Sostenibilità e digitale, binomio inscindibile ma frainteso

La tavola rotonda di Data Manager fa chiarezza sulle correlazioni tra i concetti di sostenibilità e digitale per un nuovo modello di sviluppo. Con la partecipazione di Agenda Digitale dell’Emilia-Romagna (ADER), Agenzia del Demanio, CAST Italia, Epson Italia, Hera, MM spa, Qlik e Siram Veolia

Sostenibilità e digitale. Due parole, tanti significati. Prima di iniziare ad analizzare le relazioni tra i due concetti occorre fare chiarezza sul loro vero significato affinché le accezioni – spesso inesatte e distorte – con le quali i media si riferiscono spesso a essi escano dal senso comune e consolidino il loro vero significato. Si può affermare che il concetto di sostenibilità ha visto la sua genesi nella prima conferenza ONU sull’ambiente nel 1972, quando si è definito come la “condizione di uno sviluppo che sia in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri”. Nel 1987, con la pubblicazione del cosiddetto rapporto Brundtland, viene ribadito con chiarezza l’obiettivo per l’umanità di uno sviluppo sostenibile che, dopo la conferenza ONU su ambiente e sviluppo del 1992, è divenuto il nuovo paradigma dello sviluppo stesso.

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Il concetto di sostenibilità, partito da una visione ambiente centrica, si è profondamente evoluto verso un significato più globale, che tiene conto, oltre che della dimensione ambientale, anche di quella economica e sociale. I tre aspetti sono stati considerati in un rapporto sinergico e sistemico per giungere a una nuova definizione di progresso e di benessere.

La sostenibilità è un concetto dinamico, in quanto le relazioni tra sistema ecologico (ambiente) e sistema antropico (economia e società) possono essere influenzate – in positivo o negativo – dallo scenario tecnologico che, mutando, potrebbe allentare alcuni vincoli relativi, per esempio, all’uso delle fonti energetiche. A partire dalla fine degli anni Novanta si è diffusa la tendenza a valutare la sostenibilità di aree territoriali e di programmi di sviluppo. Si parla così di sostenibilità urbana, dell’agricoltura, di turismo sostenibile, e così via. In tutti le accezioni possibili, si tende a considerare in un unico quadro i tre aspetti di un intervento di sviluppo o di un settore della società o dell’economia. La tecnologia è il quarto aspetto essenziale e intrinseco che rende possibile la convergenza tra sapere scientifico e soluzioni concrete per risolvere problemi specifici. In questa accezione il digitale ha fatto in modo che i quattro settori fondamentali: l’informatica, il comparto delle telecomunicazioni, il settore dei contenuti e quello dei consumers, ossia degli apparati domestici, potessero convergere in applicazioni atte a indirizzare problematiche comuni di avanzamento economico, sociale e ambientale. La cosiddetta convergenza delle 4 C (computer, communication, contents, consumers), secondo le valutazioni di Standard & Poor’s, sta generando un mercato di dimensioni gigantesche, forse secondo soltanto a quello dell’energia.

Si potrebbe dire che la sostenibilità digitale è quell’angolo di vista dal quale si cerca di vedere come il digitale possa aiutare a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità,  in una visione circolare che preveda l’analisi di un fenomeno secondo gli impatti economici, sociali e ambientali. La sostenibilità digitale è anche però la verifica di come gli obiettivi di sostenibilità possano influenzare uno sviluppo tecnologico – e digitale – che a sua volta influenzi in modo positivo il raggiungimento degli stessi. Quando si parla di sostenibilità digitale non bisogna quindi mai incorrere nell’errore di guardare solo in un verso perché in un sistema complesso tutte le parti interagiscono tra di loro. La sostenibilità digitale può essere sia un concetto attivo (è il soggetto che fa accadere le cose: senza i sensori e l’analisi statistica dei dati non avrei informazioni su come comportarmi) che per così dire passivo (è l’oggetto che bisogna utilizzare affinché le cose accadano: devo usare il sensore e non i calli della nonna!).

