L’intelligenza delle macchine invade gli spazi cognitivi del lavoro. I fornitori di tecnologie si attrezzano per infondere nel loro software le capacità della AI generativa. Ma le imprese sono aperte nei confronti dei futuri collaboratori digitali? Le risposte di Angelini Industries, Barilla, Edison

L’intelligenza artificiale non è un concetto propriamente nuovo, ma la scala raggiunta dagli algoritmi della cosiddetta AI generativa può davvero cambiare il volto dell’automazione aziendale, allargando il suo spettro fuori dalla fabbrica (dove sono da anni impegnati gli strumenti della robotica) per entrare nella sfera cognitiva occupata dai cosiddetti lavoratori della conoscenza, affiancando o addirittura sostituendo coloro che devono prendere decisioni a qualsiasi livello. E generando al contempo una scia di potenziali effetti collaterali sul piano dell’occupazione, ma anche su quelli della sicurezza dei dati e delle persone; dell’etica e del valore sociale del lavoro. La velocità con cui si stanno affermando fenomeni come ChatGPT, rilanciando tra l’altro la potente dinamica competitiva tra il leader del nuovo comparto sembra aver oscurato il fatto che di intelligenza artificiale si parla da tre quarti di secolo. Riusciranno Google, Meta, Amazon e soprattutto OpenAI – l’organizzazione non profit che vede Microsoft come importante finanziatore (“in natura”, perché il grosso del contributo viene corrisposto in risorse di calcolo sul cloud Azure) ed Elon Musk come componente del board all’inizio di una storia partita meno di dieci anni fa, nel 2015 – a trasformare anche il cosiddetto lavoro di concetto? Che l’AI sia un tema ormai storico lo dice il nome di uno dei suoi autorevoli pionieri. Nel 1950 Claude Shannon, il papà della teoria della comunicazione, presentò Theseus, appellativo mitologico quasi obbligato per un topolino robotizzato capace di trovare la via d’uscita da un labirinto di pareti di cartone. Da allora, l’informatica in senso non strettamente computazionale (e non necessariamente “binaria”) non ha smesso di cercare nuovi modi per imitare, attraverso gli algoritmi, l’intelligenza umana nel “ragionare” sui problemi e risolverli; nel riconoscere e classificare immagini e oggetti tridimensionali di varia natura; nel comprendere e interagire con i linguaggi naturali parlati dall’uomo; persino nel partecipare e infine vincere in giochi di strategia come gli scacchi o il leggendario Go.

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SCACCO MATTO

Anche quando l’intelligenza artificiale ha rivestito panni così ludici, come il supercomputer IBM Deep Blue che nel 1996, a New York, si prese una sorprendente rivincita sullo scacchista Garri Kasparov, che nel 1989 aveva stracciato il predecessore Deep Thought, la vera partita dell’AI si gioca nelle organizzazioni aziendali, nel software rivolto agli stessi utenti delle applicazioni di produttività personale, di business analytics, nelle piattaforme gestionali, nella cybersecurity e ovviamente nel mondo della produzione in fabbrica e delle procedure in ufficio. Era dunque scontato che anche la GenAI dovesse contribuire a plasmare l’offerta tecnologica dei vendor IT nei più svariati comparti. Prima della GenAI, il precursore di maggior successo dal punto di vista delle applicazioni è il cosiddetto sistema esperto, anch’esso sviluppato concettualmente in epoca non recente. Wikipedia li fa risalire alla metà degli anni 60, in particolare alle ricerche di Edward Feigenbaum sulla programmazione euristica. Il principio ricorda a grandi linee l’approccio utilizzato nei Large Language Model, perché il sistema esperto ricava le sue “decisioni” (per esempio, diagnosticare sulla base di una serie di sintomi) applicando un motore di inferenza a una “base di conoscenza” codificata dagli esperti umani. Considerando che le attività in questa area di ricerca si svolgono da parecchi decenni, quello che è avvenuto nel periodo che va da AlexNet – la rete neurale che nel 2010 si affermò per le sue eccezionali performance nel riconoscimento visuale – alla fondazione di OpenAI nel 2015, con una successiva ulteriore accelerazione fino al rilascio della prima versione di ChatGPT nel novembre del 2022, fa dell’intelligenza artificiale generativa un’arma davvero dirompente nel mondo enterprise. La GenAI non è la sola area di applicazione dell’intelligenza artificiale che abbia saputo trarre beneficio dalla crescita esponenziale della potenza computazionale legata alla disponibilità di componenti hardware sempre più specializzate che affiancano le architetture fondamentali CPU, e da una infrastruttura, il cloud computing, capace di rendere disponibile questa potenza su una scala, una elasticità e una accessibilità mai vista, specialmente in proporzione ai costi. Campi come il machine learning, il trattamento del linguaggio naturale, la rappresentazione della conoscenza, cavalcano le nuove generazioni di componentistica hardware computazionale, dove dominano le architetture predisposte per il trattamento video e il DSP – e di linguaggi algoritmi e tecniche di processamento innovative, spesso caratterizzati da un uso massiccio del parallelismo. Secondo Fabio Rizzotto, vice president, European Consulting and Custom Solutions di IDC, la nuova frontiera di applicazione dell’AI è ben più vasta dei ristretti domini professionali, specialistici, verso cui erano rivolti i sistemi esperti. L’intelligenza artificiale diventa molto importante nel contesto di una trasformazione digitale su larga scala non solo del business ma anche di tutta la problematica che gira intorno all’enorme volume di dati digitali raccolti o generati, e della conseguente necessità di gestire questa massa e metterla rapidamente a frutto, governando al tempo stesso le tante relazioni dinamiche che attraverso i canali fisici e virtuali tutte le organizzazioni stanno tessendo tra di loro e con i rispettivi utenti finali.

