Cloud tra perplessità e concretezza

Aziende utenti e fornitori tornano a sedersi alle tavole rotonde che Data Manager organizza in collaborazione con UniCredit Business Integrated Solutions. Per parlare della “terza piattaforma” e rispondere a una serie di domande esistenziali su passato, presente e futuro del cloud computing

Il processo di profonda trasformazione tecnologica che ha avuto inizio con la virtualizzazione delle risorse fisiche di elaborazione grazie ai diversi motori, altrimenti detti “hypervisor”, ha avuto le ripercussioni desiderate in termini di crescita e trasformazione del business oltre che dal punto di vista della razionalizzazione e della riduzione dei costi? La sigla “SD” che i fornitori appongono a ciascuna delle grandi categorie di prodotto e applicazione dell’IT, dal data center, allo storage, fino alla stessa rete fatta di cavi e sistemi di instradamento, vale anche per la software defined company e i suoi processi? E come si ripercuote tutto questo cambiamento sulle tradizionali gerarchie dell’IT aziendale, sulle figure chiamate a promuovere e allocare gli investimenti, sui ruoli dirigenziali e intermedi effettivamente coinvolti nel governo, oltre che nell’utilizzo pratico delle nuove soluzioni disponibili attraverso la galassia del cloud? Siamo da sempre abituati a tener conto del naturale divario tra l’ICT professionale descritta dal linguaggio ottimista dei vendor di tecnologie e la realtà implementativa di qualsiasi soluzione, necessariamente immersa in un concreto sistema di vincoli di natura tecnica, culturale e di budget.

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La narrazione del cloud computing sconta se possibile un gap ulteriore: quello che si gioca sulla promessa di cambiamento nelle aziende e nei settori che decidono di abbracciare in pieno i suoi paradigmi. Forse, per la prima volta, la tecnologia non si ferma ai tradizionali aspetti dell’efficientamento e della riduzione dei costi per cercare le sue leve motivazionali. Molto più della virtualizzazione, con la sua forte “proposition” sul piano della ottimizzazione delle risorse hardware, o della prima fase dell’outsourcing, capace di spostare l’attenzione dall’investimento a una più appetibile spesa “a consumo”, il cloud computing si pone come agente di trasformazione e creazione di nuove opportunità. E non è una promessa vuota: Internet ha dimostrato che la tecnologia rende possibile un’economia che prima di Internet era semplicemente inconcepibile. Il problema è che non è più una mera questione di upgrade infrastrutturale, come era in passato. La filosofia del cloud computing implica una capacità di trasformazione molto più radicale e sfidante, perché in linea di principio deve coinvolgere in modo molto più capillare tutti gli elementi di una organizzazione, assumendo addirittura come una delle caratteristiche fondanti la cosiddetta “consumerizzazione” dell’ICT: la spinta ad adottare dispositivi e applicazioni tipiche ormai dell’elettronica digitale di consumo, rinunciando in parte al controllo che i responsabili tecnologici aziendali esercitavano su infrastrutture e terminali end user rigorosamente selezionati prima di essere – come ancora si dice in gergo – “messi in produzione”.

 

 

Rottura o evoluzione dell’outsourcing?

Ancora una volta Data Manager ha chiamato le aziende a discutere sullo stato di avanzamento del cloud computing in Italia, i suoi vantaggi per la competitività delle imprese e più in generale per la nostra economia e le difficoltà che a quanto affermano gli analisti, ostacolano la sua diffusione rispetto ad altre nazioni europee. Un gruppo di qualificati rappresentanti del mondo della domanda, insieme a due sponsor tecnologici della nostra iniziativa e al partner IDC Italia, si è seduto intorno alla tavola rotonda – ospitata nella prestigiosa sede di UniCredit nella Torre A del nuovo quartier generale del gruppo bancario in piazza Gae Aulenti, a Milano – per intervenire su una serie di tematiche generali, suggerite ai nostri interlocutori più per fungere da stimolo che per sollecitare una risposta diretta. Ai partecipanti abbiamo chiesto per esempio quali fossero gli elementi di novità rispetto a una tecnologia che affonda le sue radici in concetti non del tutto nuovi, come l’astrazione dai livelli hardware o le stesse modalità dell’outsourcing.

