Il data center future-ready è intelligente, sostenibile, definito dal software e dall’infrastruttura come codice. La domanda di potenza, spinta dal ML e dall’AI generativa in ambienti cloud ibridi impone di ridefinire il modo di progettare, orchestrare e automatizzare le risorse
I data center come punto di accumulazione dell’economia digitale. L’integrazione di tecnologie AI e machine learning abilita l’automazione del provisioning e della gestione dei workload, mentre modelli “software-defined” e strumenti di Infrastructure as code garantiscono flessibilità e scalabilità in ambienti ibridi. Sul fronte energetico, cresce la spinta verso modelli a zero emissioni, con l’Europa in prima linea. A cambiare è anche la geografia del dato, sempre più distribuita grazie all’edge computing. Mentre l’intelligenza artificiale continua a evolvere, i data center devono adattarsi per supportare la crescente domanda di potenza computazionale, bilanciando il consumo energetico con soluzioni di efficienza avanzata e il ricorso massivo alle energie rinnovabili. I data center di nuova generazione che ospiteranno l’AI dovranno essere in grado di supportare enormi esigenze di calcolo, generando una produzione elevata di calore, che andrà recuperato e riutilizzato sotto forma di energia.
Ma non solo. Si stima che anche la potenza elettrica e il fabbisogno energetico di un data center per l’AI raddoppieranno. Secondo la ricerca pubblicata sei mesi fa dalla International Energy Agency (IEA), nel 2023 gli investimenti in data center da parte dei tre Big del cloud – Amazon, Google e Microsoft – hanno superato, per la prima volta, quelli dell’intero settore petrolifero statunitense, segnando un punto di svolta simbolico nell’economia dell’energia digitale.
L’espansione dei data center richiede livelli di energia vicini a quelli di intere città. Un’infrastruttura da 100 megawatt – oggi considerata standard per i grandi operatori cloud – equivale al fabbisogno elettrico medio di circa 400mila veicoli elettrici in circolazione. Nell’insieme, i data center necessitano già di circa l’1% dell’energia globale, consumando in un anno circa la metà dell’intero consumo rappresentato dai dispositivi IT nelle case di tutto il mondo. Ma secondo l’Agenzia internazionale dell’energia occorre mettere queste cifre in prospettiva perché i valori citati rappresentano una percentuale tutto sommato bassa dei consumi totali e la crescita della domanda di energia elettrica è guidata da fattori molto più importanti, incluso il problema del cambiamento climatico. Questo non esclude che i data center dovranno cercare di raggiungere livelli di densità di potenza di calcolo ed efficienza energetica sempre maggiori, anche considerando che i consumi dei singoli processori nei server fisici diminuiscono.
Avvalendosi di studi e ricerche degli analisti, il dossier analizzerà in profondità le strategie di ottimizzazione dei consumi energetici e dell’utilizzo delle risorse IT virtualizzate, con un focus sulle nuove piattaforme di management e automazione nel governo intelligente delle infrastrutture digitali. Al centro dell’analisi anche il mercato in rapida evoluzione delle soluzioni AIOps, fondamentali per rendere più efficienti gli investimenti infrastrutturali legati all’intelligenza artificiale e per garantire una gestione proattiva e scalabile delle applicazioni AI. È una partita che vale la pena giocare, perché sempre secondo l’IEA proprio l’intelligenza artificiale avrà un ruolo fortemente innovatore nel modo in cui gestiamo la produzione e il consumo di energia. Secondo l’IEA, entro il 2030 il consumo globale di elettricità crescerà di circa 6.750 terawattora, passando dagli attuali 25mila a circa 32-33mila TWh. Un incremento trainato in larga parte dalla digitalizzazione, dall’elettrificazione dei consumi e dalla crescente diffusione dell’intelligenza artificiale. Proiezioni al 2050 indicano che i livelli di consumo previsti per il 2030 potrebbero addirittura raddoppiare. In questa corsa la tecnologia IT può essere una carta vincente.
LA SFIDA DEI WORKLOAD AI
L’interesse nei confronti delle infrastrutture digitali e della loro evoluzione verso le esigenze di Big Data e soprattutto dei nuovi workload legati agli algoritmi e ai modelli linguistici dell’intelligenza artificiale, si impone del resto a livello globale. In previsione di un convegno programmato sul tema a Milano, IDC ha reso noti alcuni risultati di un suo recente studio che analizza la spesa infrastrutturale nel 2025.
Nel corso di tutto l’anno – scrivono gli analisti IDC – le decisioni di spesa IT continueranno a premiare l’infrastruttura digitale, confermata tra le principali priorità dalla maggior parte dei responsabili IT aziendali. Le organizzazioni stanno puntando su strategie infrastrutturali ibride, interoperabili e resilienti, con un focus crescente sull’automazione, l’efficienza operativa e la modernizzazione del data center.
