramite la piattaforma Azure, AskAI supporta la redazione di testi e contenuti, ed è già stata declinata in verticalizzazioni specifiche per i team HR, Legal e Field Service. L’obiettivo strategico è trasformare l’AI generativa in un “copilota” diffuso nei processi aziendali, abilitando nuove forme di efficienza operativa, automazione e valorizzazione del know-how interno. Angelini Industries sta quindi investendo in un’adozione responsabile dell’AI, con grande attenzione alla sicurezza dei dati e all’impatto sulle dinamiche organizzative. A sostenere questa visione c’è la funzione Innovation, guidata da Stefano Brandinali, che si propone di sviluppare e diffondere una cultura dell’innovazione e della trasformazione digitale in tutte le società del gruppo.

A circa 100 km a nord-est di Monaco di Baviera, nello stabilimento BMW di Ratisbona, ogni 57 secondi un nuovo veicolo lascia la linea di assemblaggio. È qui che prende forma il progetto GenAI4Q, che integra l’intelligenza artificiale nel controllo qualità per renderlo più efficiente, rapido e affidabile. L’AI analizza in tempo reale una vasta quantità di dati – non solo legati al modello e alle specifiche del veicolo, ma anche ai parametri di produzione individuali – per generare schede d’ispezione personalizzate. L’obiettivo: suggerire controlli mirati, riducendo i tempi e aumentando la precisione delle verifiche. Il sistema, accessibile tramite un’app mobile, determina autonomamente l’entità e la sequenza delle ispezioni, ottimizzando i flussi di lavoro. Si tratta di un passo decisivo verso la smart factory – come spiega Armin Ebner, responsabile dello stabilimento – dove la qualità viene garantita non solo a valle, ma integrata nel processo in modo intelligente. Con GenAI4Q, BMW rafforza la sua strategia di digitalizzazione applicata alla produzione: l’intelligenza artificiale diventa leva per l’efficienza, il valore aggiunto e l’esperienza cliente.

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Rientriamo in Italia, a Buttrio, provincia di Udine, con il caso di Danieli Automation, azienda italiana leader mondiale in automazione di processo per impianti siderurgici, protagonista di una collaborazione strategica tra Siemens e Microsoft. Il futuro della manifattura passa dall’intelligenza artificiale generativa. Al centro, la soluzione Siemens Industrial Copilot, basata sulla piattaforma Xcelerator e potenziata da Azure OpenAI, progettata per trasformare la produttività degli impianti industriali. La soluzione introduce una nuova interfaccia uomo-macchina per la programmazione. Gli ingegneri possono generare codice per PLC utilizzando prompt in linguaggio naturale, tradotti automaticamente in SCL. Secondo i dati condivisi, questa soluzione consente una riduzione fino al 60% nei tempi di sviluppo del codice, oltre a una significativa riduzione degli errori sintattici e logici. Nel caso Danieli, l’AI generativa viene integrata direttamente nei sistemi di automazione industriale: una combinazione di cloud, edge computing e AI capace di alleggerire il lavoro degli operatori, ridurre gli errori e migliorare l’efficienza. Grazie a una connessione continua tra tecnologie OT e IT, l’ecosistema Siemens-Microsoft consente risposte rapide agli imprevisti e un controllo più intelligente della produzione.

Stefano Martinis (CEO di Danieli Automation) ha evidenziato il potenziale trasformativo dell’AI generativa per i progettisti e l’intera filiera industriale. Un’opportunità condivisa da Microsoft, che stima un impatto di 384 miliardi di euro per il solo comparto manifatturiero europeo, con un risparmio di oltre 6,5 milioni di ore di lavoro annue. La GenAI approda in produzione solo se inserita in un rigoroso framework di gestione del rischio, evitando così una corsa frenetica e poco ponderata verso l’automazione.

Anche nelle iniziative più avanzate, l’adozione dell’AI generativa è accompagnata da una governance consapevole e da solide misure di controllo. La GenAI, insomma, non è una scorciatoia all’automazione, ma un moltiplicatore di valore. Accanto ai casi già citati, meritano una menzione speciale alcune esperienze emblematiche che offrono ulteriori segnali su come l’adozione si stia estendendo in modo selettivo ma strategicamente rilevante. Illycaffè, per esempio, è partner dell’Agorai Innovation Hub di Generali, dove sperimenta applicazioni di intelligenza artificiale avanzata per migliorare l’esperienza del cliente.

