Red Hat – Messaggeri di trasformazione

Nata come azienda monoprodotto, Red Hat ha saputo realizzare un portafoglio di soluzioni open source con cui le aziende possono vincere tutte le sfide architetturali del business digitale. Per Gianni Anguilletti, country manager di Red Hat in Italia, le parole d’ordine sono: «Trasformazione, integrazione e virtualizzazione»

Se il software open source è sempre più al centro dell’esteso e articolato fenomeno della trasformazione digitale, al centro dell’industria del software open source c’è, con la sua ampia offerta di prodotti infrastrutturali e servizi di classe enterprise, un’azienda ormai vicina al quarto di secolo di vita, finanziariamente solida e ispirata a un modello altrettanto aperto, che può a buon diritto fungere da “success story” in un ambito dell’IT che ha faticato più del dovuto per liberarsi da una reputazione di scarsa compatibilità con le esigenze “di business”. Oggi che l’open source è diventato sinonimo di affidabilità, robustezza e varietà applicativa e funzionale, tanto da sostenere l’operatività e i maggiori progetti di innovazione in settori come il finance, le telecomunicazioni, l’industria e l’energy, l’azienda Red Hat è diventata un leader globale riconosciuto nella fornitura di piattaforme infrastrutturali open source. Un partner capace, con i suoi servizi professionali, non solo di affiancare i clienti nella piena implementazione di queste soluzioni, ma anche di fare da guida e punto di riferimento, nella promozione – tra le imprese – della cultura e delle metodologie di sviluppo “comunitario” che caratterizzano questa tipologia di software.

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Una vera e propria università della digital transformation, dove tutti possono dare e ricevere importanti contributi di innovazione, delle tecnologie e dei processi aziendali. Fondata nel 1993 e focalizzata per tutta la prima parte della sua storia sulla piattaforma Red Hat Enterprise Linux, l’azienda guidata da Jim Whitehurst ebbe una svolta fondamentale tra il 2006 e il 2008, con una doppia acquisizione: JBoss, azienda con in pancia un potente framework middleware per lo sviluppo applicativo Java, oggi inserito nel portafoglio di soluzioni Red Hat per la creazione di architetture orientate a servizi e microservizi; e Qumranet, titolare del progetto di hypervisor open source KVM alla base delle sue tecnologie di virtualizzazione. Nei due uffici di Milano e Roma, operano un centinaio dei novemila dipendenti a livello globale e come ci spiega Gianni Anguilletti, country manager di Red Hat in Italia, oggi inizia una nuova missione: «Sostenere le iniziative della trasformazione attraverso lo stack tecnologico e infrastrutturale più completo ed economicamente sostenibile del mercato». Su Enterprise Linux, Red Hat ha costruito un portafoglio di framework e piattaforme che comprende tutti i componenti per la messa a punto di potenti architetture cloud per il Platform e l’Infrastructure as a Service».

Massimo Cazzaniga sales director
Massimo Cazzaniga
sales director

NON PIÙ SOLO LINUX

Queste architetture, prosegue Anguilletti, sono il fattore abilitante della trasformazione digitale, «definizione in cui confluiscono le tre qualità di organizzazioni più “intelligenti”. Abili cioè nel raccogliere, gestire e interpretare crescenti volumi di dati che servono a cogliere nuove opportunità organizzative e di mercato; capaci di rispondere alle dinamiche così intercettate con prodotti e servizi realmente innovativi, che possono fare la differenza sul piano competitivo; e in grado di fare tutto questo con investimenti più sostenibili, rispettando il principio universale, “fare di più con meno”, che sembra essere diventato il mantra di qualsiasi attività». Da provider essenzialmente monoprodotto, l’azienda di Raleigh, nel North Carolina, agisce e fa ricerca e sviluppo in ben cinque aree: il sistema operativo, che rimane ovviamente un punto fermo, il middleware, la virtualizzazione, il cloud e il software defined storage. Sempre in base al modello imprenditoriale su cui si muovono le realtà dell’open source, accanto alle soluzioni vive una forte componente di servizio, che non si ferma al classico training sulla implementazione e l’uso dei prodotti presso i clienti.

