Cloud, come disegnare la nuvola perfetta?

Il cloud si può considerare una realtà già consolidata anche per le imprese italiane. Sicurezza, competenza e SLA chiari però restano i punti critici per i CIO

“Con la testa (sulle spalle) nella nuvola” è il titolo della tavola rotonda organizzata da Data Manager con UniCredit Business Integrated Solutions per tracciare il livello di adozione del paradigma “cloud” da parte delle aziende italiane e per non correre il rischio di rimanere travolti dal “Cloud Big Bang”. I CIO di AlpitourWorld, Artsana Group, Bracco Imaging, Cementir Holding, Pasta Zara, RAI e SEAAeroporti di Milano hanno messo a confronto le loro esperienze sul campo e hanno girato le loro esigenze pratiche e di business all’indirizzo di Roberto Patano, senior manager system engineering di NetApp e di Vincenzo Spagnoletti, director of data center/secure power&it partners sales di Schneider-Electric.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Il cloud computing rappresenta il nuovo modello di utilizzo e di distribuzione delle risorse ICT e propone soluzioni concrete ai problemi di flessibilità e complessità del sistema informativo. Ma quali sono i vantaggi, gli ostacoli e i costi della trasformazione?

Senza una connessione dati di buon livello non c’è cloud e forse i problemi di adozione e i ritardi relativi sono dovuti al ritardo complessivo della digitalizzazione del Sistema Paese. Entro il 2020, l’Italia si è impegnata sulla copertura totale del territorio nazionale con la banda larga a 30 megabit e al 50% con la banda ultra-larga a 100 megabit. La strada è ancora in salita. E quindi, il cloud per alcune zone del Paese è una opportunità, ma solo sulla carta.

Il cloud per tutti? Come decidere

I dati sono in costante aumento, i budget in diminuzione e le risorse sempre più ridotte. Ma i CIO come possono decidere se un ambiente cloud può essere d’aiuto?

Investimenti e piani di spesa per hardware, software e servizi connessi in molti casi possono assomigliare a un gioco d’incastri. è vero che i servizi cloud offrono a tutte le organizzazioni la capacità di scalare la propria architettura tecnologica hardware e software in base alle esigenze di business del momento. Se la flessibilità è un vantaggio perché i costi sono legati all’effettivo utilizzo del servizio, l’aumento della complessità in alcuni casi non sempre si traduce in un taglio dei costi. Certo, il mantenimento di prestazioni elevate e dell’affidabilità dei sistemi sono attività time-consuming che richiedono un impegno intenso di risorse che crescono in modo esponenziale con l’aggiornamento di hardware e software. E quindi, l’infrastruttura cloud permette alle organizzazioni di avere una maggiore disponibilità e affidabilità di risorse a costi ridotti. Ma il risvolto della medaglia è quello di privare l’organizzazione di competenze mission critical che possono avere un impatto negativo a lungo periodo. Dall’altro lato, bisogna considerare il vantaggio di avere accesso universale alle risorse e alle informazioni e quello di avere maggior sicurezza per i dati che risiedono su strutture ridondanti e distribuite. Potenza a portata di mano e flessibilità devono essere allineati alle reali esigenze delle aziende. In tutti casi, il cloud è una spinta al cambiamento e all’evoluzione delle infrastrutture.  Ma è sempre meglio procedere per gradi e avere un piano “B” a portata di mano.

Leggi anche:  Città smart, significato e prospettive di sviluppo

 

 

L’impatto del cloud si fa sentire

A mettere in fila i dati di mercato e a dare una visione qualitativa e quantitativa del fenomeno è Fabio Rizzotto, IT senior research and consulting director di IDC Italia.

I ritardi sulla banda larga e ultra larga e la mancanza di una cultura dell’innovazione diffusa a livello di centri di decisione hanno un riflesso negativo sull’adozione del cloud in Italia. Sicurezza, cultura dell’innovazione e SLA chiari sono i punti critici. Per il resto, il cloud si può considerare una realtà già consolidata. A livello europeo, il 55% delle aziende ha già avviato progetti di riorganizzazione IT negli ultimi 12 mesi. E la metà ha predisposto una nuova struttura dedicata all’innovazione. Secondo l’IDC European CloudTrack Survey, il 97% delle aziende europee è coinvolto a vari livelli nel cloud (dalla fase esplorativa fino a adozione di modelli Public, Private o Ibrida). E l’80% delle aziende mondiali ritiene che trasformerà nei prossimi 5 anni almeno il 50% del proprio ambiente infrastrutturale e applicativo in un modello “cloud”.