Troppo spesso si confonde questo concetto con la sola sostenibilità della tecnologia. E per di più dal solo punto di vista ambientale. Tuttavia, il concetto di sostenibilità digitale è ben più esteso di quello di tecnologia sostenibile. Secondo Stefano Epifani, presidente della Fondazione di ricerca per la Sostenibilità Digitale – «la sostenibilità digitale definisce il ruolo sistemico del digitale rispetto alla sostenibilità, guardando ad esso da una parte come strumento di supporto per il perseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile, dall’altra come elemento da indirizzare attraverso criteri di sostenibilità. In questo duplice ruolo, la sostenibilità digitale riguarda quindi le interazioni della digitalizzazione e della trasformazione digitale rispetto a sostenibilità ambientale, economica e sociale».

Per di più – aggiunge Epifani – «la pur corretta attenzione verso la sostenibilità della tecnologia sta rischiando di sollevare forte attenzione sugli impatti energetici della digitalizzazione rischiando di far scordare il suo ruolo nella lotta all’inquinamento. Tutti evidenziano che il digitale ha un impatto carbonico significativo (il 4% circa), ma allo stesso tempo, pochi ricordano che grazie al digitale si ottengono abbattimenti delle emissioni e dei consumi di energia di ordine di grandezza maggiore».

Il raggiungimento degli obiettivi indicati nell’Agenda 2030 dell’ONU passa necessariamente anche per un percorso di presa di coscienza e di crescita culturale sia delle aziende sia del cittadino sia delle istituzioni.

SOSTENIBILITÀ DIGITALE E SOCIETÀ

Qual è il tasso di conoscenza del concetto di sostenibilità in Italia? E quale è il rapporto percepito tra digitale e sostenibilità? Una ricerca condotta dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale mostra come oltre il 50% del campione dichiari di conoscere bene il concetto di sostenibilità ma anche che lo sviluppo tecnologico sia per oltre il 65% fonte di diseguaglianze, perdita di posti di lavoro e ingiustizia sociale in genere. Dai dati emersi dalla ricerca, balza agli occhi come per il cittadino italiano, una cosa sia dichiarare di conoscere un argomento (nel caso specifico, il concetto di sostenibilità e cosa il digitale può fare a suo sostegno) e un’altra cosa conoscerne invece realmente il significato. Questa conoscenza superficiale sia del concetto di sostenibilità che del rapporto con il digitale è reale anche per le istituzioni? Esiste consapevolezza che il digitale è una leva fondamentale per la costruzione di un mondo sostenibile e che la sostenibilità può essere un fattore guidante per le scelte tecnologiche?

«È evidente che i dati raccolti dalla Fondazione dicono molto su quanto compreso dalla popolazione italiana, che poi si riflette anche sulle istituzioni» – afferma Dimitri Tartari, dirigente con responsabilità del presidio delle politiche dell’Agenda Digitale dell’Emilia-Romagna (ADER), all’interno del Gabinetto del Presidente della Giunta Regionale. «Anche se è pur vero che a partire dall’Agenda 2030 in poi, si sono venute a costituire nel pubblico alcune iniziative che hanno avuto effetti tangibili, con un percorso di analisi, riflessione e reperimento di indicatori e obiettivi strategici calati su tali realtà per il raggiungimento dei goal dell’Agenda 2030». Questo lavoro ha portato tutte le amministrazioni, con risultati diversi, a dotarsi di piani di digitalizzazione partendo dal panorama classico dei servizi ai cittadini. «Sta crescendo – continua Tartari – la consapevolezza che una strategia “sul digitale” non può essere una strategia “del digitale” ma deve tenere conto del contributo che la tecnologia, l’informatizzazione e la digitalizzazione fornisce ai vari settori e agli obiettivi strategici di una istituzione. Ne consegue, la naturale convergenza dell’Agenda 2030 e dell’Agenda Digitale, nel caso di Emilia Romagna, o di altri simili iniziative» – spiega Tartari. In Emilia Romagna si è scelto di partire prima con l’analisi degli obiettivi dell’Agenda 2030 e poi declinare su di essi gli interventi di digitalizzazione andando a coinvolgere tutte le anime della Giunta regionale portandoli a riflettere su come la tecnologia può essere usata per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità. «Condivido molto – afferma Tartari –quanto scaturito dall’Osservatorio attivato dalla Fondazione per la Sostenibilità Digitale, relativamente alla comprensione del concetto di sostenibilità a tutti i livelli. Tuttavia, oggi ci si ferma spesso al concetto di “do not significant harm” che si riferisce primariamente al fatto di “non fare almeno male”. Bisogna superarlo per fare qualcosa che invece “possa fare bene” ed essere durevole nel tempo».

