GDO, benvenuti nell’era dell’omnicanalità

Quali leve propone il mercato delle soluzioni IT per supportare le aziende della grande distribuzione organizzata? Ecco la lista delle priorità e le tendenze chiave. Il modo di vivere l’esperienza di acquisto non solo è cambiato, ma in parte ha già cambiato le nostre abitudini

La grande distribuzione organizzata (GDO) è una galassia molto estesa e per sua natura “centrale” perché mediana fra manufacturing e processi di servizio al cliente. Data Manager ha sentito 58 CIO “pionieri” al lavoro su progetti specifici e sono emerse tre tendenze principali: l’adozione di strategie di supply chain bimodale, miglioramento della customer intimacy e digital business.

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Fino a quando la priorità del management rimane la crescita, la continua sorveglianza della logistica sul rischio operativo e sui profili di costo resta un duplice obbligo. Ne consegue perciò, come già Gartner aveva previsto a fine 2015, che la scelta di una “posizione bimodale”, intesa come capacità di bilanciare efficienza e cost takeout con adeguate leve di supporto alla crescita, sia l’orientamento consigliato per il successo secondo i responsabili della supply chain. Alcuni leader hanno strategie sartoriali per le diverse business unit, mentre altri differenziano su base geografica o per mercati individuali. In tutti i casi, il filo comune fra loro sembra essere un legame chiaro e a cascata fra strategie corporate e supply chain, performance metric targets, business processes, technology e talent management. E questo a maggior ragione perché le analisi evidenziano proprio nei CEO un ritorno a orientamenti più bilanciati. Di conseguenza, agli esperti della distribuzione viene richiesto di assumere ruoli più che mai attivi nella discussione sulla combinazione di crescita e profitto. Questa strategia parte evidentemente dalla migliore comprensione delle priorità e motivazioni del CEO da parte dei CIO che aiutano i responsabili della supply chain a raggiungere un allineamento ottimale per ogni implicazione organizzativa della filiera. Non solo. Le organizzazioni più all’avanguardia stanno lavorando per identificare ed eliminare le differenze fra percezioni di priorità e reali opportunità. In questo modo, CEO e chief supply chain officer (CSCO) sfruttano il reciproco focus su crescita e miglioramento operativo per investire ancora di più nel bilanciamento ottimale, per esempio fra vendite e planning operativo, cost-to-serve e segmentazione.

Come migliorare la customer intimacy

Le aziende leader spesso adottano indici di soddisfazione quali il Net Promoter Score (NPS) come metriche first-tier. Da quest’anno, si inizia a imporre anche lo studio su visibilità e insight estesi anche oltre i first-line customer per studiare anche gli end-user dei loro prodotti. Esperienze interessanti sono segnalate anche paragonando i concetti di qualità in entrambe le prospettive, rispettivamente di performance-to-specification e di performance-to-expectations per capire come i CIO supportino il “mining” fra i vari “sentiment” (online o via altri canali). Le aziende raccontano di aver reagito alla crisi mondiale anche orientandosi a business strategy miste in modo da proteggere i loro mercati esistenti e per crearne di nuovi. Invece di scegliere un unico focus per le loro strategie, le organizzazioni – spesso si parla di multinazionali – sono andate a perseguire un misto di operational excellence, customer intimacy e leadership di prodotto insieme. Alcune esperienze raccolte indicano che i risultati sarebbero sub-ottimi rispetto a quelli ottenibili aziendalmente da strategie “pure” o singole. Ma pur tenendo conto dei potenziali conflitti fra obiettivi e della complessità delle “strategie miste” alcuni hanno evidenziato che grazie alla carta della flessibilità IT, le aziende con business strategy miste sono riuscite non soltanto a superare le difficoltà ma anche ad avvalersi della versatilità di ibridazione che ha permesso di superare insidie particolari nei momenti di volatilità nel mercato, e di rispondere ai cambiamenti improvvisi o inattesi. In questo modo, le aziende che includono la customer intimacy nel portfolio delle loro strategie miste hanno dimostrato un “IT business value” superiore a quelle con strategie singole.