L’ERA DEL BUSINESS DIGITALE

«L’era del business digitale è in pieno svolgimento» – spiega Fabio Rizzotto di IDC. Lo testimonia il livello di spesa che per tutte le tecnologie digitali è in crescita mentre la spesa tradizionale, non digitale, è stagnante o addirittura in lieve calo. «La richiesta di esperienze digitali da parte di clienti, dipendenti, partner e fornitori è diventata una chiara aspettativa generalizzata. Le aziende che puntano a sostenere la loro crescita sono alla ricerca di nuovi flussi di entrata sui canali digitali e cercano al contempo di digitalizzare l’operatività analogica per ridurre i costi e aumentare l’efficienza». Da questo punto di vista l’intelligenza artificiale e la GenAI stanno avendo un impatto di portata generazionale su tutte le organizzazioni. Nelle stime effettuate da IDC, entro il 2025, il 35% delle imprese avrà padroneggiato l’uso della GenAI per sviluppare prodotti e servizi digitali, raddoppiando la crescita dei ricavi rispetto alla concorrenza. Sebbene molti casi d’uso di GenAI siano attualmente focalizzati sul miglioramento dei processi interni, secondo la “2023 Worldwide C-Suite Survey” condotta da IDC, il 58% dei C-level indica che la crescita dei ricavi è l’obiettivo che le imprese mirano a ottenere attraverso i loro progetti nell’ambito dell’AI generativa, a lungo termine. Già oggi, la GenAI può contribuire a risolvere problemi molto concreti e complessi, tra cui una forte accelerazione nella ricerca di nuovi farmaci, la creazione di specifiche di progettazione nello sviluppo di nuovi prodotti e in misura sempre più consistente lo sviluppo e la prototipizzazione rapide di codice software.

«L’AI ci aiuterà a sviluppare congiuntamente prodotti e servizi digitali – prosegue Rizzotto – affiancandoci nell’individuare nuove opportunità di mercato e assegnare loro le adeguate risorse. Le aziende che scelgono di utilizzare soluzioni di GenAI saranno in grado di attivare in modo più rapido ed efficiente le nuove fonti di reddito. Questo può portare a crescite molto più significative rispetto ai concorrenti che sceglieranno invece di non servirsi dei nuovi strumenti». In altre parole, l’AI sarà un fattore differenziante. Ma le imprese dovranno adeguarsi anche sul piano organizzativo. Creando nuove posizioni di responsabilità e promuovendo le competenze necessarie a governare l’intelligenza artificiale con la stessa logica manageriale che nel recente passato è stata applicata ad aspetti come la cybersecurity e Big Data. «Entro il 2026, la proliferazione dei dati provenienti dalla GenAI e da altre iniziative digitali chiave porterà il 25% delle organizzazioni G2000 a introdurre o promuovere il ruolo dei futuri chief AI officer ai vertici aziendali» – afferma Rizzotto. La viralità dell’intelligenza artificiale generativa ha rinvigorito l’attenzione sull’intelligenza artificiale in tutta l’azienda e – come vedremo da tanti esempi forniti dalle aziende utenti contattate da Data Manager – ha dato prominenza al tema all’interno dei consigli di amministrazione. Con molte organizzazioni che sviluppano la propria strategia e roadmap sull’intelligenza artificiale, sta diventando evidente la necessità di nominare figure leader, capaci di sponsorizzare e guidare le iniziative sull’intelligenza artificiale. Probabilmente molte organizzazioni aggregheranno questa responsabilità sotto l’egida del CIO o del chief technology officer (CTO). «Tuttavia – suggerisce l’analista – per coloro che stanno cercando di creare un vantaggio competitivo sul mercato e cercare nuove fonti di reddito utilizzando questi nuovi strumenti, è importante prendere in considerazioni ruoli a loro volta innovativi come quello di chief AI officer ed elevare questa funzione al cosiddetto C-suite: uno “standing” associato all’autorità che serve per indirizzare e guidare un cambiamento reale». Nell’arco dei prossimi diciotto mesi, nella stima di IDC vedremo 4 aziende su 10 impegnate a vendere e interagire con i loro clienti attraverso i servizi on-demand erogati nell’ambito di un ecosistema digitale, abilitando nuovi modelli di business basati sulle funzionalità dell’AI distribuita (“AI everywhere”). Le imprese che già operano su larga scala applicando questi nuovi modelli indicano che il business digitale “ecosistemico” svolgerà un ruolo predominante (fonte: IDC Digital Executive Sentiment Survey).

