Class-action contro Microsoft

Un pacco bomba nei prossimi giorni sarà recapitato alla cancelleria di un Giudice di Pace toscano. Non si tratta di un attentato ma sicuramente sarà un evento i cui effetti deflagranti si accoderanno a distinte iniziative già intraprese in altri Paesi.

Aprire la confezione del manufatto non comporterà alcun tipo di pericolo o controindicazione per gli addetti agli uffici giudiziari.

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Il congegno, infatti, non è realizzato con inneschi, cavi nè, tantomeno, con esplosivo, ma sarà una sfilza di nominativi che obbligheranno la Microsoft a comparire nelle aule del tribunale.

L’ADUC, la nota associazione per la tutela dei consumatori, si è fatta promotrice di una class-action – strumento introdotto nell’ordinamento nazionale dal 1 Gennaio scorso – nei confronti del colosso di Redmond.

L’argomento su cui è incentrato il ricorso è la preinstallazione sui computer “griffati”, in particolare sui notebook, di sistemi Windows.

L’acquisto di un PC, nella stragrande maggioranza dei casi, non prevede l’acquisizione del solo hardware, ma, come appare evidente da qualsiasi volantino pubblicitario in circolazione, anche di una licenza d’uso di una specifica versione del sistema operativo della Microsoft.

Ma cosa accade se un utente predilige quel determinato PC, ma le sue preferenze sul software sono orientate verso altri orizzonti?

La richiesta di scomputo della parte di costo inerente il programma sembrerebbe essere la soluzione più ovvia.

In realtà alcune case non contemplano alcuna possibilità di risarcimento, ma solo di restituzione dell’intero pacchetto; altre, invece, hanno stabilito procedure pressoché scoraggianti per il proprio cliente come, ad esempio, la richiesta di spedizione del computer alla casa madre – a spese dell’acquirente – per la successiva formattazione del supporto di memorizzazione e la conseguente restituzione di una determinata somma – solitamente inferiore al valore effettivo della licenza -.

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L’alternativa – più pratica ma non meno indolore per le propri tasche – è rinunciare al rimborso e sostituire d’iniziativa il sistema operativo.

L’organizzazione per la tutela dei diritti dei consumatori, che già nel lontano 2005 aveva intentato una causa fondata sulle medesime motivazioni e conclusasi favorevolmente per il ricorrente nel 2007, ha tenuto a puntualizzare che, prima di avviare qualsiasi pratica per ottenere il rimborso, coloro che non volessero servirsi del sistema operativo preinstallato non devono assolutamente accettare le condizioni del contratto che compaiono sul monitor e, in ogni caso, non utilizzarlo.