Digital business

Modelli emergenti

La tendenza principale è capire come le supply chain, a maggior ragione nella GDO, debbano rimodellarsi per sfruttare le digital capabilities, sostenendo nuovi processi di business e migliorando in modo decisivo la catena del valore. I CIO hanno la possibilità di spaziare perché il manufacturing è il centro di queste digital capabilities e la logistica confina con la produzione in termini di automazione che usa sensori, gateway, tracking systems e regole di business per prevedere, pianificare e rispondere in modo veloce ai cambiamenti. Qui l’online ha catalizzato il Multichannel order management and fulfillment che richiede una visibilità estesa. Big data e advanced analytics supportano tale richiesta di visibilità. La stampa 3D, altra tecnologia digital based, completa il quadro delle trasformazioni in atto. I modelli di digital business in rapido spostamento verso l’automazione dei processi impongono ai decisori della logistica distributiva di tenere i piedi nel “technology game” per rimanere determinanti. I piani delle direzioni aziendali in tema di investimenti tecnologici continuano a concentrarsi pesantemente sul front office ma mirano anche ad aree operative come la supply chain optimization e al costo del prodotto. Le supply chain che registrano i migliori risultati a livello globale mantengono una visione bilanciata, con focus sul margine e non sulla riduzione dei costi. Questa visione si riflette nelle priorità di investimento tecnologico. I CSCO e gli altri executive nei settori che hanno elevata dipendenza da una gestione efficace della supply chain riconoscono e sottolineano dipendenze e impatti tra le diverse iniziative di tecnologia abilitante. Per quanto attiene al cambiamento nella gestione della customer experience, la “top priority” di investimento deve essere messa in atto da supply chain e operations per erogare i benefici attesi. Allo stesso modo, le iniziative di marketing digitale nei settori industriali più dipendenti dalla supply chain avranno esito meno efficace se non coordinate con la supply chain.

Trasparenza e tracciabilità

La grande scommessa

Tutti questi spunti di riflessione trovano una perfetta sintesi nel lavoro di Gabriele Tubertini, CIO di Coop Italia, (e direttore operativo del progetto “The Supermarket Of The Future” per Expo Milano 2015). La sua vasta esperienza di digital transformation nella GDO alimentare mette in risalto il ruolo di CIO a supporto dei business process: un ruolo non solo tecnologico ma a forte focus sull’organizzazione. Come ha spiegato in dettaglio a Michael Krigsman per CXOTalk, l’impatto della digital transformation sul retailing di COOP Italia è notevole. Per esempio, occorre riflettere sul fatto che recenti analisi hanno evidenziato come almeno l’80% dei clienti cerchi informazioni sui prodotti attraverso il canale online. In questo settore, una delle battaglie più impegnative è certamente quella di diventare multicanale per soddisfare la domanda da parte di clienti sempre più digital. Ma oltre al “going digital” conclamato dei clienti, si tratta di capire se i margini vadano nella stessa direzione oppure no. E questa è la domanda alla quale è più difficile rispondere in questo momento. Investire in tecnologia e variare i processi per soddisfare la crescente digital demand dei clienti quanto paga davvero? Come spiega Gabriele Tubertini, nel settore food la domanda crescente di digitale riguarda in particolare la richiesta di informazioni sui prodotti e sulle loro caratteristiche. Questo significa che non bisogna solo fornire l’informazione, si deve creare l’interazione con il cliente, meglio ancora se fruibile da mobile. Per i clienti diventa poi ancora più fondamentale poter restringere la propria ricerca in base a parametri di prodotto prima di finalizzarne l’acquisto. Questo deve essere possibile in ogni momento del customer journey (da casa, in viaggio, nel punto vendita).

La privacy è un aspetto non trascurabile perché governa ogni passaggio da certificare ai termini delle normative in vigore. La grande scommessa su trasparenza e tracciabilità però va ben oltre gli obblighi di legge: per esempio, ci sono applicazioni che permettono di scansionare un barcode con il proprio smartphone e ottenere le informazioni su tutti i paesi di origine delle materie prime impiegate in un particolare prodotto food. La completa trasparenza fruibile dal cliente si basa su un completo ridisegno del processo aziendale interno. L’evoluzione del customer journey verso una logica continua e completamente dinamica richiede una speciale attenzione all’aspetto loyalty. Ecco allora che la digital transformation propone alla GDO grandi sfide su due aspetti chiave come i margini di guadagno e la loyalty dei propri clienti. Per il non-food italiano i “digital savvy” già contano, mentre per la GDO Food & Grocery la vera digital disruption sembra ancora all’inizio. Per quanto attiene al business model, il maggior cambiamento riguarda l’implementazione e la gestione del non-food nel canale di e-commerce con i nuovi tool di content management e di comparazione di prodotti in vendita. Anche la realizzazione di inventory real-time a disposizione del cliente e la price optimization a supporto della vendita e delle relative campagne sono fondamentali per seguire i movimenti della domanda online e offline. Uno dei maggiori impegni riguarda proprio l’inventory management passando da “box” a “items” verso l’e-commerce. Questo significa cambiare processi, sistemi e tanto training al personale per renderlo capace di gestire gli ordini sia nel punto vendita sia online.

