Si dice che l’economia americana sia la locomotiva del mondo. Se è ancora vero, i dati del rapporto Adp possono essere una buona notizia anche per l’Europa in crisi di identità. Adp – con quasi 9 miliardi di dollari di fatturato e quotata al Nasdaq – può vantare non solo la “tripla A” di Standard & Poor’s, (le aziende “tripla A” sono solo quattro, Microsoft, Exxon e J&J), ma anche di fornire le cifre sull’occupazione negli Usa, che rappresentano il termometro dello stato dell’economia a stelle e strisce.
Secondo i dati di Adp, più della metà dei nuovi posti sono stati creati in piccole e medie imprese e soprattutto nel settore dei servizi. In ripresa anche il settore manifatturiero e dell’edilizia, con 52mila nuovi posti e quello industriale, con 22mila. Un segnale positivo è stato registrato anche dal dato settimanale sulle richieste di sussidi di disoccupazione, sceso di 15mila unità. In Italia, dove Adp ha completato l’acquisizione di Byte (e Roberto Gamerro è Ceo della nuova realtà), le cifre del rapporto sono, invece, passate in secondo piano. Eppure, varrebbe la pena di fare qualche riflessione, soprattutto se si considera che sono le start-up, sostenute dal capitale di rischio e con meno di venti addetti, ad alimentare nuovi posti di lavoro (dati National Venture Capital Association). La parola “start-up” è stata pronunciata dal Governo Monti, che punterebbe sulla semplificazione delle procedure per la nascita di nuove imprese. Ma per far salire l’occupazione nazionale ci vorrebbe un’Italia più coraggiosa. Israele destina lo 0,18% del Pil al finanziamento delle start-up (dati Ocse). Seguono Usa, Svezia e Finlandia. L’Italia è fanalino di coda. Nella nuova guerra tra Usa e Cina per assicurarsi nuovi talenti, l’Italia saprà giocare la carta della creatività?