Sulla consapevolezza del vero significato di sostenibilità – conclude Tartari – «le istituzioni devono lavorare molto e non in solitaria ma in collaborazione con il settore privato e quello del terzo settore: associazioni, fondazioni e altro». Un tema particolarmente sfidante e che unifica tutti i temi della sostenibilità è quello della produzione, gestione e manipolazione dei dati. Per ottenere il massimo dei risultati occorrerebbe un coordinamento a livello globale. Limitandosi al panorama nazionale, di per sé già molto complesso, si può dire che la dimensione regionale ha già un livello di complessità abbastanza elevato e una numerosità adeguata al fine di strutturare percorsi di sostenibilità efficaci.

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APPLICARE PER MISURARE

Entrando nel merito dei progetti, per esempio la progettazione e riqualificazione degli ecosistemi urbani nonché la pianificazione di reti e servizi, come può il digitale aiutare a raggiungere obiettivi di sostenibilità in questi ambiti? «La vera sfida è tenere al centro il cittadino» – afferma Marzio Bonelli, chief innovation information officer di MM spa, società in-house del Comune di Milano che gestisce buona parte del patrimonio pubblico cittadino, dall’edilizia popolare alla gestione idrica, agli impianti sportivi e scolastici. «E quindi, è impensabile non porre massima attenzione alla sostenibilità. Due sono i pilastri su cui investire: il digitale per mettere in atto progetti di sviluppo sostenibile e il capitale umano. Nel mondo della gestione della risorsa idrica – spiega Bonelli – grazie all’utilizzo del digitale e dei sensori IoT si riesce a controllare l’utilizzo dell’acqua e la sua qualità stilando bilanci puntuali e attivando di conseguenza azioni di educazione verso il cittadino per un suo utilizzo migliore e più sostenibile».

Una conseguenza di tale attività è per esempio – come suggerisce Bonelli – «l’installazione capillare delle cosiddette “casette dell’acqua” sul territorio che riescono a garantire una elevata qualità della risorsa idrica e inducono una riduzione delle plastiche, dei costi di smaltimento e di quelli di acquisto. Tutti i moderni sistemi tecnologici che lavorano per i cicli di depurazione dell’acqua potabile sono ideati per essere efficienti dal punto di vista energetico». Questo implica essere più sostenibili, risultato non raggiungibile in assenza del digitale. Dal punto di vista sociale – continua Bonelli – «tutta la digitalizzazione messa in atto negli ultimi anni nell’ambito dei processi lavorativi ha portato alla attivazione di modalità di lavoro del tutto nuove, con un bilanciamento della vita lavorativa e personale sicuramente migliore e più sostenibile. Basti pensare allo smart working o all’interazione con i clienti/cittadini, pur nella consapevolezza di tutti i temi giuslavoristici ancora da indirizzare compiutamente». Uno degli aspetti fondamentali a livello aziendale è la capacità di governare il cambiamento in atto, passando dal parlare di digitale a supporto della sostenibilità, a trattare di digitale a sostegno di una trasformazione digitale sostenibile. «Tutto quello che occorre fare – afferma Bonelli – è mettere al centro della trasformazione la sostenibilità come criterio di bilanciamento, la tecnologia come strumento e le persona come parte attiva di scelte consapevoli».

IL CODICE PUÒ FARE LA SUA PARTE

Un aspetto essenziale da tenere in considerazione è quello relativo alla visione a 360 gradi dell’impatto sostenibile del digitale sui progetti di trasformazione. Se da un lato è vero che il digitale consuma energia (che si spera provenga sempre più spesso da fonti rinnovabili), dall’altro occorre valutare quanto il suo impiego abbia un impatto positivo in relazione agli obiettivi di sostenibilità. In altre parole, non si può guardare solo un piatto della bilancia ma vanno visti entrambi e pesati assieme per valutare correttamente l’impatto sostenibile di un progetto. Il digitale è fatto di codice, tanto codice, spesso non ottimizzato, ereditato da esperienze passate e cresciuto con un sistema di scatole cinesi molto spesso prive di documentazione. Se si vuole adottare il cloud anche in ottica di raggiungimento di alcuni obiettivi legati alla sostenibilità ambientale, molto spesso non si hanno le informazioni corrette per affrontare una migrazione mirata.

