Siamo pronti alla Superintelligenza?

Siamo pronti alla Superintelligenza?

Un aspetto relativamente trascurato dell’intelligenza artificiale, quello della valutazione dell’efficacia dei suoi modelli nel rispondere ai prompt o più in generale a risolvere i problemi normalmente sottoposti all’attenzione dell’intelligenza umana, ci esorta a riflettere anche sui nostri limiti cognitivi.

«Non tanto per costringerci ad ammettere la nostra debolezza» – afferma Nello Cristianini, docente alla Bath University e grande esperto del settore, nel suo libro più recente, “Sovrumano. Oltre i limiti della nostra intelligenza” (Il Mulino, 2025) – ma per prepararci ad affrontare un mondo in cui una enorme quantità di “task”, dalla progettazione di un ponte alla refertazione di una mammografia, verranno eseguiti meglio e più in fretta dalle macchine.

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Nella quasi settantennale storia dell’intelligenza artificiale – il termine fu coniato nel 1956 da John McCarthy in occasione del celebre seminario estivo del Dartmouth College – l’uomo ha dovuto abituarsi anche all’idea della sconfitta davanti a una macchina “pensante”. La prima, quasi trent’anni fa, fu piuttosto clamorosa perché arrivò dopo un lungo braccio di ferro in cui lo scacchista Garry Kasparov sembrava destinato a prevalere. Nel 1997, in occasione di un torneo concesso per rivincita, il vulcanico Grande Maestro dovette inchinarsi alla rapidità con cui il supercomputer IBM Deep Blue era in grado di valutare le mosse probabilisticamente più opportune.

Meno di quindici anni dopo, fu la volta del successore di quella macchina, Watson, a sconfiggere il campione assoluto del Rischiatutto americano – il gioco a quiz Jeopardy! – questa volta, dimostrando le capacità del supercalcolo nell’affrontare un problema che gli odierni valutatori di un sistema AI chiamerebbero “non-Google proof”: rispondere a quiz di cultura generale molto complessi attraverso la ricerca in un database indicizzato di enciclopedie, dizionari e testi.

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Nel 2016, dopo IBM arriva DeepMind, una startup anglo-americana che allora era già stata acquisita da Google. In un perfetto esercizio di machine learning basato su reti neurali, il computer riuscì a sconfiggere il leggendario campione mondiale, il coreano Lee Sedol, nel raffinato gioco orientale del Go. A differenza degli scacchi, nel Go non esistevano algoritmi capaci di valutare la qualità di una posizione sul quadro di gioco: il software AlphaGo era in grado di prendere le sue decisioni attraverso l’analisi storica di centinaia di migliaia di partite “vere” e della sua stessa esperienza. Nel 2019, Lee annunciò il suo ritiro dal professionismo, conscio della sua definitiva inferiorità davanti alla «entità che non può essere sconfitta».

Da allora – ci dice Cristianini – sono sempre più numerosi gli esempi di ASI (o AI specialistica) in grado di affrontare problemi “Google proof” meglio di qualsiasi esperto umano. E la refertazione di una mammografia è realmente uno di questi esempi. Ci stiamo addentrando sempre più nei territori delle AGI (le AI generaliste) e presto o tardi (il professore è più orientato al presto) scavalleremo in quello delle ASI, le “Superintelligenze” artificiali, capaci di darci risposte su problemi che l’uomo non riesce neppure a vedere. I progressi nel settore sono oggettivamente molto veloci.

Secondo l’Artificial Intelligence Index Report 2025, recentemente pubblicato da Stanford, i tre benchmark introdotti nel 2023 – MMMU, GPQA e SWE-bench – hanno registrato, nell’arco di un solo anno, margini di miglioramento rispettivamente del 18,8%, 48,9% e 67,3%. Questo sicuramente anche grazie ai 109,1 miliardi di dollari di capitale privato investiti in AI nel 2024 negli Stati Uniti (contro i 9,3 della Cina).

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I benchmark ci aiutano a individuare meglio la direzione delle nostre ricerche e a valutare in modo più puntuale gli strumenti AI che possono tradursi in azienda in un vantaggio competitivo. Ma non rispondono alla domanda esistenziale di come vivere in un mondo in cui l’economia, il lavoro, la scuola, le leggi saranno stravolti da macchine più intelligenti di noi.