Mercato e contiguità virtuale nel Bel Paese


Aristotele, il più grande informatico di tutti i tempi, ha detto in tempi non sospetti che il modo di pensare dipende dagli strumenti di pensiero che si possiedono. I numeri romani resero impossibile il calcolo di una divisione e così si visse ai tempi dell’impero. La tecnologia informatica oggi annulla lo spazio nella comunicazione e nell’accesso all’informazione, così oggi è impensabile considerare la compresenza un vincolo per interagire con colleghi, amici, parenti, o per conoscere o comprare qualcosa, e un tweet ha sostituito il “ciao, amico mio” con cui molti di noi sono cresciuti. La contiguità virtuale sta cambiando nel profondo molte intime abitudini personali e sociali, ed è evidente che questo nuovo pensiero ha cambiato e cambia in modo definitivo anche il modo di fare business, vista soprattutto la capillare e globale disponibilità di accesso alle tecnologie.

Se però analizziamo come procede in questo Paese nelle aziende lo sfruttamento delle opportunità che la contiguità virtuale offre, la percezione è che tra la sostenibile leggerezza della nuova comunicazione pervasiva e il peso del ristagno economico si osservi la persistente prevalenza del secondo.

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I segnali forti non sono confortanti, nel 2010, per la prima volta, l’investimento delle aziende in ICT ha visto una crescita percentuale inferiore alla crescita del nostro Pil, già di per sé deprimente; aggiungiamo che il segnale è doppiamente preoccupante, sia perché nei Paesi che con noi concorrono il rapporto tra le crescite è estremamente positivo per l’ICT, sia perché nella storia del nostro Paese la riduzione di tale rapporto è sempre stata foriera di periodi di ulteriore ristagno globale del mercato.

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Eppure, fin da una prima osservazione, si scorgono nel nuovo mondo sempre connesso caratteristiche che si attagliano perfettamente alla nostra natura industriale di sviluppatori attenti e accorti di prodotti eccellenti, spesso di nicchia. La disponibilità di qualcosa di specifico e migliore è infatti l’imperativo di chi nella Rete cerca la propria dimensione di acquisto o vendita.

Tentando di rispondere al perché nelle aziende italiane ancora si osservi una strategia di retroguardia, si può senz’altro riconoscere che sia la domanda dell’industria che l’offerta del comparto informatico sono ancora focalizzate quasi esclusivamente sull’ottimizzazione dell’esistente anziché sull’evoluzione del business tramite ICT. Sembra quasi ci sia la volontà di chiudere gli occhi ancora per un po’ di fronte alle nuove realtà, esprimendo scetticismo sulla effettività e sui tempi in cui l’evoluzione del mercato avrà luogo, specialmente nel nostro vecchio Paese. Invece ogni giorno di ritardo è pericoloso, perché il business della contiguità virtuale richiede una mutazione epocale dei sistemi e dell’approccio culturale all’ICT, attuabile solo con progetti persistenti e pervasivi che preparino tutta l’azienda a nuovi modi di proposta e risposta velocissimi, ma estremamente puntuali.

Si pone quindi la domanda, dove trovare le competenze per guidare questo cambiamento culturale e organizzativo nelle aziende?

Il punto che ritengo sfugga è che gli esperti di contiguità virtuale vivono tra di noi molto di più di quanto crediamo. Il nuovo pensiero è infatti nativo e interiorizzato nella generazione digitale, nata con il Web e quindi naturalmente connessa. Purtroppo però, per le remore del nostro sistema del lavoro, tale potenziale non esprime la sua competenza nei modi e nei luoghi in cui l’industria si attende di trovarli istituzionalmente.

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Garantisco, invece, che lavorare per qualche mese con un poco più che ventenne nativo digitale che operi con un ruolo di innovatore in un team che lavora su un progetto di informatica gestionale, è un esperienza fortemente istruttiva che mi sento di consigliare sia al comparto ICT che alle aziende. I “perché” che da queste figure vengono posti fanno rilevare quanti modi di informare e comunicare che si perpetuano siano legati a stilemi stantii, anche se magari operati con software e sistemi nuovissimi e, ahimè, spesso appena implementati.

Non sto ovviamente proponendo la ricetta risolutiva e decisiva, ma ritengo che il rischio di introdurre giovani capaci nelle strutture ICT al di là dei ristretti fabbisogni degli organici, e coinvolgerli nello studio dell’evoluzione della comunicazione di mercato sia un’opportunità fondamentale per attuare senza troppi costi un investimento innovativo in azienda.

Franco Coin, Ceo di MHT