Digital Transformation e architettura omnichannel

Nel marzo del 2016, il 97% delle aziende europee dell’industria retail ha dichiarato di aver già avviato o di stare per avviare il processo di digital transformation (IDC Digital Transformation Survey 2016) e il 71% dei rispondenti ha dichiarato che si tratta di un processo che coinvolge l’azienda nella sua interezza. In questo contesto, la maggioranza dei retailer pone la priorità sulla diffusione di un’appropriata cultura della trasformazione digitale all’interno dell’azienda. «Tale evoluzione – ci spiegano Ivano Ortis, (AVP, IDC Manufacturing and Retail Insights) e Giulio Raffaele (senior research analyst, IDC Retail Insights) – è basata su una visione comune dei suoi benefici all’interno dell’organizzazione, in termini di competitività, risultati di business, efficienza operativa e capacità di cambiamento, ed è attivata sia da una stretta e costante collaborazione tra dipartimenti aziendali sia dalla definizione di una chiara lista di KPI da considerare nelle decisioni tecnologiche e di business». Poste le basi organizzative della digital transformation, i fornitori di soluzioni IT hanno quindi il compito di introdurre (o di migliorare) l’architettura omnichannel nelle aziende clienti. Tale innovazione è senza dubbio una delle componenti più importanti del processo evolutivo dell’industria retail e, per far sì che essa sia appropriatamente strutturata, è necessario che i fornitori di soluzioni IT mettano a disposizione una Piattaforma di Omnichannel Commerce unificata in quattro aree: 1) Omnichannel Commerce Engine, unico motore transazionale per ordini e pagamenti per i tutti i canali di vendita; 2) Omnichannel Customer Experience Management e Digital Marketing execution; 3) Omnichannel Order Orchestration; 4) Omnichannel Content Optimization.

Questa piattaforma e le sue capacità raggiungono l’efficienza e l’efficacia ottimali grazie a un layer di integrazione “embedded” che la colleghi ai servizi di back-end, B2B/B2C e Data&Analytics delle aziende. Le tecnologie analytics rappresentano un’area di forte interesse per i retailer italiani e il 53% pianifica di effettuare investimenti su di esse nel corso del 2016 (IDC European Vertical Market Retail Survey 2015). «A tal proposito – come mettono in evidenza gli analisti – sarà fondamentale che i fornitori IT offrano l’opportunità di adottare soluzioni basate su intelligenza artificiale e analisi real-time che consentiranno ai retailer non solo di rendere più efficienti, veloci e redditizi i processi decisionali ma anche di migliorare sensibilmente la gestione della logistica e delle attività di marketing contestuali al punto vendita. Per esempio, il segmento della GDO che riscontra una considerevole sfida nella concorrenza sul prezzo attuata dal segmento discount, può beneficiare in vari modi di tali soluzioni. Esse possono infatti essere sfruttate non solo per un’ottimizzazione dinamica e automatizzata dei prezzi ma anche per contribuire a spostare l’asse della concorrenza dal prezzo alla fidelizzazione del cliente. Secondo gli analisti di IDC, la profilazione approfondita del cliente e l’analisi in tempo reale dei comportamenti nel punto vendita rendono attuabile la personalizzazione costante di contenuti e offerte (attraverso punti di contatto come smartphone o chioschi interattivi), arrivando a fornire miglioramenti tanto nella ritenzione quanto nel valore del cliente nel tempo». Considerando l’ambito Logistics & Fulfillment, risulta che ben il 63% dei retailer italiani sta pianificando di investire in tali soluzioni e, al contempo, una parte considerevole sta pianificando investimenti in Inventory, Warehouse, Order e Supply-chain management. In queste aree, secondo IDC, sarà dunque messa in atto un’ampia ristrutturazione in ottica omnichannel e per far sì che questi investimenti abbiano un ritorno quanto più elevato possibile nel medio-lungo periodo, sarà fondamentale che le soluzioni adottate si basino su Cognitive Computing o Machine Learning. Grazie all’automazione dei processi, i retailer riscontreranno miglioramenti nella precisione di previsione della domanda e definizione degli ordini, ma anche nella riduzione dei livelli di out-of-stock e delle esigenze operative. Un ambito in cui la GDO può ottenere notevoli benefici, nelle previsioni degli analisti, è per esempio la gestione dei freschissimi: infatti, le tecnologie menzionate, appropriatamente integrate con la rete dei magazzini e con i sistemi dei fornitori, consentono di ridurre la permanenza dei prodotti deperibili in stock e di aumentarne la durata di vita sullo scaffale.