Ma la curiosità del cronista verteva anche su come le aziende riescono oggi ad affrontare la trasformazione del cloud garantendo al contempo l’erogazione di servizi già consolidati, o su quali progetti di “cloudizzazione” rappresentassero lo stato dell’arte della tecnologia nelle rispettive imprese. Si è cercato anche di parlare di costi e benefici, di ostacoli e conseguenze della trasformazione a livello organizzativo, senza mancare di coinvolgere nel dibattito i fornitori presenti per affrontare un’altra tematica distintiva del cloud: il ruolo molto diverso che i provider di apparati, applicazioni, servizi tendono ad assumere al di là dei tradizionali meccanismi di definizione dell’offerta e decisione di acquisto. È vero, ci siamo chiesti, che la relazione tra chi vende e chi utilizza le tecnologie richiede molta più conoscenza dei processi interni, addirittura una maggiore “intimità” con il cliente?

La tavola rotonda dedicata al cloud computing, che come vedremo ha visto la partecipazione di otto aziende in rappresentanza di altrettanti settori di industria, si qualifica ulteriormente per la presenza di due importanti vendor attivi nei settori dello storage, con NetApp, e nei sistemi di alimentazione e condizionamento dei data center, Schneider Electric. L’incontro ha potuto inoltre avvalersi di una introduzione analitica curata da IDC Italia con Fabio Rizzotto, senior research and consulting director, che ha subito rilevato come il nostro mercato continui a mostrare qualche ritrosia nel pensare ai cambiamenti legati al cloud come a un autentico motore di rinnovamento ed espansione del business. «Questo paradigma – ha sottolineato Rizzotto – può essere invece concretamente a supporto della trasformazione. La terza piattaforma basata sui quattro pilastri del cloud, della mobilità, di Big Data e dei suoi strumenti analitici e degli aspetti social della tecnologia e dei contenuti, sta già dando vita a un ambiente interconnesso su cui costruire qualcosa di completamente nuovo».

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La pervasiva digitalizzazione, per esempio in ambito editoriale – ha specificato Rizzotto – si riflette nelle nuove opportunità, non solo in contesti tipicamente orientati al servizio, come il finance, ma anche dove si producono o si movimentano prodotti fisici. «Con l’avvento della Internet delle Cose (IoT) e la possibilità di connettere alla rete oggetti in passato privi di intelligenza, tutto, in questo senso, può diventare più smart, energia, trasporti, manifatturiero» – ha detto Rizzotto, facendo osservare come il cloud può essere un formidabile collante per favorire e mettere a valore la convergenza e il dialogo tra sistemi e processi un tempo isolati tra loro.

IDC: tutta l’Europa è nel cloud. E l’Italia?

I numeri confermano che la rivoluzione è già in atto in Europa, dove – ha precisato Rizzotto – il 55% delle aziende nell’ultimo anno ha avviato progetti di riorganizzazione dell’IT e dove una azienda su due ha creato una apposita struttura dedicata all’innovazione, affidandone la responsabilità a manager incaricati di riaggregare e sviluppare nuove competenze. Il chief information officer del futuro – si è chiesto Rizzotto – sarà l’interfaccia privilegiata nella gestione di questi nuovi servizi? Se è vero che l’80% delle aziende mondiali ritiene che da qui a cinque anni almeno il 50% degli ambienti informatici potrà essere considerato “cloudizzato” – secondo l’European CloudTrack Survey di IDC – il 97% delle aziende europee «è coinvolto a vari livelli nel cloud, dalla fase esplorativa fino all’adozione di modelli public, private o hybrid». In Italia, quattro aziende su dieci dicono di utilizzare già servizi cloud e un’analoga percentuale sostiene di essere interessata a fare “bundling” di soluzioni cloud. La motivazione, precisa il capo analista di IDC, è molto forte: «Al di là di risparmio e razionalizzazione, il 39% di aziende dichiara che l’adozione dei servizi cloud ha determinato un aumento del fatturato».

