Leadership, Expo e la politica “agile”

Ecco è finita. L’Esposizione universale di Milano con tutto il suo coro di polemiche, il corteo di trombe e putipù ha chiuso i battenti. Al di là del numero di biglietti staccati, del numero dei turisti e degli obiettivi raggiunti, tutto è filato via come l’olio. La task force della sicurezza ha funzionato al millimetro, nonostante le lunghe file per niente digital. Milano si è tirata a lucido e ha cacciato fuori il distintivo di capitale morale. E l’Italia, che aveva l’ambizione di nutrire il Pianeta, si è dovuta accontentare di nutrire i visitatori del sito.

Tuttavia, a dieci giorni dal Giubileo di Roma, e a quattro anni da Matera, capitale europea della cultura, (dove non arrivano ancora i treni), tutti parlano di “modello” Expo. Francamente, non ho capito che cosa si intenda. Del resto, scommesse a parte, non credo si possa parlare di Expo “modello”. A lato del grande racconto, è tempo di bilanci. E le aziende che hanno fatto da partner all’evento hanno già tirato le somme nel silenzio delle grandi sale dei Consigli di amministrazione. Intanto, il piatto forte del Governo resta il dopo Expo con il grande polo tecnologico dedicato alla ricerca, dalla bioingegneria alla gestione dei big data. Ottanta milioni di euro per iniziare. Più difficile da preparare e digerire – invece – il piatto con i tagli alla spesa IT e l’aumento del tetto per i pagamenti in contanti, che insieme potrebbero rappresentare un freno alla trasformazione digitale del Paese e alla modernizzazione della PA, proprio mentre le cifre del mercato IT in Italia segnano un’inversione di tendenza, come dimostrano le cifre della Classifica TOP100 di Data Manager. Infatti, dopo cinque anni di contrazione, tornano positivi sia il mercato dei Servizi IT sia quello del Software.

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E il 2014 si conferma più positivo del previsto, con una crescita a doppia cifra per tutti i principali operatori, anche se con qualche eccezione. Insomma, le imprese italiane spendono di più in IT per convertirsi alla Digital Transformation, ma occorre sgombrare il campo dalle ambiguità e attivare l’azione combinata di più leve. Legittimo, in un momento in cui gli indicatori sono favorevoli, finanziare a deficit la domanda aggregata. Legittimo, ma molto rischioso. Anche perché quando i politici cominciano a parlare di “agilità”, “innovazione”, “smart city” e “startup” solo per riempire il vuoto dell’agenda del giorno, finiscono per svuotare di senso quelle parole. Certo, la lotta all’illegalità e all’economia sommersa non si può fare solo per decreto. Ma non si può neppure agitare l’IT come uno slogan, soprattutto se si chiede ai Comuni un taglio della spesa informatica del 50%. In un mondo dove tutto converge, anche la politica deve trasformarsi. Serve più coraggio che strumenti. Abbiamo bisogno di una politica che sia problem solving non solo rappresentanza di interessi più o meno legittimi. Serve un atto di fede in noi stessi, nella forza delle imprese, delle idee, del lavoro e delle persone. La visione che abbiamo del futuro determina il futuro che costruiremo. Ma ce l’abbiamo una visione? Oppure l’unica vision di cui siamo capaci è quella che accompagna le presentazioni dei dati finanziari?

Sta qui il significato della Classifica TOP100, perché non conta stare in cima, conta l’impegno e il lavoro fatto per raggiungere quel risultato. Se vogliamo crescere veramente, allora dobbiamo fare di più. Per crescere dobbiamo creare qualcosa di nuovo insieme alla responsabilità di innalzare anche chi ci sta intorno. Dobbiamo essere buoni amministratori, direttori capaci, buoni padri di famiglia, buoni maestri. Il futuro ha bisogno di leaders che abbiano cuore, non solo fame di business.

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