Come applicare il modello luxury alla GDO

Se alla complessità della trasformazione digitale che sta attraversando la galassia della GDO, aggiungiamo anche i fattori sui quali si gioca la competizione orizzontale tra i diversi operatori di mercato, si arriva a un vero e proprio “Big Bang”. E per indirizzare l’energia di questo “Big Bang” al servizio del business, anche gli esperti dell’offerta ne hanno dibattuto proprio insieme ai CIO nella seconda metà di settembre al CIO Retail Summit di New York. Chiudiamo il nostro viaggio con la vision di Tito Simone (già CIO di Bottega Veneta, Tom Ford, Belstaff e Dsquared2) il quale in oltre vent’anni ha sviluppato i temi dell’omnichannel nel mondo della moda. Il suo progetto attuale è di portare la qualità del servizio del luxury a un pubblico più ampio. A Tito Simone abbiamo chiesto di raccontarci non tanto quale tecnologia adottare, ma in che modo la tecnologia può far sentire ciascuno di noi un “cliente speciale” anche all’interno di un contesto come la GDO che è massificante per definizione. «Se è vero che il progresso consiste nell’estendere a molti quello che precedentemente era appannaggio di pochi, allora il progresso apportato dalla tecnologia web dovrà permettere a chiunque di ricevere servizi al livello più alto» – spiega Tito Simone. «Già oggi, non siamo più costretti a fare la coda in biglietteria, possiamo fare shopping per tutto il tempo che vogliamo e a qualsiasi ora del giorno e della notte, senza muoverci da casa, e ricevere già poche ore dopo quanto abbiamo ordinato. Ci facciamo un’idea della qualità di un ristorante o di uno spettacolo prima ancora di esserci andati». La stessa rivoluzione sta avvenendo nella grande distribuzione per offrire un servizio unico al cliente, quel cliente che però ancora vuole recarsi in negozio, perché per lui il contatto diretto con il prodotto e la possibilità di confrontarsi con qualcuno è (e sarà sempre) la cosa più importante. «Pensavamo che internet avrebbe sostituito il negozio fisico: e invece no! Su internet – continua Tito Simone – posso accedere a tutte le informazioni sul prodotto ma non lo posso toccare, posso leggere le opinioni di chiunque ma non è detto che siano coerenti con il mio modo di pensare. All’interno del supermercato l’esperienza diretta e personale e la vastità dell’informazione troveranno il punto di sintesi. Internet può seguire ciascuno di noi all’interno del negozio e arricchire l’esperienza, contestualizzando l’informazione in funzione dei prodotti scelti e in base alle nostre preferenze». Il modo di vivere l’esperienza di acquisto nel supermercato non solo è cambiato, ma in parte ha già cambiato le nostre abitudini.

E Tito Simone racconta, in esclusiva per Data Manager, la sua esperienza diretta di consumatore. Dichiara di non frequentare molto i supermercati, ma sa che può trovarvi di tutto: «Purtroppo, io nel supermercato, mi ci perdo» – confessa Simone. «Non riesco a rintracciare la corsia giusta al primo colpo e, quando finalmente la trovo, passo un tempo infinito a confrontare le diverse marche di pasta e i mille tipi di vino». Per questo fino ad oggi, ha preferito recarsi dal suo salumiere di fiducia che si chiama Aldo, almeno fino a quando ha scoperto di potersi orientare da solo anche nell’immensa offerta del supermercato: «Ho inserito la mia lista della spesa nella app e mi sono fatto guidare sulla mappa interattiva fino al reparto giusto» – continua Simone. «Leggo i barcode sulle confezioni di pasta e posso confrontarne la provenienza, il tipo di lavorazione, il contenuto energetico. Ho impostato le mie preferenze (il grano deve essere italiano meglio ancora se pugliese o molisano, macinato a pietra e l’essiccazione lenta) e mi è stata indicata una terza marca che non conoscevo. Tra tutte le ricette che il mio smartphone ha selezionato per me, scelgo gli spaghetti con le sarde, già ritrovo sulla mappa le corsie da visitare per recuperare tutti gli ingredienti: rapido, efficace, neanche Aldo avrebbe saputo fare meglio» – racconta Simone. «A questo punto manca solo il pesce, mi presento al banco e il commesso (non credo di averlo incontrato prima di ora) mi saluta per nome. Sa tutto di me, sa che mi piace il pesce azzurro, ma deve essere freschissimo, meglio se pescato nell’arcipelago Toscano o in Sardegna, e sa che sono disposto a pagare qualcosa in più per un prodotto di alta qualità: lo sta leggendo sul suo tablet. Mi dice che le sarde (ma come fa a saperlo?) sono sì fresche, ma che mi può proporre qualcosa di meglio: questo è il periodo migliore per le alici. Sono state pescate stanotte al largo del Giglio con la lampara, e poi sono anche più piacevoli al palato». – «Bene me ne dia sei etti» – gli dico. – «Fa un chilo esatto. Che faccio, lascio»? – «Proprio come Aldo»!

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