 

 

Tra i fattori che ancora rallentano l’adozione ancora più spinta – in una nazione che secondo IDC si trova ancora in massima parte concentrata sulla prima fase del cloud (quella orientata all’esplorazione delle opportunità legate soprattutto al Software as a Service) – Rizzotto cita ovviamente la questione della sicurezza e della ownership dei dati. «Tanti continuano a essere gli interrogativi sulla privacy dei clienti e sulla localizzazione e la disponibilità dei dati, ma se i freni sono rimasti immutati, molti sono i miglioramenti e le risposte che arrivano dai provider. A livello europeo, è in arrivo una nuova normativa ma già a livello di contrattualistica si cominciano a rilevare specificità su cui sviluppare sempre maggior consapevolezza». Certezze che sicuramente porteranno al diffondersi di uno spettro di più soluzioni cloud racchiuse tra i due estremi dell’infrastruttura completamente di proprietà e autogestita, ai cloud in modalità “hosted” o comunque su infrastruttura pubblica. In mezzo, a questi due estremi, si colloca la visione di un cloud “ibrido”, dove la componente di risorse infrastrutturali e Paas, può essere dinamicamente allocata tra un substrato privato e uno o più provider pubblici.

UniCredit Business Integrated Solutions: una governance a più mani

Finanziamento e governance sono stati gli ultimi due punti affrontati nell’introduzione di Rizzotto. Da chi arrivano le risorse economiche a supporto della trasformazione? E soprattutto, chi deve governare i progetti di rinnovamento e il successivo esercizio della infrastruttura di nuova generazione? La natura più pervasiva delle infrastrutture cloud così come esse sono percepite dall’organizzazione aziendale emerge dall’analisi delle modalità di finanziamento dei progetti. Nella partita tra funzioni tipicamente IT e peso delle diverse Line of Business, pesano ancora per due terzi i progetti finanziati con fondi “solo IT” o con contributo minoritario da parte del budget normalmente destinato al business. Ma un progetto cloud su tre oggi rappresenta una voce di spesa legata al business, o con contributo minoritario da parte del budget IT e questo viene interpretato come un importante sintomo di evoluzione culturale. Analogamente, cresce la “contaminazione” tra chi, in azienda, deve governare i diversi fenomeni. Predomina tra i CIO, la sensazione che il valore delle risorse e delle tecnologie IT per lo sviluppo di nuove iniziative sarà più importante rispetto al passato ed è sempre più netta l’opinione per cui IT e funzioni di business devono lavorare insieme nel delineare nuove regole e modalità di discussione e implementazione dell’IT, con l’obiettivo di valorizzare ulteriormente l’innovazione dell’azienda attraverso le tecnologie.

Pierangelo Mortara, executive vice president & deputy general manager di UniCredit Business Integrated Solutions, insourcer tecnologico globale di UniCredit, ha aperto ufficialmente la discussione, sottolineando proprio il carattere ormai pervasivo della digitalizzazione in virtù del quale – ha affermato Mortara – «l’IT non è un motore di trasformazione esclusivo. In UniCredit Business Integrated Solutions ci sono per esempio specifiche strutture addette a una forma di pensiero laterale». Secondo Mortara, non può esistere una risposta, un modello di governo specifico per il proprio settore: il discorso ormai è cross-industry e quando si parla di cloud computing, che è anche uno degli obiettivi della joint-venture tra UniCredit e IBM avviata due anni fa per l’ottimizzazione della gestione dell’infrastruttura, questa modalità di erogazione è solo l’estrema evoluzione di una spinta verso una digitalizzazione della realtà dei servizi bancari. Un settore che davvero deve diventare sempre più “software defined”. «La prima motivazione del cloud non è il costo – ha spiegato Mortara – ma il bisogno di agilità». Questa flessibilità dell’infrastruttura e nell’ecosistema di applicazioni e servizi è fondamentale per accelerare i tempi di dispiegamento di prodotti che a loro volta non vengono concepiti e fatti calare dall’alto, come avveniva in passato. Ma nascono da una relazione a due vie con i clienti di una grande banca retail attiva in molteplici geografie.

