Non più singoli algoritmi, ma ecosistemi che apprendono, interagiscono e simulano mercati complessi. La finanza sperimenta il passaggio dall’automazione alla cooperazione digitale
Non si fa che parlare di intelligenza artificiale. Ma tra gli addetti ai lavori, la vera rivoluzione si gioca su un altro fronte, quello degli agenti e, ancor più, dei sistemi multi-agente. Ne parliamo con Marco D’Ambra, matematico e consulente di modellazione AI per l’econometria, che ci spiega come queste architetture stanno cambiando il modo in cui investitori e istituzioni affrontano la complessità dei mercati finanziari. Una carriera costruita al confine tra intelligenza artificiale, data science e applicazioni reali. Marco D’Ambra guida la progettazione e l’implementazione di sistemi di AI in ambienti produttivi complessi, con un approccio che unisce rigore scientifico e visione strategica.
Dopo il settore militare, la finanza è sempre stata il laboratorio naturale dell’innovazione tecnologica, dai primi algoritmi degli anni 2000 ai modelli predittivi di machine learning, fino ai moderni modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM). Ogni salto evolutivo ha portato maggiore efficienza, ma anche nuove sfide. Oggi, però, emerge un paradigma più profondo: creare reti di intelligenze autonome che cooperano o competono per risolvere compiti complessi.
La finanza non sta solo adottando AI più potenti, ma un modello di intelligenza distribuita e cooperativa, capace di simulare scenari e trasformare la gestione del rischio in conoscenza predittiva. Un cambio di prospettiva che tocca la gestione dei portafogli, la simulazione dei mercati e le decisioni strategiche, con ricadute su velocità, qualità informativa, governance e controllo del rischio. «Un agente è un’entità software autonoma, capace di percepire l’ambiente, prendere decisioni e agire secondo uno scopo» – spiega Marco D’Ambra. «A differenza di un algoritmo statico, un agente apprende, si adatta e interagisce con altri sistemi. In sintesi, un sistema multi‑agente è una rete di queste intelligenze che comunicano e collaborano per risolvere problemi complessi». Nel mondo della finanza, questo significa passare da modelli monolitici ad architetture distribuite, dove agenti specializzati condividono segnali, validano decisioni e si adattano in tempo reale ai movimenti di mercato. La vera novità non sta solo nella potenza di calcolo, ma nella capacità di dialogo e coordinamento, più simile a un team digitale che a un motore deterministico.
Che cosa cambia rispetto ai modelli tradizionali?
«Possiamo immaginare un agente che analizza il sentiment globale, uno che misura volatilità e regime, un terzo che costruisce scenari di rischio e un quarto che propone operazioni con vincoli di esposizione e liquidità» – spiega Marco D’Ambra. «Ognuno agisce in autonomia, ma influenza e viene influenzato dagli altri. Ne nasce un comportamento emergente, un organismo adattivo che si corregge, sperimenta e apprende dai feedback». Le applicazioni sono già concrete in diversi ambiti. Il loro valore – continua D’Ambra – nasce non dalla semplice automazione, ma dalla cooperazione strutturata con obiettivi chiari e metriche condivise. «Nel trading, agenti autonomi prendono decisioni operative basate su reinforcement learning. Nella gestione del rischio, altri monitorano correlazioni, drawdown e stress macro, proponendo ribilanciamenti dinamici. Nella ricerca, i modelli multi-agente replicano mercati popolati da investitori virtuali per studiare formazione dei prezzi, liquidità e rischio sistemico».