Secondo le recenti rilevazioni di IDC Italia, il 40% delle aziende italiane utilizza già servizi cloud, circa il 40% delle aziende è interessata a fare “bundling” di soluzioni SaaS con altri servizi cloud e il 39% delle aziende ha incrementato il fatturato grazie a una più rapida ed efficace creazione di prodotti e servizi innovativi legati al cloud. Come in RAI. Del resto l’IT sta cambiando il modo di fare e fruire il prodotto televisivo. «Sanremo è un esempio di prodotto tradizionale che diventa digitale. Ma dobbiamo capire come sfruttare i dati e la sfida resta quella di cambiare l’approccio “analogico” dei CIO» – ha detto Massimo Rosso ICT director di RAI.

Cloud, tutto quello che devi sapere per essere agile come una startup

Che cosa sta succedendo?

Tra discontinuità e continuità con il passato, salti tecnologici e investimenti in affanno, le aziende sono impegnate in un percorso a tappe di digital transformation.

Per Paolo Sassi, Group IT director di Artsana Group, «il cloud in azienda è un elemento di continuità infrastrutturale. All’inizio non distinguevamo il modello cloud dal modello outsourcing. Forse, nel futuro l’IT sarà embedded a ogni funzione». E mentre la metafora del cloud pubblico si rafforza, cresce anche l’offerta delle forme ibride. La virtualizzazione totale – quella del data center – è l’obiettivo di molti vendor che puntano su piattaforme di integrazione. E la formula “software defined” investe in pieno i settori dello storage e degli apparati di rete. Ma al di là delle definizioni, dei falsi problemi come l’allocazione dei budget («Se serve si fa»), e delle distinzioni tra settori, il cloud è crossindustry per definizione perché a essere centrali sono i dati.

Infatti, per Roberto Patano, senior manager system engineering di NetApp, parlare di cloud significa parlare di centralità dei dati. Essere agili significa essere liberi di movimentare le informazioni. Il data scientist è il fulcro della rivoluzione cloud».

L’infrastruttura fisica su misura resta un fattore che permette di assorbire e superare il cambiamento.

«Il cloud è un mercato in crescita e presenta l’ingesso di nuovi player che cercano di inserirsi nel segmento dei data center dal taglio piccolo» – ha detto Vincenzo Spagnoletti, director of data center/secure power& IT partners sales di Schneider-Electric.

Leggi anche:  Sviluppare un’efficace data governance nel settore manifatturiero

 

 

Roberto Patano (NetApp Italia): «Cloud ibrido, senza mai perdere il controllo del dato»

NetApp ha sempre puntato a svincolare il dato dalla fisicità dell’hardware su cui risiede. La virtualizzazione semplifica la gestione e l’aggregazione di informazioni eterogenee. «Abbiamo sempre puntato a svincolare il dato dalla fisicità dell’hardware su cui risiede». «Il dato è un punto centrale su cui NetApp articola non solo la suite di prodotti di storage ma tutta la propria vision» – spiega Roberto Patano, senior manager systems engineering di NetApp Italia. E anche l’approccio al mondo cloud si basa «sulla possibilità di movimentare i dati dentro al private cloud, verso gli hyperscaler e quindi verso i service provider pubblici, mantenendo la percezione di dove risiede l’informazione e creando così un ecosistema che sia il più possibile universale, in modo da semplificare i costi di operazione».

Il cloud è una realtà ed è una grande opportunità per le aziende, non solo in termini di business ma soprattutto come driver per fare evolvere l’infrastruttura IT. Si tratta di una trasformazione culturale che investe in pieno il ruolo dei CIO. E Roberto Patano insiste sulla centralità dell’informazione. «L’informazione ha un suo valore intrinseco indipendentemente dal mercato. E questo valore deve essere agilmente movimentato nelle varie infrastrutture senza vincoli o condizionamenti. Il cloud non è per tutti allo stesso modo. Ma ci sono già adesso dei servizi che possono essere messi in cloud e che permettono di migliorare i processi da subito».