L’impiego di tecnologie basate su linguaggio naturale e sistemi intelligenti riflette una strategia di innovazione incrementale, orientata a una customer experience sempre più personalizzata, efficiente e data-driven. La GenAI è un asset strategico per ogni impresa, non più solo una tecnologia emergente. TIM Enterprise, in collaborazione con Google Cloud, ha avviato un programma rivolto a sviluppatori e IT manager con l’obiettivo di accelerare il ritorno sugli investimenti. L’iniziativa si inserisce in un piano più ampio di promozione dell’adozione dell’AI nei servizi alle imprese, con particolare attenzione alla scalabilità delle soluzioni.

Leonardo ambisce a un ruolo di leadership europea nell’innovazione industriale attraverso l’iniziativa LHyC – Leonardo Hypercomputing Continuum. Il progetto integra calcolo ad alte prestazioni (HPC), digital twin e intelligenza artificiale generativa per ottimizzare processi complessi in contesti ad alta criticità, come la difesa aerospaziale e l’analisi satellitare. Obiettivo dichiarato: costruire una vera e propria “sovranità tecnologica” europea, facendo leva su AI avanzata e infrastrutture di frontiera.

DENTRO LA CABINA DI COMANDO

Siamo arrivati alla terza tappa del viaggio, quella in cui si entra nella cabina di comando. È qui che si decide tutto: la direzione, la velocità e, soprattutto, se l’intelligenza artificiale generativa sarà un asset strategico o solo un fuoco di paglia. Davanti a noi, cinque leve strategiche – integrate, interdipendenti, tutte decisive. La prima è il business: ogni progetto deve stare in piedi economicamente. Significa bilanciare soluzioni rapide, che portano cassa in tempi brevi – come la generazione automatica di report o l’ottimizzazione dei processi – con progetti più ambiziosi, pensati per innovare i modelli di business. In altre parole: la GenAI deve parlare la lingua del P&L.

Poi c’è la qualità dei dati: invisibile agli occhi, ma essenziale come le fondamenta di una casa. Non si implementa l’AI generativa con dati generici o poco curati. Ogni documento aziendale diventa un asset da gestire con attenzione: deve essere aggiornato, affidabile, privo di bias. Serve una base dati strutturata, coerente, interrogabile da modelli avanzati. Le tecnologie ci sono – dai database vettoriali alla RAG – ma vanno orchestrate con disciplina.

La terza leva è la piattaforma. Qui si apre il grande tema delle scelte tecnologiche: costruire o acquistare, fare fine-tuning o usare modelli generalisti? Serve un’infrastruttura solida, ma anche strumenti di controllo. Alcune aziende usano già firewall AI per limitare le allucinazioni sotto l’1%. E iniziano a trattare gli errori dei modelli come si fa con i disservizi critici: si misurano, si analizzano, si correggono. È la cultura dell’operatività che entra nell’intelligenza artificiale.

La quarta leva è la governance. L’Europa si è mossa con normative come l’AI Act, la ISO 42001 e la NIS2. Non è più tempo di approcci artigianali. Servono trasparenza, tracciabilità, responsabilità. Le aziende più mature fanno stress test regolari, registrano ogni output, tracciano digitalmente i contenuti generati. Il messaggio è chiaro: senza fiducia, l’AI non scala. Infine, le persone costituiscono la quinta leva. Nessuna tecnologia si integra da sola. Serve un cambiamento culturale. L’alfabetizzazione AI sta diventando una soft skill trasversale. Crescono i programmi di formazione per i knowledge worker. E si stanno formando team nuovi, che mettono insieme data scientist, ingegneri della resilienza, giuristi. Anche i sistemi di incentivazione cambiano: alcuni bonus oggi si legano ai KPI sull’adozione della GenAI. Perché trattenere i talenti è parte della partita. Se l’architettura va trattata come un prodotto, allora questo significa budget ricorrente, backlog priorizzato e product owner con mandato chiaro. Chi gestisce la GenAI come una “commessa IT” rischia di finire sui binari morti del pilot purgatory.

DALLA PARTENZA AL DEPOSITO

Nel viaggio di ritorno, mentre rivediamo gli appunti raccolti e le lezioni apprese, emerge una mappa operativa per il primo anno di adozione della GenAI. Una sorta di checklist pragmatica, utile per evitare sia l’entusiasmo disordinato che l’inerzia analitica. Nei primi trenta giorni, va istituita una task force AI cross-funzionale con deleghe chiare e un mandato esplicito. È il momento di stabilire policy provvisorie sull’uso responsabile e sulla classificazione dei dati, e avviare un assessment sistematico dei processi per individuare i quick win misurabili e a breve termine.