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Dalle parole di Mortara si avverte che la specificità del cloud implementato in ambito finanziario investe più direttamente la distinzione tra articolazioni privata, pubblica e ibrida della tecnologia. «È ancora difficile per esempio distinguere tra “private cloud” e forme evolute di outsourcing – ha detto a un certo punto il general manager di UniCredit Business Integrated Solutions – e sul piano contrattuale non vedo particolari differenze. Mentre a proposito di public cloud, possiamo fare poco a causa dei forti vincoli a livello di compliance». Rimane però la convinzione che sul piano della sicurezza e dell’affidabilità, una soluzione “hosted”, pur essendo più complessa, «si dimostra paradossalmente più sicura, meglio affidarsi a un partner solido piuttosto che attrezzarsi da soli».

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RAI: digital mindset per la digital company

Dall’intervento di Massimo Rosso, ICT director di Rai – Radio Televisione Italiana, è emerso subito il peso diverso che la tecnologia può avere su una media company. Se il suo collega Mortara ha preferito considerare il cloud in un’ottica evolutiva, Rosso ha guardato al cloud come fattore di radicale trasformazione. «I paradigmi della terza piattaforma cambiano i paradigmi complessivi di un’azienda come la Rai e non è più il dipartimento IT ad avere in mano le leve di controllo: i ruoli dell’IT devono parlare lo stesso linguaggio del business». In passato – ha detto Rosso – la Rai era una tipica azienda di prodotto, i suoi programmi venivano confezionati con una mentalità molto industriale. «Oggi, il Festival di Sanremo è disponibile 24 ore su 24 e genera mille tweet al minuto. Il social ha abbassato notevolmente il target d’età della manifestazione ed è uno strumento che non abbiamo mai avuto». Nel suo ruolo di responsabile IT, Rosso ha rilevato che per abilitare tutto questo è stato necessario portare al Teatro Ariston una banda cinque volte superiore rispetto alle normali coperture garantite dagli operatori: sono questi gli scenari da affrontare per rendere possibile una digitalizzazione che trasforma processi e prodotti. «Il nostro problema è acquisire un vero digital mindset, tendiamo ancora a ragionare in modo troppo “analogico”».

Pasta Zara: rivoluzione per la forza vendita

Esperienza opposta quella di Enrico Aramini, Cio di Pasta Zara, una interessante realtà produttiva veneta che oggi è il secondo produttore nazionale – e il primo esportatore – di pasta alimentare. Sul tema dell’informatica a due velocità, Aramini ha riconosciuto la necessità di dislocare una parte dell’IT a livello locale per dare continuità alla produzione, con maggiore focalizzazione sugli aspetti dell’industrializzazione dei processi e della sicurezza. «Sul versante vendite, invece, la cloudizzazione è già avvenuta, almeno con servizi tipici della consumerization come Dropbox o Evernote. Di fatto, i nostri venditori, ovunque si rechino, non devono più portarsi dietro alcuna documentazione. «Quanto alla difficoltà di accettare il cloud – ha spiegato Aramini – penso che seguirà lo stesso percorso delle reti virtuali su infrastrutture pubbliche: ci fideremo così come ci siamo fidati delle Vpn altrui».

Cementir Holding: fare un salto culturale

Provocatoria e molto personale la posizione di Alessandro Galaverna, CIO e CDO di Cementir Holding, il gruppo leader sui materiali per costruzione. Secondo lui, è fondamentale saper distinguere tra digitalizzazione e automazione: non sono affatto la stessa cosa. «Il salto, a livello di change management, è riuscire a far capire che se oggi produco un chilo di pasta o una tonnellata di cemento devo associare a entrambi un pari volume di dati». Cloud computing, insomma, non vuol dire semplicemente spostare sulla “terza piattaforma” i tradizionali servizi IT, ma mettere in luce gli aspetti digitali dei prodotti, saper collegare, grazie alle tecnologie, l’intera catena dalla domanda alla produzione. Galaverna si è chiesto però se la cultura manageriale italiana – ancora troppo finanziaria a suo parere – non abbia bisogno di una nuova fase di formazione.