«La complessità degli asset software sta soverchiando tutti i CIO anche dal punto di vista del business-as-usual, soprattutto quando si parla di trasformazione» – afferma Massimo Crubellati, country manager di CAST Italia. Tale complessità crescente rende ancora più arduo misurare l’impatto di sostenibilità. Quello che noi facciamo è cercare di aiutare il CIO a comprendere come rendere sostenibile il processo di trasformazione, tenendo conto che circa il 10% della CO2 globale emessa deriva proprio dai portfolio applicativi, con una proiezione di crescita che vedrà il superamento della soglia del 20%.

Tra il 50% e il 70% di queste emissioni, derivanti dall’uso del digitale, è dovuto al codice. Quindi le attività di ottimizzazione dell’infrastruttura o dei progetti di migrazione al cloud impattano per il 30-50% sulle emissioni di CO2 complessive. «L’analisi statica del codice sorgente di una applicazione, in grado di generare una roadmap di trasformazione digitale che produca impatti positivi a livello di sostenibilità, generando inoltre dati attendibili per la misurazione di parametri ESG e la produzione dei bilanci di sostenibilità – spiega Crubellati – è una delle attività che l’offerta software di CAST Italia mette a disposizione dei responsabili IT». Ciò significa che a un dato momento è possibile misurare, guardando al solo codice, il grado di sostenibilità, cioè il consumo energetico di una applicazione o di un intero portfolio. Inoltre, è possibile legare le informazioni ottenute a un percorso di miglioramento. «Da dati in nostro possesso – continua Crubellati – possiamo affermare che lo stato attuale della sostenibilità dei portfolio IT è molto basso e moltissime sono le azioni che possono essere intraprese con il nostro aiuto».

Questo cammino lo si può attuare tramite la proposizione di un percorso di trasformazione digitale in grado di traguardare nel tempo il livello di sostenibilità che ogni azienda si è prefissato di raggiungere anche in relazione ai parametri ESG, andando ad attivare un rapporto tra i responsabili della funzione tecnologica e quelli della sostenibilità che si auspica possa portare sempre più ad attivare progetti sostenibili ‘by default’ e non solo misurati ex-post. Occorre scrivere codice bene e per l’obiettivo che ci si prefigge. Portare, per esempio, un codice non adeguato in cloud fa consumare (e spendere) più che tenerlo on-premise.

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IL DIGITALE PER LA SOSTENIBILITÀ

Le recenti analisi di IDC consentono di affermare che entro il 2023, il 60% delle più grandi imprese (G2000) avrà integrato parametri e KPI di sostenibilità nelle proprie operations. «L’importante è utilizzare il digitale per fare in modo che il core business sia ancora più efficace in termini di sostenibilità» – afferma Fabrizio Locchetta, CIO – Digital Business & Technology di Siram Veolia. «Per ottenere risultati sempre migliori in ambito servizi di efficienza energetica, ad esempio per ottimizzare il riscaldamento degli edifici pubblici e privati, è fondamentale l’utilizzo del digitale e la corretta interpretazione dei dati che si ricavano dalle migliaia di sensori attivati al fine di attivare azioni mirate e precise» – continua Locchetta. Quello dei sensori è un esempio di quanto detto in precedenza: «È vero che sono energivori, ma è anche vero che consentono analisi basate su dati reali e immediati che abilitano azioni di efficientamento energetico che messe sul piatto opposto della bilancia riescono facilmente a spostare in positivo il bilancio della sostenibilità».

COME MISURARE LA SOSTENIBILITÀ

Quello che ora manca è capire come misurare il beneficio del digitale, sottolinea Locchetta. «Quanto consuma il digitale lo sappiamo. Ma siamo in grado di calcolare con precisione quanto abbiamo risparmiato perché, ad esempio, il digitale ha ridotto le necessità di spostamento fisico? No, eppure è un dato di fatto». Sono ancora molto limitate, per non dire assenti, le capacità di misurazione dei benefici indotti. Questo non vuol dire che bisogna fermarsi nell’evoluzione, ma che è necessario porsi le corrette domande e cercare le risposte al tema della misurazione dei benefici, che non possono arrivare solo dall’area IT.

