In un settore in rapida evoluzione, tutti i brand di moda ne usciranno “vincitori”?

In un settore in rapida evoluzione, tutti i brand di moda ne usciranno “vincitori”?

La crisi sanitaria dovuta al Covid ha avuto un doppio ruolo: se da un lato ha acuito le difficoltà di alcuni brand, dall’altro ha messo in luce le strategie aziendali diventate obsolete e che necessitavano un cambio di rotta per far fronte ai nuovi sviluppi

A cura di Fabio Canali, President, Southern Europe & North Africa di Lectra

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Una quindicina di anni fa, molte aziende del mondo fashion hanno visto nel processo di globalizzazione un’opportunità per delocalizzare la produzione, dirigendosi verso Paesi a basso costo con l’obiettivo di ridurre le spese. La Cina ne ha beneficiato enormemente, tanto che è ancora oggi il principale importatore di abbigliamento negli Stati Uniti[1] e in Europa[2].

Tuttavia, il vantaggio competitivo di questa strategia ha visto una graduale diminuzione a causa dell’aumento dei costi di produzione offshore.

Ripensare alla supply chain

Con l’introduzione di misure protezionistiche e di una strategia “local-for-local” da parte del governo cinese, i protagonisti della moda hanno iniziato a rivedere le politiche di approvvigionamento per limitare il rischio di interruzioni, garantendo al contempo la redditività del modello.

Alcuni brand hanno scelto di diversificare la supply chain in Asia. Nel 2021, le esportazioni dal Bangladesh verso l’Europa sono aumentate del 16%[3] e nel primo trimestre del 2022 le esportazioni dal Vietnam verso gli Stati Uniti sono aumentate del 22%[4].

Altri hanno sviluppato metodi di approvvigionamento più locali e agili, in particolare per alcune categorie di prodotti ad alto valore aggiunto. Nello specifico, nel 2021 la Turchia ha beneficiato di questa nuova dinamica. Nello stesso anno in Europa le importazioni intraeuropee sono aumentate del doppio rispetto a quelle extraeuropee (+17%[5] vs + 6 %[6]).

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Nonostante la trasformazione delle filiere globali fosse già in atto nel settore della moda prima della crisi sanitaria, è stata la pandemia a innescare improvvisamente reazioni da parte delle aziende.

L’allungamento dei tempi di consegna causato dal lockdown e la saturazione dei porti ha evidenziato i rischi di una supply chain basata unicamente sul criterio del costo, a discapito dell’adattabilità della catena logistica.

L’importanza delle scelte di distribuzione

A fronte della dipendenza dalle materie prime e dal know-how strategico, alcuni brand hanno optato per modelli più integrati, consolidando le relazioni con produttori e partner chiave.

Questo è il caso delle aziende del lusso, ma non solo. Tra il 2019 e il 2021, ad esempio, Inditex ha ridotto il portfolio di fornitori del 10% per investire nello sviluppo di alcune partnership. Anche la casa madre di Zara – che ha registrato risultati da record lo scorso marzo – sta beneficiando della trasformazione digitale, tanto che le vendite online rappresentano ora quasi il 25%[7] del fatturato.

Per i brand rimasti fedeli alle supply chain lunghe e alla distribuzione incentrata sulle boutique, la crisi sanitaria ha portato a conseguenze ancora più dure: con cicli di produzione e consegna previsti dai 6 ai 9 mesi, quando gli store hanno potuto riaprire le scorte non corrispondevano più alle aspettative dei consumatori. Diversamente, grazie alla fornitura locale, per alcuni brand è stato più facile adeguare la produzione alla domanda. Combinare l’approvvigionamento a breve distanza con una strategia di vendita online si sta rivelando ancora più cruciale ora che l’analisi dei dati permette di monitorare il comportamento d’acquisto dei consumatori in tempo reale, in modo da adattare gli assortimenti di conseguenza.

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Alcuni marchi del fast fashion lo hanno compreso appieno: i nuovi prodotti sono realizzati in piccoli lotti, per attrarre un numero crescente di consumatori.

Produrre meno, meglio e in modo più sostenibile

Un ulteriore significativo cambiamento nel settore della moda riguarda i consumatori: sempre più attenti al proprio potere d’acquisto, sono allo stesso tempo alla ricerca di prodotti nuovi e interessati all’origine, ai metodi di produzione e alla sostenibilità dei capi. Tale tendenza è particolarmente comune trai giovani consumatori, che amano acquistare nuovi articoli fast-fashion a prezzi accessibili, e al contempo difendono una moda più sostenibile.

Anche in questo caso, la sola ricerca di un prezzo di costo ottimizzato è destinata a perdere terreno, perché l’influenza dei brand dipende anche dalle loro azioni concrete a favore di una produzione più etica e sostenibile. L’adozione di metodi flessibili di progettazione, produzione e fornitura che riducono al minimo il consumo di materiali, l’inquinamento dovuto ai trasporti e gli sprechi di ogni tipo (tessuti, energia, emissioni, ecc.) è diventata un vero e proprio vantaggio competitivo.

Per muoversi in questa direzione, il settore fashion sta beneficiando delle tecnologie dell’Industria 4.0, grazie ad esempio alla riduzione del rischio di stock invenduti o alla garanzia della tracciabilità dei materiali.

Le sfide e la revisione dei modelli sono ancora molteplici: l’accesso alle materie prime, la disponibilità di manodopera qualificata, gli investimenti per rendere al 100% la produzione locale scalabile, ecc.

In questo contesto, i brand destinati al successo saranno quelli che sapranno coniugare in maniera smart (grazie al supporto delle nuove tecnologie) approvvigionamento più efficiente, modalità di produzione più flessibili e prodotti adatti alle nuove aspettative dei consumatori e delle piattaforme di e-commerce.

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[1] Dati di Lectra basati su dati non elaborati di Otexa: https://www.trade.gov/otexa-trade-data-page

[2] Dati Lectra basati su dati non elaborati di Eurostat: https://commission.europa.eu/about-european-commission/departments-and-executive-agencies/eurostat-european-statistics_fr

[3] Dati Lectra basati su dati non elaborati di Eurostat: https://commission.europa.eu/about-european-commission/departments-and-executive-agencies/eurostat-european-statistics_fr

[4] Dati di Lectra basati su dati non elaborati di Otexa: https://www.trade.gov/otexa-trade-data-page

[5] Dati Lectra basati su dati non elaborati di Eurostat: https://commission.europa.eu/about-european-commission/departments-and-executive-agencies/eurostat-european-statistics_fr

[6]Dati Lectra basati su dati non elaborati di Eurostat: https://commission.europa.eu/about-european-commission/departments-and-executive-agencies/eurostat-european-statistics_fr

[7] https://www.inditex.com/itxcomweb/en/press/news-detail?contentId=3dbc9f5d-2f00-46d2-bd45-8bb2ab945261