«La nostra divisione di servizio agisce anche in relazione a metodologie ad alto valore aggiunto, il DevOps, lo sviluppo software “agile”, in modo che i clienti possano dare valore alle architetture implementate, facendo leva sui trend tecnologici più innovativi e profittevoli, come Big Data, l’Internet delle cose, la mobilità e le tecnologie software emergenti come i microservizi e i software containers». Anche per il bilancio di Red Hat, che è quotata al NYSE, le attività riferibili ai servizi di sviluppo applicativo e alle tecnologie emergenti danno un contributo importante e in crescita rispetto ai ricavi legati alla tradizionale offerta “by subscription”. Nell’anno fiscale 2015-2016, in cui Red Hat – che cresce a due cifre da ben 58 trimestri – ha superato per la prima volta la soglia dei due miliardi di dollari di fatturato. Le soluzioni di tipo infrastrutturale hanno generato 1,48 miliardi (con una crescita anno su anno pari al 12%) attraverso gli abbonamenti che rappresentano la formula contrattuale più utilizzata dai clienti, e cioè l’88% del fatturato annuo. La quota di fatturato dovuto ad abbonamenti a servizi di sviluppo e tecnologie innovative è di 323 milioni, con un +37% rispetto al 2015, segno – osserva Anguilletti – di una azienda in continua evoluzione. «Il nostro successo e l’efficacia delle nostre strategie spiegano perché oggi Red Hat è partner di nove aziende Fortune 500 su dieci».

LIBERI DI INNOVARE

Il modello di apertura che Red Hat adotta fin dai suoi esordi, sottolinea ancora Anguilletti, ha portato l’azienda a seguire altri due assi portanti. «Siamo nemici di ogni forma di “vendor lock-in”. Il nostro stack è molto completo, ma i clienti non devono per forza implementarlo interamente, ma devono sentirsi liberi di utilizzare la versione di Linux, il middleware o le altre componenti su cui hanno già investito. Un altro dei nostri punti fermi è any application, anytime, anywhere. Grazie alle innumerevoli certificazioni di sistemi hardware, piattaforme e cloud provider, i clienti possono porre in esercizio le loro applicazioni sul loro data center, su cloud privato e ibrido, avvalendosi di tutti i fornitori di public cloud». Oltre che nei confronti di questi provider, Red Hat vuole essere “agnostica” anche nelle partnership con i costruttori di hardware e i system integrator.

Antonio Leo head of Partners & Territory
Antonio Leo
head of Partners & Territory

Come viene accolto questo modello di apertura e trasformazione in Italia? Il mondo imprenditoriale italiano risponde positivamente al messaggio innovatore dell’open source? «Non è nostra abitudine fornire dati scorporati per le singole nazioni ma l’Italia mostra da tempo tassi di crescita allineati, se non superiori, a quelli di Red Hat nel suo complesso» – afferma Anguilletti. I segnali più positivi, prosegue il responsabile, anticipando le parole del suo sales director, Massimo Cazzaniga, si riferiscono alle relazioni che Red Hat instaura con i suoi clienti di riferimento, relazioni che evolvono in una chiave assolutamente strategica. «Ci sentiamo impegnati non solo nel dare a questi clienti più capacità ed efficienza ma anche nel coinvolgerli nei “segreti” dell’open source. Partecipando direttamente alla comunità, questi clienti imparano a essere ancora più innovativi, a ritmi ancora più serrati. Ci chiedono anche di raccontare loro come Red Hat stessa porta avanti i propri progetti di sviluppo, come implementiamo le tecnologie della trasformazione». Uno dei motivi, quest’ultimo, per cui Red Hat ha messo a punto servizi espressamente dedicati a utenti che sono sempre più costruttori di innovazione. Dietro l’industria dell’open source c’è un aspetto motivazionale da non trascurare, conclude Anguilletti: «La consapevolezza, per chi lavora in Red Hat e per chi collabora ai vari progetti di sviluppo, di essere partecipi di un’ondata di creazione e divulgazione di tecnologie innovative, che oltre a dare un ritorno economico contribuisce a cambiare il volto dell’IT e delle organizzazioni aziendali».