La Fondazione per la Sostenibilità Digitale ha deciso di avviare una prassi UNI proprio con l’intento di arrivare alla definizione di parametri (KPI) che possano in qualche modo misurare gli impatti che il digitale ha in termini di sostenibilità all’interno di un processo di trasformazione digitale. Si tratta di un primo importante passo, unico nel suo genere a livello internazionale, nel percorso di misurazione anche di uno S-ROI (Sustainable return of investment) che abiliti la coscienza ex ante ed ex post di un progetto, nonché per la valutazione del lavoro effettuato internamente o da fornitori esterni all’azienda/istituzione. «Oggi, trasformare non è più una possibilità, è un imperativo che le giovani generazioni chiedono alla nostra come impegno per il loro futuro» – sostiene con forza Locchetta. «Bisogna pensare anche all’etica del digitale e non solo agli aspetti ambientali, a chi è e come è trattato, per esempio, l’attore di uno sviluppo software e non solo a come è il risultato finale». Non solo. Secondo Marzio Bonelli di MM spa, la governance resta la grande esclusa. «La G dell’acronimo ESG quasi sempre resta ai margini dei dibattiti sulla sostenibilità. Al contrario, la Governance di un programma di trasformazione digitale è sempre più essenziale e resta uno degli aspetti più difficilmente misurabili».

GOVERNARE LA SOSTENIBILI

Quando si parla di ESG e si vanno a stilare i bilanci di sostenibilità, uno degli aspetti sotto la lente di ingrandimento è quello relativo al consumo di carta (con relativa deforestazione) e smaltimento dell’inchiostro: due delle problematiche che affliggono da sempre i fornitori di prodotti per la stampa. «Stampare si può fare in modalità sostenibile – sostiene Luca Motta, head of sales Office Print di Epson Italia. «Epson è sostenibile da sempre, fin dai primi anni della sua esistenza, ben prima del concetto di sostenibilità così come pubblicato nel 1987 dall’ONU». Gli obiettivi di Epson sono di breve, medio e lungo termine. «Entro il 2023 – continua Motta – tutti gli uffici commerciali saranno alimentati da energia proveniente da fonti rinnovabili. Entro il 2025, abbiamo l’obiettivo di allineare i processi interni all’azienda per cercare di rimanere nei parametri di riscaldamento massimo di 1,5 gradi previsto per il nostro Pianeta. Infine entro il 2050, abbiamo dichiarato di voler diventare carbon negative. Oggi, in Italia si stampano ancora 60 miliardi di pagine A4 ogni anno. Dal punto di vista tecnologico, Epson ha sviluppato una tecnologia di stampa a freddo con la quale si può ridurre sino al 90% il consumo di energia rispetto alle stampanti laser e generare un minor scarto di materiali di consumo; ad esempio la linea EcoTank non ha cartucce che devono essere smaltite come rifiuto speciale, ma integra capienti serbatoi da riempire con flaconi da riciclare come semplice plastica». Da dati Epson, si evince che usando la stampa a freddo al posto di 40mila dispositivi laser (ma in Italia l’installato è di alcuni milioni), in cinque anni si risparmierebbero circa 7,5 milioni di kWh, si ridurrebbero 2 milioni di chilogrammi di CO2 emessi nell’ambiente e si eliminerebbero 1,7 milioni di cartucce usate. Solo con il risparmio energetico indotto, in 5 anni su questi numeri si risparmierebbero 1,4 milioni di euro. Anche la carta utilizzata per la stampa può essere riciclata e riutilizzata fino a 9 volte grazie alla tecnologia a secco Dry Fiber messa a punto da Epson in PaperLab. I modelli di impresa stanno cambiando, la sostenibilità è la leva di questo cambiamento.

Per il 74% delle aziende globali è strategico misurare i parametri ESG per raggiungere in termini di valore aziendale gli obiettivi inseriti nell’Agenda 2030 dell’ONU. Trasformare le organizzazioni in quest’ottica è tuttavia complesso. Le priorità segnalate dalle imprese nelle indagini globali IDC sono infatti l’allineamento delle strategie aziendali ai requisiti ESG e la trasformazione delle operations. L’obiettivo finale è dare risposte a gli tutti stakeholders che sul tema della sostenibilità sono sempre più sensibili. La quasi totalità delle organizzazioni (95%) registra cambiamenti sostanziali nei comportamenti di acquisto e attenzione a prodotti e servizi sostenibili.