LA PIATTAFORMA È TUTTO

La stessa ricerca IDC mostra che le fonti di dati più critiche per ottenere un risultato concreto e soddisfacente nel business digitale provengono da partner dell’ecosistema sotto forma di telemetria di offerta, domanda, inventario, finanza, logistica, risorse o servizi. Già nel 2022 IDC aveva previsto che le organizzazioni con catene del valore settoriali altamente sviluppate su un piano di controllo dell’ecosistema sapranno innovare a un ritmo più veloce rispetto ad altre aziende. «Poiché la condivisione in tempo reale di dati, applicazioni e processi all’interno di un ecosistema aziendale diventa una fonte fondamentale di nuovi modelli di business digitali, ci aspettiamo che questo sarà potenziato con funzionalità “AI everywhere”. GenAI sarà sempre più utilizzata per sviluppare e testare, accelerando così la fase di ideazione o per migliorare l’esperienza dei clienti, e quindi la stessa ingegnerizzazione di prodotti e servizi futuri» – spiega Rizzotto. IDC prevede che la combinazione di intelligenza artificiale predittiva, visione artificiale e capacità GenAI e la fornitura di servizi on-demand –attraverso gli ecosistemi integrati, in cui i processi delle aziende e le informazioni che li circondano si intrecciano con quello che prima avveniva in modo isolato nella catena di fornitura, nella logistica, nei canali di vendita al dettaglio e sul lato del consumatore – assumerà una dimensione senza precedenti.

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E questo aprirà opportunità molto interessanti, in primo luogo per catturare l’attenzione dei segmenti di clientela che subiscono maggiormente il fascino di queste funzionalità. Entro il 2026, il 90% dei lavoratori della conoscenza vedrà l’intelligenza artificiale andare ad “aumentare” una parte dei propri flussi di attività. Gli assistenti e le interfacce dell’AI ci aiuteranno in tante circostanze, dall’invio di un preventivo per un cliente alla risposta da dare a una chiamata di assistenza. Il nostro lavoro risulterà più efficace, e molte attività ripetitive e triviali potranno essere delegate a strumenti come Microsoft Copilot. Ma Rizzotto ci ricorda che questa “augmentation” è strettamente legata a una buona convivenza tra intelligenza artificiale e naturale. L’operatore umano, insomma, deve imparare le tecniche giuste per usare questi utensili cognitivi: la qualità delle risposte dipenderà sempre di più da quella della domanda, il già chiacchieratissimo “prompt”. «Questo per tutte le aziende comporta la necessità di riqualificare i loro dipendenti e collaboratori alla prossima era del business digitale» – conclude l’analista. La maggior parte dei manager consultati da IDC (il 77% dei rispondenti) conferma che la loro organizzazione sta esplorando o investendo in modo significativo nelle tecnologie generative (fonte: “IDC FERS Survey, Wave 5”, giugno 2023). L’area della gestione della conoscenza, anche di tipo documentale, è considerata la promessa più significativa sul piano dei casi d’uso (fonte: sondaggio “IDC FERS, Wave 2”, marzo 2023), con la possibilità di utilizzare gli strumenti GenAI per sviluppare e aggiornare rapidamente i contenuti di formazione per i dipendenti line-of-business come vantaggio chiave. Nell’ambito della sua Worldwide C-Suite Survey 2023, IDC ha interrogato le figure apicali delle aziende sulle aspettative più importanti a breve termine (18 mesi) in tema di intelligenza artificiale generativa. La risposta più frequente riguarda la possibilità di rafforzare l’efficienza operativa e la produttività dei dipendenti. Inoltre, l’AI può essere utilizzata per affiancare la gestione dei flussi di lavoro e conferire loro maggiore specificità.