Vantaggi e limiti
Rispetto ai sistemi tradizionali i benefici possono essere riassunti in tre parole chiave: robustezza, trasparenza e la scalabilità. «La robustezza, perché un errore locale non compromette il sistema grazie a meccanismi di revisione e voto. La trasparenza, perché ogni agente lascia una traccia decisionale utile per audit e governance. E in ultimo, la scalabilità grazie a un’architettura modulare che permette di integrare nuovi mercati e competenze con costi prevedibili». Per quanto riguarda i limiti, l’orchestrazione in tempo reale è complessa. «Servono protocolli di coordinamento, gestione dei conflitti e piani di fallback per mantenere coerenza globale senza rallentare» – spiega D’Ambra. Inoltre, l’affidabilità dei modelli è un cantiere aperto. «Gli agenti basati su LLM o modelli predittivi devono preservare memoria e coerenza evitando drift e allucinazioni». E poi c’è il costo computazionale. «Più agenti significa più dati, più calcolo, più storage. E senza un disegno efficiente, la curva dei costi può crescere rapidamente». Ma chi risponde di una decisione presa da un collettivo di agenti? «Le autorità stanno ancora definendo le cornici normative su accountability e explainability, ma la maturità industriale è in evoluzione»
Dalla gestione del rischio alla strategia
I sistemi multi‑agente sono il terreno ideale per la finanza che combina dati abbondanti, processi complessi e necessità di decisioni rapide. È il contesto perfetto per sistemi capaci di apprendere, adattarsi e generare insights in tempo reale. E il vantaggio non è solo operativo. «Sul piano strategico – continua D’Ambra – i sistemi multi‑agente permettono di stressare strategie prima dell’implementazione, valutare l’impatto di shock o nuove regole, anticipare trend e punti di rottura. Simulare mercati sintetici popolati da migliaia di investitori artificiali consente di comprendere fenomeni emergenti e testare la resilienza della liquidità. Tutto questo mantenendo tracciabilità e spiegabilità, elementi chiave per l’audit e la vigilanza»
Come cambiano i ruoli?
Il gestore o il risk officer diventa un orchestratore di intelligenze perché – come spiega D’Ambra – definisce obiettivi, vincoli e priorità, verifica che i segnali siano solidi e che le decisioni restino coerenti al mandato e alla normativa. «Gli agenti non sostituiscono l’essere umano, ma ne potenziano la capacità di reazione e di giudizio» – afferma D’Ambra. «Offrono ampiezza di sguardo e tempestività, mentre l’uomo mantiene il presidio su etica, contesto e responsabilità».
Evoluzione graduale, ma profonda
Oggi prevalgono gli agenti “narrow”, focalizzati su compiti specifici. «In futuro – continua D’Ambra – vedremo reti sempre più cooperative, capaci di apprendere in modo continuo, negoziare risorse computazionali e proporre strategie alternative. Il valore non sarà nel singolo agente più “smart”, ma nell’ecosistema: un’intelligenza distribuita che unisce specializzazione, coordinamento e adattamento». In definitiva, i sistemi multi‑agente non promettono una finanza senza uomo, ma una finanza più umana nei fini e più precisa nei mezzi, in poche parole, più proattiva, interpretabile, resiliente. Se ben progettati, trasformano un processo reattivo e frammentato in una conoscenza operativa condivisa, capace di affrontare la complessità con rigore e velocità. È la direzione in cui si stanno muovendo le grandi banche di investimento cercando di integrare specializzazione algoritmica, governance trasparente e intelligenza collettiva.Come scriveva Norbert Wiener, padre della cibernetica: «Il vero problema non è se le macchine pensano, ma se gli uomini riescono ancora a farlo».
In fondo, la finanza è sempre stata un linguaggio dell’intelligenza collettiva: il luogo dove l’informazione, la fiducia e il rischio si incontrano per generare valore. Oggi, grazie ai sistemi multi-agente, questo linguaggio torna a essere vivo, dinamico, capace di apprendere ma anche di correggersi. Ma il vero salto non è tecnologico, è culturale. La sfida dei prossimi anni sarà costruire ecosistemi in cui l’uomo e la macchina condividano lo stesso fine: comprendere e governare la complessità senza smarrire il senso del limite e della responsabilità. Perché, come ricordava Wiener, il progresso tecnologico ci fornisce strumenti sempre più potenti, ma resta a noi decidere come usarli.


