COME VALORIZZARE I DATI

«Sostenibilità e digitale sono gli occhiali con i quali guardi il mondo e, in funzione di quello che vedi, cerchi di intervenire» – afferma Andrea Bonetti, IT Enterprise architectStrategie IT e Architetture di Hera. Hera, che è la più grande società italiana nel settore del trattamento rifiuti, ha messo la sostenibilità e l’economia circolare al centro della propria strategia aziendale – dice Bonetti. «A livello IT, occorre analizzare la situazione con attenzione, per comprendere le azioni da compiere e valutare fin dove si vuole arrivare nel percorso legato a una sostenibilità che faccia del digitale una leva fondamentale. Prima di tutto, bisogna definire in modo univoco il termine sostenibilità in relazione al digitale» – continua Bonetti. «Una prima interpretazione riguarda la sostenibilità del digitale misurata in riferimento al consumo energetico del calcolo computazionale, inevitabile ma che deve nei suoi effetti generare un beneficio, nonché le modalità di produzione dell’energia utilizzata: è il parametro più diffuso e la cosa forse più facile, su cui tutti i cloud hyperscalers hanno impegni e forniscono dati.

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La seconda interpretazione della sostenibilità è nella dimensione della Corporate Social Responsibility, legata alla misurazione degli impatti del digitale in senso più ampio. In questo senso Hera si muove non solo in termini di rendicontazione per il bilancio di sostenibilità, ma di valutazione ex ante alla partenza di ogni progetto digitale, valutandone gli impatti sulle quattro dimensioni della sostenibilità che ha scelto di monitorare: ambientale, sociale, economica e tecnologica. E qui, il problema della misurazione emerge in modo prepotente e mettere a fuoco i giusti driver e KPI di misurazione è tuttora un work in progress. Ma la domanda più importante, quella sostanziale nella relazione fra sostenibilità e digitale è: cosa può fare il digitale per la sostenibilità, per metterla a terra e sostanziarla di oggettività? «Qui rispondo con uno slogan» dice Bonetti. «Deve sensorizzare il mondo! Perché solo in questo modo si raccolgono i dati, tantissimi dati da analizzare, qualificati e “tracciati” in modo certo, auditabile per garantirne l’affidabilità, per garantire una misurazione della sostenibilità oggettiva».

Dal punto di vista economico, sociale ed ambientale, per una gestione che sia sempre più sostenibile delle aziende nonché delle amministrazioni centrali e locali occorre e occorrerà sempre più essere in grado di analizzare in modo tempestivo l’enorme quantità di dati che vengono raccolti quotidianamente. È necessario quindi dotarsi di sistemi di analisi che siano intelligenti, reattivi e, perché no, proattivi per essere in grado di prendere decisioni veloci e affidabili. «È corretto raccogliere il maggior numero di dati ma è soprattutto necessario farlo avendo ben chiari gli obiettivi che questa raccolta dovrà avere» – sostiene Giorgio Dossena, presales manager di Qlik. «È necessario individuare metriche condivise per poter confrontare i livelli di sostenibilità. Qlik mette a disposizione una serie di strumenti che consentono di raccogliere dati, che permettono di aggregarli in modo efficace per l’analisi e con una frequenza e forma adeguata. L’intelligenza artificiale aiuta e accelera l’interpretazione del dato – continua Dossena – ma alla fine è sempre l’uomo a dover fare le proprie scelte, con la consapevolezza della cura del capitale umano come patrimonio aziendale. La tecnologia deve essere a supporto, non a sostituzione dell’azione dell’uomo». L’automazione d’altro canto, se definita tramite algoritmi adeguati, può sostituire in molti casi l’azione dell’uomo in modo efficiente ed efficace – come chiarisce Bonetti di Hera – consentendo di incrementare il patrimonio dei dati raccolto, perché i dati vanno raccolti sempre tutti e di più, perché anche di quelli che oggi ti sembrano ridondanti domani potresti avere bisogno. «Occorrono più data engineer e meno data scientist – afferma con un pizzico di provocazione Bonetti – perché prima di tutto devi ingegnerizzare la pipeline: più risorse che sappiano recuperare, manipolare e qualificare il dato nel modo corretto, per passarlo poi a chi lo dovrà interpretare».