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Entro novanta giorni, si passa all’azione: lanciare fino a tre proof of concept, preferibilmente basati su RAG con dati interni, fissando KPI con il CFO per garantire allineamento tra innovazione e conto economico. Nel frattempo, bisogna predisporre una landing zone cloud conforme ai principi FinOps, con sistemi di logging, crittografia e controllo dei costi. In parallelo, parte la formazione dei primi AI champion, con un focus su prompt design e casi d’uso rilevanti per la realtà aziendale. Entro dodici mesi, i PoC che hanno dimostrato efficacia devono essere trasformati in piattaforme enterprise scalabili e multi-modello. Qui entrano in gioco strumenti di telemetria, audit, incident response e gestione completa del ciclo di vita dei modelli. Ma soprattutto, è necessario allineare il ciclo strategico annuale con budget dedicato alla GenAI e bonus del management legati a metriche di adozione e valore prodotto.

Non è teoria. Questo approccio è già realtà in aziende come Hera, con la pianificazione in tre ondate; Intesa Sanpaolo, che ha definito KPI trimestrali di adozione; e Ferrovie dello Stato, che ha introdotto policy di logging immutabile. Ogni fase ha metriche precise, perché – per dirla con una frase di Carlo Bozzoli (board member, senior advisor, former CIO di Enel Group) – «ciò che non misuriamo non esiste, men che meno nei consigli di amministrazione». Infine, è utile ricordare che molte aziende, come Enel, stanno già sviluppando una cultura AI-driven che unisce efficienza, sostenibilità del codice e ottimizzazione dei processi. Anche quando non si parla esplicitamente di GenAI, i principi sono gli stessi: manutenzione predittiva, digital twin, gestione intelligente delle risorse. È una trasformazione industriale silenziosa – ma profonda – e già in movimento.

STAZIONE DI ARRIVO

Il nostro viaggio nell’adozione dell’AI Generativa volge al termine. Il treno rallenta, le luci della stazione si fanno più nitide. Abbiamo attraversato casi d’uso, architetture operative, modelli di governance e sfide culturali. Una cosa è certa: quando la GenAI è guidata da una cabina di comando solida, porta risparmi misurabili, nuove fonti di ricavo e vantaggi competitivi. L’analisi di quanto accade oggi nel tessuto industriale italiano ed europeo ci racconta una trasformazione già in atto, anche se molte aziende si muovono ancora in ordine sparso, con strumenti diversi e risultati disomogenei. La GenAI sta passando rapidamente dalla soglia di sperimentazione alla produzione. Le difficoltà non mancano – dalla misurazione del ROI alla trasparenza sui dati – ma l’adozione procede, spinta da esigenze concrete di efficienza, innovazione e differenziazione.

Al centro di tutto c’è la governance del dato. I CIO che vogliono guidare il cambiamento devono partire dalle fondamenta: i dati. Nessuna intelligenza artificiale può funzionare senza dati di qualità. Per superare la trappola dei PoC isolati, la GenAI deve essere trattata come un prodotto continuo: non più progetti IT a scadenza, ma piattaforme evolutive e scalabili. Per farlo, bisogna misurare quanto impatta sui processi e puntare su formazione diffusa e specializzata. C’è poi il tema dei costi di adozione, spesso sottovalutati. L’implementazione non è gratuita né “plug and play”. Richiede investimenti infrastrutturali e, soprattutto, risorse umane qualificate. Partnership con hyperscaler, startup, centri di ricerca e innovation hub sono fondamentali per accelerare l’innovazione e ridurre i costi di sviluppo. Nessuna azienda può costruire internamente tutto ciò che serve per scalare la GenAI. La vera sfida, ora, non è più capire “se” adottarla, ma “come” farlo con coerenza strategica, responsabilità e visione di lungo termine. Tutto questo non è tecnologia: è orchestrazione.

Il treno è arrivato. Dopo un anno di sperimentazioni e discussioni, è il momento delle scelte. Ora tocca ai board decidere se restare a terra, guardare il treno passare o salire a bordo. I CIO sono i macchinisti di questo viaggio. Perché la prossima fermata – quella della piena industrializzazione della GenAI – sarà già realtà nel giro di un trimestre. E ricordate: l’hype corre sempre veloce, ma il valore si costruisce nel tempo.