Tecnologia alla deriva


Sono rimasto molto colpito dall’immagine della Costa Concordia, la più grande e forse più moderna nave da crociera italiana, sdraiata su un fianco a ridosso della riva, con uno squarcio di settanta metri sotto la linea di galleggiamento.

Colpito, ma anche stupito di come un agglomerato di tecnologie, come deve essere una nave di quel tipo, potesse essere finita così, stupidamente, spiaggiata.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Per noi che, a vario titolo e con differenti competenze, ci occupiamo di Information & Communication Technology, un evento come questo non può che meravigliarci. Ma come, se l’innovazione attuale, attraverso sensori e chip, consente anche a un’autovettura di serie, di classe media, di arrestarsi di fronte a un ostacolo, evitando un incidente, possibile che un mastodonte del mare che avrà a bordo centinaia di migliaia di euro di tecnologia ICT, non disponga di un alert quando si trova nelle vicinanze di uno scoglio? Non posso crederci.

“Diciassette metri di tecnologia, la più sofisticata, per governare l’ammiraglia della Costa Crociere e della marineria italiana. È sulla plancia di comando il “cervello” della “Concordia”, un concentrato impressionante di strumentazioni hi tech e sistemi di automazione che consentono il controllo assoluto e totale della navigazione”, si legge in un articolo di la Repubblica. Diciassette metri di tecnologia… un data center in piena regola. Allora come è possibile un incidente? La risposta, purtroppo, sembra essere semplice. Si tratta di errore umano, di superficialità, della convinzione di poter governare un sistema tecnologico baypassando la tecnologia stessa, vanificando qualsiasi sistema di sicurezza.

Tutto questo ci riporta a un’altra considerazione: anche nelle aziende quando si tratta di sicurezza IT non sono sufficienti i diversi antivirus, i firewall, i sistemi Data Loss Prevention, di Identity Access se non è definita una policy di sicurezza aziendale precisa e se il personale non si attiene rigorosamente a essa.

Leggi anche:  BauWatch chiude il primo anno di attività in Italia con uno sguardo al futuro fra sostenibilità e rigenerazione urbana

Il fattore umano è determinante. Spesso questa affermazione è usata e percepita con una valenza negativa, ma se si parla di risorsa umana la prospettiva cambia. Il “fattore umano” diventa un valore.

La risorsa umana va valorizzata, non va interpretata e catalogata come un costo, ma come un investimento al pari degli investimenti in infrastrutture e soluzioni tecnologiche.

Non sembra però che questa sia la realtà italiana. Basta dare uno sguardo ai numeri che emergono dall’Osservatorio dei profili professionali nell’IT, realizzato da Assintel e presentato recentemente.

Si riducono gli occupati “tradizionali” (sono il 78% del campione) mentre crescono quelli atipici (22%). Continuano a contrarsi le tariffe professionali, ma quello che è più preoccupante è che calano gli investimenti in formazione (-4,4%) e solo il 22% delle imprese prevedono percorsi di valutazione del personale favorendo una sorta di valorizzazione delle risorse.

In un momento di difficoltà come quello attuale, ha affermato il presidente di Assintel, Giorgio Rapari, durante la presentazione dei dati della ricerca, il taglio dei costi come strategia di sopravvivenza è la tentazione più pericolosa per le aziende tecnologiche, perché sviluppo, formazione e innovazione dei talenti sono la garanzia del loro stesso esistere sul mercato. «Ora servono misure per incentivare lo sviluppo dei talenti», ha concluso Rapari.

Il presidente di Assintel si riferiva specificamente alle imprese IT, ma i concetti restano validi per qualsiasi impresa che nell’ICT cerca, a ragione, un fattore di crescita.