 

Bracco Imaging: più semplice decidere

Tra i più convinti assertori delle metafore del cloud c’è Andrea Provini, global CIO information technology services di Bracco Imaging nonché presidente dell’associazione Aused, che riunisce i responsabili tecnologici di duecento aziende italiane. «Tra outsourcing e cloud la differenza è enorme» – ha spiegato Provini. Il primo è un modo diverso di erogare IT. Con il cloud posso fare a meno del data center o comunque riesco a ridurre, con costi accettabili, ogni rischio di tipo infrastrutturale». La rapidità è un fattore critico, abilitando l’azienda a fruire meglio dell’innovazione. «Il cloud rende le decisioni più indolori: una grande opportunità dal punto di vista del CIO che deve garantire anche continuità di business». Un ostacolo non indifferente sulla strada della digitalizzazione è però l’elevato numero di “persone chiave” delle aziende che sono lontane da quel “mindset digitale” che tutti – o quasi – invocano come un mantra. «Purtroppo la grande maggioranza dei Cio non c’è, nelle aziende. Almeno nel momento in cui si decide di crescere».

Alpitour World: cloud per tutti i gusti

Decisamente d’accordo sulle opportunità di rilancio che il cloud computing offre alla figura del Cio è Francisco Souto, CIO di Alpitour World, l’operatore turistico leader di mercato che ha lanciato diverse iniziative, sia B2B sia B2C, basate su servizi PAAS erogati da provider pubblici. «Se anch’io posso permettermi una provocazione – ha affermato Souto – vorrei dire che la digitalizzazione del business ha sicuramente contribuito a tutelare il ruolo del CIO, che negli ultimi dieci anni, forse proprio a causa di fenomeni come l’outsourcing, ha avuto meno controllo sulle infrastrutture e oggi può tornare ad assumere una duplice funzione di innovazione e guida. Ma esiste il rischio di spersonalizzazione del ruolo tecnico del CIO in un cloud che tende a essere percepito come una informatica fatta di “gusti” «da scegliere come in gelateria» – ha ironizzato il responsabile IT di Alpitour World. «Con i nostri fornitori esterni sigliamo contratti SLA molto complessi, ma non abbiamo dei contratti verso i nostri clienti interni».

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NetApp: una legge di gravità per i dati

La centralità dei dati e delle informazioni è il tema che sembra aver più stimolato l’interesse di Roberto Patano, senior manager system engineering dello specialista di storage NetApp. Per chi governa l’orchestrazione dei servizi è fondamentale, precisa Patano, capire come “mobilitare” l’informazione mentre i carichi di lavoro viaggiano tra le loro risorse virtualizzate. «Il dato ha una sua gravità – ha detto Patano – devo sempre poter assicurare un via di ritorno dopo ogni spostamento. La vera agilità dell’infrastruttura consiste proprio nella possibilità di mobilitarla». A questa centralità, si ispirano le soluzioni che NetApp realizza con il preciso obiettivo di offrire visibilità e controllo indipendentemente dalla risorsa, o dal servizio, di storage, ingaggiato al momento. «Tanto più – ha spiegato Patano – in una vision tecnologica in cui è il business a chiedere all’IT come sviluppare nuovo business».