KNOWLEDGE MANAGEMENT

La capacità di incidere in modo concreto su tutti gli aspetti del knowledge management sarà una leva utilizzata dalla maggior parte delle organizzazioni. Tuttavia, tale adozione su larga scala comporterà una sfida non da poco per i collaboratori, che dovranno adeguarsi agli inevitabili effetti sull’andamento della loro operatività e sui processi di acquisizione delle informazioni e di apprendimento. Il lavoro di formazione e reskilling servirà proprio a mitigare gli impatti più negativi e a favorire l’adozione di strumenti software che per la prima volta sono in grado di agire con un certo grado di autonomia per affiancare il lavoratore nel decidere meglio e più in fretta. Ma cerchiamo di capire in modo più diretto il punto di vista degli utenti finali, parlando direttamente con le aziende. Anche in un campione ristretto – ma significativo e diversificato – emergono infatti molti tratti comuni, che confermano almeno sul piano qualitativo, il sicuro interesse nei confronti di un tipo di robotizzazione che entra per la prima volta nella sfera cognitiva, con la stessa dignità di un “collega virtuale” al quale chiedere un utile affiancamento. Ecco alcune considerazioni sull’intelligenza artificiale già in parte sperimentata o comunque affrontata all’interno di tre realtà importanti – Barilla, Angelini Industries ed Edison – rispettivamente nei comparti food, farmaceutico e industriale, utility.

Con Data Manager, Gianpaolo Vitulano, Global Data Architecture & Governance, AA & AI sr manager di Barilla, ha già incrociato i tavoli di discussione partecipando a una densa conversazione sulla smart factory. In quella occasione, aveva molto colpito il fugace accenno a un proof of concept che il giovane manager delle architetture dati del grande gruppo alimentare aveva escogitato con i colleghi per verificare, con “ChefGPT” le potenziali applicazioni della GenAI allo sviluppo “aumentato” di nuove ricette. Nella preparazione di questo dossier, non era possibile non coinvolgere Vitulano in un approfondimento più focalizzato sull’automazione cognitiva. Nelle sue strategie di trasformazione digitale, racconta Vitulano, il gruppo Barilla ha dato il via a un esteso programma di avvicinamento alla nuova cultura del dato già dal 2019 e nel 2020 ha chiamato alla guida del progetto un manager che aveva già accumulato una bella esperienza in quest’ambito fuori dai confini nazionali. «L’attenzione alla digitalizzazione è molto elevata» – sottolinea Vitulano. «L’originale investimento è stato rinnovato, dato il successo del programma, con il preciso obiettivo di continuare a ottenere valore da determinate soluzioni di business analytics. I risultati che le funzioni business stanno ottenendo sono riconosciuti dall’azienda e quei benefici toccano anche noi dell’IT perché ci danno la possibilità di continuare a sviluppare una grande varietà di prodotti per ogni livello dell’organizzazione». Dal team di Vitulano sono nati almeno una quarantina di prodotti analitici utilizzati in tutti gli ambiti funzionali di Barilla, dal finance alle risorse umane, dalla supply chain alla logistica.

L’ARMA DELL’EFFICIENZA

La business intelligence è un’arma formidabile per un’azienda di produzione che deve efficientare, ridurre gli scarti, incrementare la qualità e con i suoi prodotti vuole sapere su quali mercati focalizzarsi per avere risultati ancora più solidi finanziariamente. A questo si aggiunge l’attenzione all’evolversi degli strumenti analitici. Giustamente, l’architetto dei dati del gruppo Barilla osserva che se già il passaggio da Excel a soluzioni di visualizzazione dati, come PowerBI, Tableau e tante altre, rappresenta un salto in avanti, oggi l’AI generativa promette di creare una reportistica efficace semplicemente descrivendo come deve essere fatta, utilizzando il semplice linguaggio naturale.

