Acer: “Senza il cloud gli indossabili sarebbero giocattoli”

Il CEO Jason Chen spiega la necessità di fornire piattaforme innovative sulla nuvola per aumentare l’adozione dei wearable la cui esistenza altrimenti non avrebbe senso

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Spesso si parla di tecnologie indossabili riguardo a design, funzioni, costi e possibilità di integrazione con i dispositivi che già abbiamo. Ci si dimentica invece di menzionare l’infrastruttura che tiene in vita simili strumenti, permettendo alle aziende di fornire specifici servizi a ogni cliente. Il cloud è il collante che ha permesso ai wearable di essere anche solamente pensati, prima che prodotti, trasportando così la produttività (qualunque essa sia) dall’ambito locale a uno raggiungibile e disponibile ovunque. A ricordarlo oggi è Jason Chen, CEO di Acer, una delle aziende che dietro le quinte lavora sempre di più per portare a tutti i vantaggi della nuvola. Secondo Chen: “Il mercato degli indossabili oggi è frastagliato perché le persone non sanno realmente cosa vogliono. Noi crediamo che ciò che conta davvero sia la piattaforma cloud. E’ qui che convogliano le informazioni aggregate dai singoli individui che dovrebbero mettersi nell’ottica di chi sa di non collezionare solo dati personali sul proprio battito cardiaco o forma fisica, ma che sta producendo e condividendo quei dati con una comunità di persone con età, sesso e stili di vita diversi. Che senso avrebbe registrare solo il proprio tempo durante una maratona? E’ utile invece comprarlo con quello degli altri partecipanti oppure con i tempi delle edizioni passate per capire come sono cambiate le statistiche”.

Big Data per una migliore società

Quello che il CEO di Acer afferma è che, in sé, la tecnologia indossabile non porta grandi vantaggi se non intesa all’interno di un ecosistema condiviso e basato su una struttura stabile. Comprare un Galaxy Gear oppure una videocamera di sorveglianza connessa in Wi-Fi può essere utile per il reale utilizzatore, per le possibilità di interazione e di controllo che essi comportano, ma se non ci fosse un luogo virtuale, dove queste informazioni vengono conservate e analizzate, non ci sarebbe crescita, né tecnologica né sociale. Un esempio? Sapere quanti passi ho coperto nell’arco del mese di dicembre può aiutarmi a capire se ho camminato di più o di meno rispetto a novembre o a quanto farò in gennaio. Comparare questi dati con quelli raccolti dalle altre persone può consentire di studiare, in una determinata località, il trend dell’attività fisica, magari aumentando il servizio di mezzi pubblici quando i passi globali diminuiscono, oppure incentivare l’utilizzo del bike sharing in caso di poca attività a piedi.

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La via di Acer al cloud

Allo stesso modo, l’utilizzo di sistemi casalinghi di videosorveglianza e la denuncia di furti possono essere informazioni vitali per aumentare il controllo in alcune zone della città, così da rendere più difficile la vita ai ladri. Lo scorso aprile Jason Chen aveva coniato il termine BYOC, riferendosi al Bring Your Own Cloud, con cui si indicava la possibilità, in futuro, per i clienti di Acer di memorizzare e trasferire musica, foto e altri contenuti attraverso dispositivi diversi, tenendoli sincronizzati sui server dell’azienda. Insomma Big Data non vuol dire solo monitoraggio globale. I risvolti positivi nell’affidare le proprie informazioni nelle mani di aziende terze ci sono, basta sapervi affiancare tutta una serie di misure di sicurezza, vero tallone d’Achille del cloud post-Datagate.