Roberto Patano (NetApp Italia): «Cloud ibrido, senza mai perdere il controllo del dato

 

 

Schneider Electric: la fisica della nuvola

L’intervento di Vincenzo Spagnoletti, director – data center/secure power & IT partners sales di Schneider Electric in Italia, si è basato sull’impegno della sua azienda sul fronte dell’efficientamento energetico del data center, attraverso una offerta che – ha precisato – è rivolta alle aziende ma in questa fase è molto focalizzata sull’assistenza fornita ai grandi provider che erogano servizi cloud, un segmento che rappresenta un terzo del fatturato per il gruppo. «Noi stessi – ha aggiunto Spagnoletti – siamo utilizzatori di questi servizi, almeno per quanto riguarda le nostre squadre di forza vendita, con strumenti social e intranet plasmati sulle loro specifiche esigenze». Dal suo osservatorio, Schneider Electric nota un mercato dei service provider in netta crescita, sintomo di un corrispondente interesse da parte degli acquirenti. «Anche sul territorio italiano assistiamo allo sviluppo di nuovi centri, spesso di dimensioni più piccole, in termini di potenza, rispetto a una prima generazione di strutture che arrivavano a cinque megawatt di potenza assorbita». Anche la fisicità della nuvola, insomma, si sta facendo più capillare per venire incontro alle esigenze della clientela in termini di ownership e localizzazione geografica del dato.

Vincenzo Spagnoletti (Schneider Electric): L ‘infrastuttura convergente. Energia, potenza e automazione

 

 

SEA Aeroporti di Milano: decisamente non una “moda”

Fabio Degli Esposti, CIO di SEA, Aeroporti di Milano è ritornato sulla questione della «concretezza del cloud», affermando di percepire nel cloud un fenomeno molto diverso da una moda. «Penso in particolare a modelli come la Service Oriented Architecture (SOA), che ancora non saprei come interpretare». Questo non significa che i CIO non abbiano avuto modo di sperimentare la virtualizzazione delle risorse hardware fin dall’era dorata dei sistemi mainframe. «L’infrastruttura cloud offre l’opportunità di focalizzarsi davvero sull’applicazione. E se non ci fosse, il CIO sarebbe destinato a restare confinato nella sala macchine». Ma attenzione – ha messo in guardia Degli Esposti – «è sbagliato pensare che questo non sia un problema tecnico. Sento dire che con il cloud, il responsabile marketing supera il CIO sulla destra… È vero solo se il CMO sa anche far girare i computer»! In una situazione di altissima complessità come l’aeroporto, ha proseguito Degli Esposti, le perplessità riguardano meno la sicurezza e l’integrità dei dati e più la disponibilità e la performance, specie considerando le problematiche che affliggono il mercato della connettività in Italia. «Personalmente, considero il cloud come una grandissima opportunità, una volta chiarita la questione dei livelli di performance. La mia azienda ha già affrontato i primi progetti, per esempio, in ambito Sap Hana».

Artsana: fattore di cambiamento

Il contributo di Paolo Sassi, group IT director di Artsana Group ha riguardato il settore healthcare, nella sua articolazione retail, che presenta peculiari aspetti di affinità con quello che ha detto Pierangelo Mortara di UniCredit Business Integrated Solutions nel suo intervento. «Come nel banking, anche noi – ha spiegato Sassi – siamo molto regolati. Altrove c’è più liberà nell’introdurre innovazione di business. E la virtualizzazione dell’infrastruttura rappresenta un forte elemento di continuità». Per esempio, Artsana, già da tempo ha esternalizzato per intero il proprio data center. «Con l’arrivo del cloud, le sue prime declinazioni ci sono sembrate molto simili, ma oggi lo percepiamo come un fenomeno molto diverso, sui tre livelli del controllo, servizi e opportunità». Non si tratta più di esternalizzare una componente tecnologica – ha detto Sassi: «Il cloud permette di introdurre cambiamenti, fare sviluppo e soprattutto testing». Un’opportunità che tuttavia non è legata, secondo Sassi, alla digitalizzazione del modo di fare business. «Domani, per chi farà il mestiere di CIO, forse, non ci sarà la stessa necessità di continuità rispetto al passato. E forse, in futuro non esisterà neppure una funzione IT separata». E di fatto, la stessa RAI di cui ci ha raccontato Massimo Rosso sembra confermare proprio questo: il definitivo passaggio a quell’informatica “quiet”, ubiqua e pervasiva, che un visionario come Mark Weiser preconizzava un quarto di secolo fa.