«Il compito di governare queste evoluzioni, nel modo in cui operano all’interno dei sistemi con i dati di un’azienda, spetta alla funzione della Data Governance, che assicura policy compliance nei processi di project management delle soluzioni analitiche e detta le regole e il perimetro per le scelte in materia architetturale» – spiega Vitulano. Lavorando a stretto contatto con le funzioni che si occupano di Change Management e comunicazione interna, la sua funzione organizza diverse attività che promuovono le nuove modalità di accesso alle informazioni, tra open day di presentazioni e newsletter interne mirate a tenere aggiornati i potenziali utilizzatori dei dati. Per quanto riguarda l’AI e le nuove soluzioni commerciali che la utilizzano, l’ufficio di Vitulano mantiene un assetto il più possibile proattivo, collaborando se necessario con consulenti esterni per valutare inizialmente le nuove proposte e studiare internamente i possibili casi d’uso, fino alla realizzazione dei primi progetti “live”. Senza entrare troppo nel dettaglio, l’ufficio analitico di Barilla funziona come un vero e proprio shop di dati che gli utenti interni possono selezionare attraverso un catalogo e in modalità self-service. Tramite un’interfaccia simile a quella di un motore di ricerca, è possibile accedere alle diverse informazioni digitali, eccetto per quelle classificate alle quali vi è necessaria un’autorizzazione, che poi verranno analizzate con i tool di BI messi a disposizione. La funzione IT, oltre a intervenire per coadiuvare i singoli progetti, sorveglia che questi accessi avvengano in base alle autorizzazioni previste dai cosiddetti data owner e addirittura prevedono un modello di scadenza simile a quello di un servizio video on demand, perché il lavoro sui dati ha un costo e le attività di analisi, che vengono “sponsorizzate” dalle varie funzioni, devono essere misurate e bilanciate sulla base degli obiettivi stabiliti a priori. «Uno degli aspetti più interessanti e importanti per un’azienda che vuole democratizzare i dati consiste proprio nel dare a tutti la possibilità di potervi accedere» – precisa Vitulano. «Non è una novità che i progressi significativi nelle scelte strategiche aziendali, avvengano facendo analisi trasversali. Un concetto ovviamente valido per qualsiasi azienda in qualsiasi industria. La democratizzazione dei dati facilita e crea le opportunità per queste analisi e l’evoluzione tecnologica ci permette velocità e accuratezza impressionanti».

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Oggi dentro a un ambiente dedicato, gli utenti Barilla possono usufruire delle diverse soluzioni di machine learning e artificial intelligence messe a disposizione dall’IT. In questo caso, il team di Vitulano è a disposizione dei colleghi per dare eventuale supporto tecnico. «Molto dipende dal tipo di utente che esplora gli strumenti che si avvalgono di algoritmi di machine learning, un data scientist magari ha le competenze giuste, mentre un utente di business potrebbe aver bisogno di un supporto continuativo, soprattutto durante il cosiddetto proof of concept. Per chi lo desidera c’è la possibilità anche di accedere a corsi messi a disposizione su tools interni di e-learning su vari argomenti, dalla data governance, passando per la BI e arrivando oggi fino alla GenAI. Un insieme di competenze utili a sviluppare analisi sempre più precise ed efficaci.