OPEN SOURCE COME LEVA DI TRASFORMAZIONE

Anche in Italia, secondo il responsabile commerciale di Red Hat, Massimo Cazzaniga, le fasi in cui open source era sinonimo di gratuità e il sistema operativo Linux doveva ancora acquisire la propria legittimità nel mondo enterprise sono ormai chiuse. Si è aperta piuttosto una terza fase: quella dell’open source come leva di trasformazione. Nel suo ruolo, Cazzaniga guida la struttura preposta ai clienti enterprise che investono maggiormente in soluzioni open source. Nel complesso, quasi un centinaio di aziende e pubbliche amministrazioni che meritano un supporto commerciale dedicato. «In passato, riuscivamo a essere incisivi su un numero più limitato di clienti» – spiega Cazzaniga. Ora ci siamo organizzati in modo da poter essere più presenti sulla clientela di fascia alta. L’offerta Red Hat è molto più evoluta, tocca vari ambiti aziendali, varie divisioni del cliente. Non più solo la parte più infrastrutturale, ma anche lo sviluppo applicativo, il marketing, le aree business ci chiedono un coinvolgimento diverso». Il team di Cazzaniga è composto da sales specialist con una specifica competenza nei cinque ambiti del portafoglio di soluzioni Red Hat e su otto key account manager capaci di orchestrare le risorse che vanno a operare sui determinati clienti, avvalendosi anche del supporto offerto da una nuova figura, il “named account inside sales”, pensata per avvicinare Red Hat ai clienti e ai territori, incrementando ulteriormente la conoscenza del mercato. Red Hat, aggiunge Cazzaniga, mantiene una forte attitudine a operare attraverso i partner del canale indiretto, «anche se spesso i clienti top sono seguiti con attenzione, direttamente da Red Hat, che mette a disposizione risorse di business, progettuali e tecnologiche, oltre che dal suo ecosistema di partner specializzati sulle diverse soluzioni».

Dal punto di vista strettamente contrattuale, la maggior parte di questi grandi clienti, il 75% riferisce Cazzaniga, viene comunque indirizzato attraverso il canale. «Per assicurare la necessaria specializzazione, puntiamo su una struttura verticalizzata sui vari settori industriali». L’area dei servizi finanziari e assicurativi si affianca così al mondo della pubblica amministrazione centrale e locale. Mentre in fase di ulteriore definizione ci sono aree come l’energia e la ricerca scientifica. Il settore delle telecomunicazioni merita un discorso a parte perché recentemente Red Hat ha dato vita a livello globale, a una nuova struttura appositamente rivolta alle telco. Con l’avvento di tecnologie come il Network function virtualization, anche le reti TLC stanno subendo lo stesso processo di virtualizzazione che investe le infrastrutture di calcolo e di storage e anche in questo dominio le piattaforme di virtualizzazione open source vogliono conquistare una posizione di primo piano. «Ci sono clienti che per policy all’inizio cercano una soluzione open e, solo in seguito, puntano eventualmente sul software proprietario. E tra questi ci sono anche molte banche, pur con le loro esigenze di affidabilità» – osserva Cazzaniga.

RED HAT PUNTA ALLA PA

Tra gli interlocutori dell’organizzazione commerciale di Red Hat Italia ci sono anche le realtà pubbliche, che vengono seguite da risorse e strutture dedicate. Al centro del dialogo con la pubblica amministrazione, non vi sono solo le esigenze dei clienti, ma piuttosto un’opera di diffusione della cultura open source presso enti e organizzazioni, tramite processi di fruizione e approvvigionamento più semplici e lineari. Su questi punti, Red Hat collabora strettamente con enti come Consip, allo scopo di rendere più semplice non solo l’utilizzo di soluzioni open source, ma anche la loro stessa scelta, accelerando così i tempi della progettualità. E parlando di progettualità, Cazzaniga osserva un forte aumento di interesse nei confronti di tematiche, come i microservizi e i container che possono portare a un maggior livello di automazione delle infrastrutture aziendali, e di conseguenza a una maggiore velocità nel fornire soluzioni al business, attraverso cicli di innovazione accelerati. Una misura efficace di questo interesse è il numero di partecipanti agli eventi organizzati da Red Hat. Non solo l’Open Source Day che nell’edizione 2015 ha avuto oltre quattromila registrazioni e una presenza effettiva di duemila persone a Roma e mille e trecento a Milano (le date per l’edizione 2016 sono il 3 novembre a Milano e il 15 novembre a Roma), ma anche i numerosi Technology Lab monotematici, ciascuno dei quali riesce a coinvolgere centinaia di partecipanti. «Anche la nostra offerta evolve – continua Cazzaniga – e ci consente di presidiare tematiche ancora più innovative, per esempio la gestione automatizzata delle API, grazie all’acquisizione recente di 3Scale. La nostra squadra ha la fortuna di poter collaborare con dei solutions architect molto preparati, che comprendono le necessità dei vari mercati e ci aiutano nell’individuare le soluzioni giuste per i vertical».