 

 

Vincenzo Spagnoletti (Schneider Electric): «L’infrastuttura convergente. Energia, potenza e automazione»

Ci sono aziende che hanno cominciato a spostare sul cloud la parte di servizi di collaboration, di CRM e di condivisione delle informazioni. E ci sono anche aziende che si sono spinte oltre nel dare il 100% dei servizi in outsourcing. Nella scelta dei modelli di evoluzione delle infrastrutture, i CIO svolgono un ruolo determinate. Dove sono i miei dati? Qual è il data center di riferimento? Quale deve essere il mio piano di disaster recovery? Quali sono le modalità di business continuity? Sono solo alcune delle domande che preoccupano i CIO. Per Schneider Electric, tutto parte da un’infrastruttura fisica, solida di data center capace di dare continuità operativa e piena efficienza energetica. E se il modello ibrido viene favorito per la sua flessibilità nello spostare dinamicamente i carichi di lavoro, oggi Schneider propone un’offerta orientata all’alimentazione di diverse tipologie di infrastrutture.

«Quando si parla di cloud – spiega Vincenzo Spagnoletti, responsabile per le vendite Data Center/Secure Power e IT Partners di Schneider Electric – tra le preoccupazioni ricorrenti dei CIO ci sono il dato e l’accessibilità alle informazioni, che sono strettamente collegate alla continuità del business. Noi diciamo che la continuity va pensata partendo dal livello fisico e integrandola nei vari layer successivi per dare solidità al concetto di cloud».

Leggi anche:  Codice ESG, la sfida dell’IT sostenibile

 

 

Il cloud giusto per le banche

«Non è vero che le banche sono lente nell’abbracciare il cloud» – ha spiegato Pierangelo Mortaraexecutive vice president & deputy general manager di UniCredit Business Integrated Solutions. «Le banche sono solo molto attente alle implicazioni che le scelte IT comportano per la sicurezza e i livelli di servizio. Non è decisivo il costo, ma l’agilità». Il settore bancario sta muovendo i primi passi nell’adozione del cloud computing, capitalizzando anni di esperienza su temi quali la virtualizzazione, l’outsourcing e la sicurezza. Le banche vedono il cloud come un innalzamento dei modelli di servizio e stanno valutando quali tipologie di carico computazionale far virare, favorendo applicazioni non-core, nel rispetto delle policy di sicurezza. Non solo. Grazie al progetto pilota di UniCredit Business Integrated Solutions anche il modo di lavorare in banca sta cambiando rapidamente.

La progettualità sul cloud non si può improvvisare

Il cloud impone un cambiamento culturale e tecnologico all’interno dell’organizzazione.

La sicurezza è la prima e imprescindibile considerazione alla base di ogni discussione sulla transizione verso il cloud, soprattutto in termini di cloud pubblico. L’altro aspetto critico è quello contrattuale. Processi, ruoli, competenze, budget registrano uno spostamento. Purtroppo, «il CIO non è quasi mai ai tavoli dove si decide» e l’IT più che strategico è la «Croce Rossa» – ha commentato Andrea Provini, global CIO information technology services di Bracco Imaging epresidente di AUSED.

Per Fabio Degli Esposti CIO di SEA – Aeroporti di Milano, «il cloud non è solo una moda, ma un’opportunità. Il cloud è facile solo se si governa la tecnologia. Il rischio che vedo è quello di non garantire i livelli di performance richiesti. Inoltre, bisogna avere sempre a portata di mano un piano B e una strategia di uscita per tornare indietro».

6-tavolo

Le nuvole non sono tutte uguali

I carichi di lavoro non sono tutti uguali e nemmeno le architetture cloud. Per Alessandro Galaverna, CIO e CDO di Cementir Holding, occorrerebbe fare un salto quantico: «Il cloud ci serve, ma non è vero che diminuisce i costi, anzi li aumenta». Quando si discute di migrare la propria infrastruttura in-house usando servizi di cloud computing, uno dei problemi più sentiti in azienda – ha spiegato Enrico Aramini, CIO di Pasta Zara – «è quello relativo alla sicurezza dei dati e del canale di comunicazione usato per raggiungere i dati. Per questo l’evoluzione del modello cloud seguirà il modello VPN».

Una tecnologia di trasformazione comporta sempre un cambiamento culturale, altrimenti fallisce. Per essere un’azienda che vuole operare con sicurezza nel cloud bisogna sviluppare nuove competenze, nuovi ruoli e una leadership in grado di comprenderli. E Francisco Souto, CIO di AlpitourWorld non ha dubbi:

«La digitalizzazione ha salvato i CIO. E il cloud continuerà a dare lavoro ai CIO». Il cloud è un’opportunità solo quando le aziende sono pronte. Cloud “Big Bang”? «Mai». Clouding test? «No, grazie»!