IL SOLO LIMITE È LA FANTASIA

Le cose più ludiche e speculative possono essere iniziate e portate avanti anche dall’IT e a sua opinione dovrebbero essere sempre incoraggiate, sostiene Vitulano. Un POC come ChefGPT – rileva Vitulano – nasce proprio da questo contesto di sperimentazione. «Qui – afferma il “data governor” – l’unico limite è la fantasia». Per esempio, una delle applicazioni dell’AI generativa visual è la possibilità di creare immagini accattivanti dalle quali poter prendere spunto per la descrizione di nuovi prodotti. «Si può anche pensare di servirsi di questa tecnologia per creare in 3D nuovi modelli di formato di pasta. In questo modo, l’intelligenza artificiale può impattare non solo su aspetti come il controllo della qualità o delle marginalità della produzione, ma addirittura nello sviluppo dei prodotti». Calata nella realtà dell’automazione degli stabilimenti, delle decisioni di business e persino della creatività, l’AI non fa un po’ di paura? Oggi, che l’AI generativa raggiunge così rapidamente un livello di maturazione tale da indurre a ipotizzare applicazioni sempre più complesse, il suo potere sostitutivo è sicuramente qualcosa che deve indurci alla massima prudenza sull’impatto che questo affiancamento può avere sulla nostra fantasia creativa, sulla capacità di decidere e sull’apprendimento. Un aspetto che Vitulano ritiene prioritario, al di là delle sperimentazioni fatte dalla sua azienda, è riuscire a concentrarsi su una GenAI che assicuri la neutralità dei risultati e quindi delle decisioni prese. Perché dentro a qualsiasi contesto aziendale, una decisione che nasce da un bias cognitivo può portare a situazioni discriminanti per i clienti, con seri danni di immagine oltre che economici. Per questo è così importante agire anche sul piano dell’etica e sulla definizione di apparati normativi molto stringenti, come l’AI Act approvato a inizio febbraio dall’Unione europea. Una separazione abbastanza netta tra machine learning e AI generativa è utile quando si tratta di misurare i benefici e svantaggi dell’una e dell’altra. È questo il parere di Dario Vercesi, responsabile Architetture/Innovazione, Enterprise Data Platform, Piattaforme Low Code e RPA di Edison, l’altra realtà che abbiamo coinvolto in questo dossier per esplorare l’impatto che l’intelligenza artificiale di nuova generazione può avere sull’operatività e la redditività di un’impresa. «Nessuno è in possesso di molti elementi per comprendere come evolverà la GenAI» – afferma Vercesi. «A differenza degli algoritmi di machine learning, dove la stessa Edison è attiva tecnologicamente e industrialmente parlando, questi hanno sicuramente una funzione più matura, che ha trovato molte applicazioni in ambito aziendale. Anche i rischi sottesi sono indubbiamente diversi». Vercesi pone l’esempio dell’implementazione in Edison di un approccio ML alle previsioni sul ciclo di vita e di produzione delle turbine eoliche. Si tratta, spiega il responsabile dell’innovazione tecnologica della grande utility, di un sistema di modellamento, un digital twin, utilizzato per anticipare il comportamento di un parco di eliche. «Modelli che trasposti sul terreno dell’intelligenza artificiale ci permettono di capire meglio il funzionamento di un insieme di turbine. Grazie alle simulazioni è più facile far scalare questi modelli variando a piacere il numero di pale eoliche e fare forecasting sulla produzione, la vita utile, i possibili guasti».

«Un aspetto importante riguarda le soluzioni che siamo in grado di sviluppare internamente» – spiega Vercesi. «L’organizzazione ha una sua componente digital costituita dai data scientist che supportano l’applicazione di modelli come questo. È anche un modo per accentuare la governance tecnologica di aree su cui possiamo differenziarci rispetto ai concorrenti, condividendo una piattaforma informatica che è sotto la mia responsabilità e sulla quale girano i modelli interni o acquisiti». Per altre tipologie di progetti meno differenzianti, Edison ricorre alla collaborazione con consulenti esterni o all’acquisto di soluzioni commerciali, cercando di mantenere in casa una serie di competenze e il pieno controllo di aspetti come la cybersecurity. In ogni caso, si cerca di perseguire un obiettivo di democratizzazione dei dati, consentendo che siano le stesse aree di business a curare i propri progetti. La differenza tra “buy” e “make” dipende anche dal ROI di questi progetti. In alcuni casi, l’ampia scalabilità di un progetto può giustificare l’acquisto di una tecnologia sul mercato.

INTERESSE STRUTTURATO

Se questa modalità di governance sul machine learning è ormai consolidata, l’interesse nei confronti della GenAI è stato strutturato solo recentemente in Edison, con un progetto condotto a quattro mani da un responsabile digital e dallo stesso Vercesi per la parte che riguarda l’ICT. Il duplice obiettivo è identificare le potenzialità della tecnologia e le modalità di adozione da parte dell’azienda. Edison ha voluto dare una linea interpretativa unica, per evitare la dispersione dovuta a progetti interessanti solo per specifiche aree. L’interesse sul tema è ovviamente molto diffuso – riconosce Vercesi – vuoi per l’hype che circonda il termine GenAI, vuoi per l’interesse, anzi la sensazione destata da risultati che spesso si potrebbero ottenere facilmente anche con una intelligenza artificiale di tipo analitica ma non nel contesto di una interfaccia nella lingua di tutti i giorni. «Con il progetto appena varato puntiamo a misurare i vantaggi di use case di tipo trasversale, quelli che potrebbero, per esempio, derivare da una tecnologia come Microsoft Copilot, accanto a casi d’uso più specifici e vicini al nostro core business». Per la prima categoria di applicazioni, GenAI potrebbe diventare come il personal computer, uno strumento che oggi le aziende assegnano a tutti i loro collaboratori, ma Edison cerca di comprenderne la reale efficacia nel settore dell’energia.  «Per farlo – racconta Vercesi – abbiamo intervistato tutte le funzioni aziendali: il back-office, il procurement, gli uffici finanziari. E abbiamo fatto una mappatura completa dei possibili use case. Per esempio, nell’area ingegneristica si può pensare all’analisi dei capitolati e della documentazione: accelerando i tempi potremmo reagire più rapidamente alle varie offerte».