Giovanni Pirola regional service manager Red Hat Consulting
Giovanni Pirola
regional service manager Red Hat Consulting

In un mercato sempre meno caratterizzato da relazioni cliente-fornitore immutabili, la crescita di un solution vendor è legata alla capacità di trovare opportunità nuove ma anche alla riconferma dei contratti in essere. E questo è tanto più vero per Red Hat, con il suo modello basato sull’abbonamento. «È come se ogni volta dovessimo ripresentarci alle elezioni per vincerle» – commenta il sales director. Complementare al ruolo di Cazzaniga, quello ricoperto da Antonio Leo è in realtà a doppia valenza. Da una parte la relazione con system integrator, OEM, solution e cloud provider, rivenditori che insieme costituiscono il canale di Red Hat; dall’altra il rapporto con un mondo enterprise al quale si rivolge anche questo canale, che – secondo Leo – rappresenta un insieme di circa 300 organizzazioni “accountate” in modo specifico e un mercato midrange di qualche migliaio di aziende. «Siamo partiti come azienda molto tecnologica e di servizio, ma da oltre dieci anni perseguiamo una forte strategia di canale» – afferma Leo. «Puntiamo a crescere oltre il 75% del transato non per una mera questione di fulfillment, ma per scalare verso un mercato più ampio, anche con una organizzazione relativamente piccola».

RECIPROCAMENTE STRATEGICI

Sulla spinta del modello open source, aggiunge Leo, il sistema costituito dal canale e dai consulenti Red Hat punta a una qualità che ha preso piede in tutti i settori verticali di applicazione, e le tecnologie proposte fanno ormai parte degli asset strategici di molti partner importanti, a partire dai system integrator nazionali e globali come Engineering, Almaviva e Accenture che possono dispiegare risorse molto ampie nella realizzazione dei progetti. Un’azione congiunta che viene percepita molto positivamente dal cliente e a sua volta si traduce in una immagine di impegno e supporto da parte di Red Hat che attira nuovi partner e motiva ancora di più quelli storici.

Tre le classi di affiliazione: dalla formula “ready partnership” che permette un primo livello di ingaggio fatto soprattutto di scambio di informazioni privilegiate, passando per gli “advanced business partner” (una quarantina di aziende), su fino ai “premier partner” fatta soprattutto di operatori globali. Ma esistono altri livelli trasversali, basati in sostanza sulle specializzazioni. «I partner che vogliamo far crescere maggiormente in questo momento sono quelli specializzati sulle tecnologie emergenti, ovvero i nostri CCSP, Certified cloud and service provider, che puntano sulla realizzazione di progetti cloud on demand, sia IaaS e PaaS, basati rispettivamente sulle soluzioni OpenStack e OpenShift di Red Hat, e i Middleware Partners, in grado di abilitare alla Digital Transformation e al cambiamento promosso da DevOps.

Che Red Hat stia coprendo in questo momento anche un ruolo di “traghettatore” tecnologico lo dice in modo esplicito Giovanni Pirola, regional service manager, rifacendosi alle teorie di Geofrey Moore, grande teorico del marketing dei prodotti high-tech. «Secondo Moore – spiega Pirola – nella curva di distribuzione in cui possiamo rappresentare i diversi livelli di adozione di una tecnologia nuova, esiste un punto di discontinuità, un gap, tra la ridotta percentuale di “early adopter”, gli utenti più precoci, e la prima fase in cui quella tecnologia diventa mainstream, maggioritaria. I servizi professionali di Red Hat aiutano i clienti a superare questo gap. Ovviamente – sottolinea Pirola con forza – solo con interventi sul design infrastrutturale, considerando che la mission dei servizi professionali di Red Hat non è quella di fare concorrenza ai system integrator».

