Una compagnia di New York è convinta di poter facilitare il processo di reinserimento dei detenuti, sfruttando le potenzialità della realtà virtuale
E’ incredibile quanto la realtà virtuale possa tornare utile in campi così vasti e diversi dell’industria culturale digitale. Il mondo del gaming è oramai consolidato, mentre la Fabbrica 4.0 si appresta ad allargare ulteriormente le porte di accesso di visori e sistemi avanzati in ambienti professionali e di produzione. Eppure scopriamo ogni giorno applicazioni nuove che sfruttano il VR per migliorare le condizioni di vita di alcune persone. E’ il caso di Virtual Rehab, una startup newyorkese che ha deciso di portare in carcere un progetto di riabilitazione globale.
Di cosa si tratta
La compagnia è convinta che la magia immersiva della realtà virtuale possa supportare le fasi di reinserimento delle persone prossime a una scarcerazione. Con gli ambienti e le particolari situazioni riprodotte, Virtual Rehab pensa di poter ridurre il numero di reiterazione dei crimini e dunque del ritorno in prigione, favorendo la nascita di una società migliore e rendendo più leggere le tasche dei contribuenti. Violenze domestiche, reati sessuali e misfatti sui più deboli, questi e altri sono i campi in cui la startup può intervenire, puntando sui risultati che alcuni studi (addirittura dal 1997) hanno già evidenziato come positivi, soprattutto quando si tratta di curare persone con disturbi psicologici, di tipo post-traumatico e ossessivo-compulsivo. Al momento, Virtual Rehab è in trattativa con alcuni fondi di venture capital per cercare di allargare il più possibile il progetto che, una volta ottenuto il via libera da parte del governo degli Stati Uniti, potrebbe entrare nei carceri già a metà 2017.