Un altro tema è quello del “permitting”, le autorizzazioni che Edison deve ricevere per i suoi interventi infrastrutturali. Un lavoro che richiede l’analisi di una notevole massa di regolamenti emessi dalle varie giurisdizioni, fino ai singoli comuni. Regolamenti che vengono raccolti e devono essere correttamente interpretati quando si deve costruire e attivare una pala eolica o un altro impianto energetico, o quando si devono smaltire gli scarti prodotti. «Siamo ancora in una fase di identificazione delle possibili applicazioni, ma sappiamo che sulla falsariga di quanto facciamo per il machine learning, c’è bisogno di una governance centrale e corale anche per la GenAI. Ci sono per esempio rischi che solo un ufficio legale può indirizzare». Edison ha insomma ben presenti gli aspetti non tecnologici di una questione che ha oggettivamente moltissimi punti di interesse ma non è scevra di incognite. C’è un campo di applicazioni, come appunto quello riferito all’aspetto documentale, che sicuramente vedrà lo sviluppo di proof of concept e il tentativo di scalare dai vertical a una maggiore trasversalità, ma anche qui esiste anche un insieme di implicazioni legali, etiche e sociali che – secondo Vercesi – le aziende oggi non devono trascurare. «In un’organizzazione dove le valutazioni tecniche umane e l’approvazione legale sono fondamentali, è cruciale mantenere l’uomo al centro del processo decisionale. Tuttavia, l’introduzione dell’intelligenza artificiale può essere vantaggiosa, specialmente nel contesto della sintesi documentale. In questo processo supervisionato, un’intelligenza artificiale può svolgere il compito di sintetizzare documenti o fornire informazioni rilevanti, ma è importante che questa AI sia sottoposta a una rigorosa certificazione delle fonti».

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GUARDARE OLTRE L’HYPE

Dal 2023, la gestione dell’intelligenza artificiale di Angelini Industries è affidata, insieme alla data strategy, alla guida di Stefano Bradinali che ricopre la carica di group chief innovation officer del gruppo, noto ai più per il suo ramo farmaceutico, ma attivo come realtà multibusiness nei campi della salute, della tecnologia industriale e del largo consumo. Una delle prime decisioni di Brandinali, proveniente da una lunga esperienza nell’industria delle fibre ottiche con Prysmian, riguarda l’affiancamento con Carlo Torniai, brillante ingegnere informatico e delle telecomunicazioni, nominato C-level Leader con una responsabilità che Brandinali definisce “pervasiva” e che riguarda l’AI, la data science e le strategie di sviluppo, innovazione e trasformazione digitale. Anche attraverso la sua recente esperienza in Esselunga, Torniai padroneggia con grande dimestichezza il dominio dell’intelligenza artificiale applicata ai dati e al problem solving e oggi guarda ai progressi compiuti dall’AI generativa con un occhio in grado di guardare ben al di là della cortina dell’hype. Anche se per un esperto come Torniai gli sviluppi che nascono dall’applicazione di concetti come le reti neurali e i large language model non costituiscono una vera sorpresa, l’entusiasmo nei confronti di fenomeni come ChatGPT è abbastanza giustificato.

L’aspetto della democratizzazione e la forte accelerazione della performance di questi modelli hanno conferito al tema una velocità senza precedenti. A proposito dei rischi legati a questo nuovo potenziale cognitivo e alle possibili interferenze con il nostro lavoro e le nostre decisioni – Torniai sottolinea che l’intelligenza artificiale ci costringe, per l’appunto, a decidere. «È un campo in cui dobbiamo scegliere che cosa fare. A mio parere, avremo una iperautomazione dei task cognitivi di livello medio basso, accompagnata da una forte trasformazione del lavoro insieme a questi nuovi “sparring partner”, gli assistenti digitali. Disporre di una AI costantemente al proprio fianco rappresenta un grande shift, ma non lo vedrei come totale sostituzione. Io stesso, per esempio, ho sviluppato alcuni script che mi aiutano a incrociare i requisiti di mio interesse con i curricula dei candidati all’assunzione, ma prima mi ero letto i CV fino all’ultima riga». Torniai, insomma, sembra insistere sul concetto di “augmentation” più che di “substitution”. Anche se da questo punto di vista, il recente annuncio di Klarna, leader nei pagamenti online e mobili nei paesi nordici, suscita profonde riflessioni. Il lancio del loro nuovo assistente digitale basato su OpenAI ha dimostrato un’efficacia straordinaria: in soli trenta giorni di attività, l’assistente ha gestito ben 2,3 milioni di conversazioni, pari a circa due terzi di tutte le chiamate al servizio clienti. Questo risultato è stato ottenuto con un impatto notevole: l’assistente ha sostituito il lavoro di 700 operatori umani, mantenendo allo stesso tempo alti livelli di soddisfazione del cliente. Sorprendentemente, la durata media delle chiamate è stata drasticamente ridotta da 11 a soli 2 minuti, e il numero di ripetuti accessi al servizio è diminuito del 25%.