DA NICCHIA A MAINSTREAM

In Red Hat ci sono sostanzialmente due divisioni impegnate sul fronte della consulenza e della progettualità. Quella di Pirola riguarda i servizi professionali veri e propri e solitamente interviene per affiancare i clienti nella progettazione di infrastrutture ed applicazioni e nel supporto alla loro implementazione, focalizzandosi sui prodotti appartenenti al portafoglio Red Hat. Il gruppo locale, coordinato da Pirola, impiega una ventina di tecnici estremamente preparati e di lingua italiana, che sul piano organizzativo fanno capo a una divisione servizi EMEA che impiega 300 persone, tutte in grado di intervenire in ambito regionale. Gli specialisti del consulting di Red Hat operano spesso in stretta collaborazione con le altre figure tecniche prima citate, i Solution Architect della divisione pre-sales, che in Italia sono affidati a Edoardo Schepis, la cui funzione è appunto quella di coordinatore dei cosiddetti solution architect. I Servizi Red Hat vengono poi completati dalla divisione Training, che ha l’obiettivo della formazione e della certificazione. Per orientare i clienti, specialmente ogni volta in cui si parla di nuove tecnologie, Red Hat Consulting organizza workshop informativi che consistono in giornate di full immersion dedicate alle tecnologie più calde, le cosiddette Discovery Session, nelle quali i clienti in fase di valutazione di un progetto sono chiamati a partecipare, portando con sé tutte le funzioni aziendali coinvolte. In queste riunioni, i temi tecnologici e di formazione vengono sviscerati in dettaglio dagli esperti di Red Hat per individuare zone di problematicità, ripartire i compiti e suggerire soluzioni per definire il percorso ottimale di adozione delle soluzioni proposte.

COGLIERE LE OPPORTUNITÀ DELL’OPEN

Edoardo Schepis, nel suo ruolo di manager solution architects, riassume le diversità e le sinergie delle funzioni con una formula molto efficace: «Il tecnico di pre-vendita, intervenendo con la nostra divisione commerciale e con i partner, aiuta il cliente a fare chiarezza sui suoi dubbi architetturali. I servizi professionali aiutano a implementare. La formazione aiuta il cliente a diventare più autonomo nell’implementare tecnologie avanzate». Le testimonianze di Pirola e Schepis – corroborate dalla crescita dell’azienda nel suo complesso – raccontano un mondo imprenditoriale italiano che sempre meno chiede di essere assistito sui “basics” della piattaforma Linux, dimostrandosi sempre più curioso e coinvolto. «Facciamo meno interventi sulla tematica Linux – conferma Pirola – mentre cresce l’interesse per le tecnologie di frontiera. Le aziende cominciano a lavorare con l’open source in ambiti come il business process management, l’analytics, la virtualizzazione, dove prima esistevano solo soluzioni proprietarie». E il collega Schepis conferma il netto aumento di progetti portati avanti in un’ottica di soluzione, dove è richiesto un gioco di squadra tra pre-vendita e consulting, per assemblare prodotti diversi del nostro portafoglio. Un esempio interessante è quello delle attività in ambito Internet of Things dove – spiega Pirola – i progetti richiedono il dominio di competenze che solo una buona sinergia, tra consulenti Red Hat, partner di integrazione e cliente stesso, può assicurare.

Edoardo Schepis manager solution architects
Edoardo Schepis
manager solution architects

«Ancora una volta, solo il modello open source, dove la proprietà intellettuale è completamente condivisa, può dare questa opportunità di dialogo». E a proposito di IoT, Edoardo Schepis fa l’esempio di un partner come Eurotech, storico leader globale con base in Friuli in ambito sistemi embedded e machine-to-machine: «Partendo da JBoss A-MQ, Eurotech ha individuato opportunità nuove, realizzando una versione del middleware pensata per la gestione dei dispositivi alla periferia della Internet of Things». In Spagna, due banche come Santander e BBVA collaborano con Red Hat e la comunità open source su nuove soluzioni OpenStack e CloudForms. «Il messaggio ai nostri clienti italiani è chiaro» – conclude Giovanni Pirola: «Sfruttate anche voi tutte queste opportunità». L’open source non è solo una fucina di innovazione, ma un laboratorio aperto a tutte le realtà aziendali e alle pubbliche istituzioni che vogliono dotarsi della capacità di scelta necessaria per decidere in modo più autonomo sul proprio destino di trasformazione.

Foto di Gabriele Sandrini