Dal punto di vista della sostenibilità, occorre recuperare il dato necessario ed elaborarlo in modo adeguato: «Non serve chiedere i dati di dieci anni precedenti su mille colonne di un foglio Excel, se poi serve guardare una volta al mese il raffronto tra i dati di sole quattro colonne» è invece la giusta considerazione da fare. Secondo Piero Pelizzarodirettore dell’Unità Organizzativa Officina Rigenerazione dell’Immobile Pubblico dell’Agenzia del Demanio, la vera domanda è: «Quanti dati ci mancano più che quanti dati abbiamo a disposizione. Velocità e tempo sono essenziali nel prendere decisioni. E la raccolta dati deve rispondere a questo obiettivo».

Per Luca Motta di Epson Italia i dati sono essenziali, ma servono a poco se non si analizzano alla luce degli obiettivi. All’interno delle aziende, occorre creare la consapevolezza del valore del dato. «Ancora prima di raccogliere dati, sarebbe necessario raccordarsi tra tutti gli owner per definire tempistiche di disponibilità, nonché modalità e obiettivi di analisi e utilizzo» – spiega Pelizzaro dell’Agenzia del Demanio. «Gestiamo circa 43mila beni immobili e 50.000 beni mobili con un valore di circa 62 miliardi di euro, con una varietà immensa. La tematica della mappatura è quindi molto importante. Il numero di edifici digitalizzati oggi è altissimo, anche se non la totalità. Il principio di selezione in funzione degli obiettivi da raggiungere, per esempio di manutenzione preventiva, risparmio energetico o controllo, è un altro criterio di sostenibilità di cui occorre tenere conto». Nel comparto pubblico non si rendiconterà più per capitoli di spesa ma per raggiungimento degli obiettivi – lo dice il PNRR – e quindi con la necessità di misurare gli impatti reali delle azioni intraprese. Questo fatto ha portato l’Agenzia del Demanio a inserire gli indicatori ESG nel suo piano strategico. «In termini di riduzione dei consumi – continua Pelizzaro – il piano strategico prevede che il 92% degli interventi non contempli più il consumo di suolo. Misurare gli impatti non è più qualcosa di opzionale. La tecnologia digitale e la tecnologia dei nuovi materiali assumono un ruolo essenziale per creare un ecosistema di innovazione di processo, prodotto e funzione con l’obiettivo di riqualificare e rigenerare il territorio».

LA CULTURA DELLA SOSTENIBILITÀ

In questi anni è stato fatto un lavoro immane nel tentativo di affermare una coscienza delle opportunità legate all’utilizzo della tecnologia. «Negli amministratori esiste la consapevolezza che il digitale c’è e serve, tuttavia non esiste percezione reale del valore indotto» – afferma Tartari dell’Agenda Digitale dell’Emilia-Romagna. «Con la dimensione della sostenibilità e degli obiettivi che si vogliono raggiungere sul territorio, la percezione assume contorni molto più precisi e definiti. Nelle istituzioni, la convergenza tra coscienza delle opportunità legate alla tecnologia e consapevolezza che alcuni obiettivi non possono essere raggiunti se non con l’utilizzo della tecnologia è molto più alta che nel recente passato. Tale coscienza risulta molto meno presente nei cittadini: l’uso della tecnologia, senza che se ne misurino i ritorni in un contesto definito, sta creando in certe fasce di popolazione una ritrosia al suo utilizzo» – sottolinea Tartari.

Per Locchetta di Siram Veolia, occorre creare grazie al digitale processi sostenibili e non solo prodotti sostenibili. «Non è sufficiente digitalizzare per diventare sostenibili. Bisogna sempre usare il digitale in modo sostenibile». La necessità di creare cultura condivisa sui temi della sostenibilità digitale nelle amministrazioni pubbliche, nel comparto privato e nell’opinione pubblica, è diventato un obiettivo primario da indirizzare.  «Perché solo chi ha coscienza di una situazione agisce in modo adeguato» – afferma Bonetti di Hera. «Il digitale è per la sostenibilità. Poi occorre che il digitale sia implementato per essere a sua volta sostenibile a tutti i livelli». Lasciando nelle mani dell’uomo il controllo del cammino.

Foto di Gabriele Sandrini


Point of view

Intervista a Massimo Crubellati country manager di CAST Italia: Il CIO nel percorso di trasformazione

Intervista a Luca Motta head of sales Office Printing di Epson: Sostenibilità by design

Intervista Giorgio Dossena presales manager di Qlik: Oltre l’analisi dei dati