Detto questo, Brandinali e Torniai rifiutano per definizione ogni tipo di chiusura o postura difensiva. Gli esperimenti con ChatGPT proseguono, anche se per evidenti ragioni, ogni progetto si basa su istanze private del modello. «Sperimentiamo anche con assistenti commerciali come Copilot – spiega Torniai – anche perché è ancora difficile orientarsi in quella che è già una ipertrofia di soluzioni. Dobbiamo capire dove si assesteranno». Oltre alle tipiche situazioni riferibili all’uso dei programmi di produttività personale, anche Angelini Industries ha identificato una serie di possibili use case, in ambiti come il supporto al servizio tecnico nelle attività focalizzate sulle macchine utensili, dove viene impiegata una base di conoscenza fatta di indicizzazioni di manuali e di database storici in cui sono inseriti i dati relativi ai ticket aperti e alle soluzioni attuate. Qui, l’interfaccia in linguaggio naturale può aiutare l’operatore a capire in fretta che cosa fosse stato fatto per risolvere un determinato problema. «Tutto questo avviene in un ambito di recupero delle informazioni, ma i nostri esperimenti riguardano anche la generazione di contenuti: abbiamo pensato di applicare la GenAI per velocizzare la creazione delle richieste di brevettazione a partire dai format interni all’azienda verso le strutture prescritte dall’ufficio brevetti» – aggiunge il data scientist. L’importante – secondo Torniai – è capire che la grande bolla di discussione che oggi circonda l’AI generativa non ha decretato la morte dell’intelligenza artificiale in generale o del machine learning. Al contrario, la GenAI assume alcune specificità che la porteranno a essere integrata negli strumenti di produttività personale e di ricerca delle informazioni. Da un lato avremo gli algoritmi che ci aiutano a estrarre numeri, dall’altro un’interfaccia che ce li racconta in un linguaggio più comprensibile, supportandoci nel fondamentale lavoro di valutazione degli scenari che l’AI stessa ci aiuta a costruire.

LA RIVINCITA DELL’INTUIZIONE?

Per Stefano Brandinali, l’arrivo di questi strumenti di affiancamento del lavoro umano rappresenta solo in parte una novità, dopo la già lunga tradizione dei robot industriali. Ma molte implicazioni sono ancora inedite. «In molti settori industriali, anche quelli in cui l’uomo ha un ruolo guida – spiega il group chief innovation officer di Angelini Industries, sta emergendo il concetto di “machine customers” quando una transazione commerciale viene decisa da una macchina senza coinvolgimento umano diretto. Nel computer trading, i titoli vengono scambiati così, ma ci sono esempi molto più vicini a noi: la stampante che ho in ufficio decide da sola quando ordinare le cartucce di inchiostro».

Nel marketing, l’arte di legare l’acquisto al bisogno e all’emozione del momento, l’arrivo di questo tipo di clienti, insieme alla possibilità di promuovere attraverso contenuti generati dall’AI potrebbe cambiare molte regole. Brandinali si dice contento di operare in un settore dove la comunicazione commerciale deve rispondere alle severissime regole dell’Agenzia del Farmaco. E sulla base della sua passata esperienza, ci regala un’ultima riflessione che sembra rilanciare il valore, ancora tutto umano, dell’intuizione e della capacità di osservare. Per chi produce fibre ottiche, uno dei problemi più critici è la lunghezza delle bobine di cavo, che deve possibilmente rispettare una lunghezza standard. In uno stabilimento, una linea di produzione sfornava bobine più corte della misura prevista e non si riusciva a capire perché. «Il problema resisteva ai più sofisticati algoritmi di simulazione, basati sui dati raccolti da moltissimi sensori» – racconta Brandinali. «Finché la soluzione empirica non è arrivata da una semplice rappresentazione grafica dei vari passaggi di fabbricazione, realizzata con linee di diverso colore. Osservando il grafico, ci siamo resi conti che l’intoppo era legato a uno specifico nodo di questo percorso ed è bastato reindirizzare il traffico per tornare a produrre bobine di lunghezza media adeguata». A volte, l’insight va proprio preso alla lettera.


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