Gli investimenti in queste aree sono considerati tra i più immuni da eventuali tagli di budget. Tra i principali risultati emersi dalla ricerca IDC, spicca l’adozione accelerata della GenAI: un’organizzazione su tre ha già portato in produzione diversi workload basati su intelligenza artificiale generativa, spingendo la domanda di infrastrutture scalabili ed efficienti. La spesa infrastrutturale mostra una netta crescita in tre aree strategiche: migrazione applicativa verso il cloud pubblico, potenziamento della cyber resilienza e modernizzazione dei data center, ambiti in cui si concentra la maggior parte degli investimenti previsti.
Al centro delle strategie infrastrutturali, secondo IDC, si conferma il modello ibrido. Tre organizzazioni su quattro mantengono ancora un proprio data center, integrato con ambienti on-premise, co-location, edge e cloud pubblico, consolidando l’approccio ibrido come standard operativo dominante. Parallelamente, cresce l’attenzione verso l’efficienza operativa e il contenimento dei costi IT: oltre un terzo delle aziende sta dando priorità agli investimenti in automazione dell’infrastruttura e in tecnologie di osservabilità potenziate dall’intelligenza artificiale. Questi trend delineano l’ingresso in una nuova fase della trasformazione digitale, in cui l’infrastruttura IT si afferma come elemento strategico per abilitare l’adozione dell’AI e rispondere alle esigenze pressanti di agilità, scalabilità e resilienza.
HYPERSCALER, IL FUTURO E’ GIÀ QUI
Il legame tra intelligenza artificiale e potenza computazionale è una questione molto più complessa del semplice paradigma della dualità tra server/data center da un lato e applicazioni dall’altro. AI e cloud sono intimamente connessi e questo sostanzialmente significa che anche il fenomeno della creazione di nuova infrastruttura e dell’evoluzione dei data center esistenti è animato da dinamiche non lineari. Gran parte della sperimentazione condotta dalle aziende si basa sull’accesso a modelli di intelligenza artificiale forniti in modalità as-a-Service dai principali player del settore, come OpenAI, Google (Gemini) e Meta. Queste piattaforme consentono alle organizzazioni di testare e implementare soluzioni GenAI in modo rapido e scalabile, riducendo la complessità tecnologica e accelerando il time-to-value.
In questo momento il progetto con maggiore visibilità, Stargate, viene promosso da OpenAI insieme a partner di eccezione. Ecco come OpenAI ha presentato l’iniziativa varata il primo gennaio di quest’anno, con un tono trionfalistico che strizza esplicitamente l’occhio ai messaggi del nuovo presidente americano. «Il Progetto Stargate è una startup che intende investire 500 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni per costruire negli Stati Uniti una nuova infrastruttura computazionale per l’intelligenza artificiale di OpenAI. Inizialmente, sono già stati stanziati 100 miliardi di dollari per una infrastruttura che garantirà la leadership americana nel campo dell’AI e, creerà centinaia di migliaia di posti di lavoro, generando enormi benefici economici per il mondo intero. Stargate non solo sosterrà la reindustrializzazione degli Stati Uniti, ma fornirà anche una capacità strategica in grado di tutelare la sicurezza nazionale dell’America e dei suoi alleati».
I primi finanziatori del progetto sono SoftBank, OpenAI, Oracle e MGX, il fondo di investimento specializzato in AI negli Emirati Arabi Uniti. SoftBank e OpenAI sono i partner principali di Stargate, con SoftBank come responsabile finanziario e OpenAI responsabile operativo. Presidente del consorzio è il CEO di SoftBank, l’imprenditore e magnate giapponese (ma di etnia coreana, la generazione di “zainichi” emigrati in Giappone prima della guerra) Masayoshi Son. I partner tecnologici dell’iniziativa sono ARM, Microsoft, NVIDIA, Oracle e OpenAI. Il primo data center è già in costruzione in Texas, nella zona a ovest di Dallas-Fortworth, una delle più attive nella realizzazione delle fabbriche di bit di nuova generazione. Ma Stargate sta già valutando diversi altri siti per il suo network di “campus” di calcolo, ciascuno di potenza complessiva non inferiore al gigawatt.
Nell’ambito di Stargate, Oracle, NVIDIA e OpenAI collaboreranno molto strettamente per costruire e gestire questo ecosistema di elaborazione, basandosi sulle alleanze che fin dal 2016 OpenAI ha cominciato a costruire, prima proprio con NVIDIA e più recentemente con Oracle. Anche se il nome di Microsoft non viene citato tra gli investitori iniziali, la partnership esistente con OpenAI continua a rafforzarsi. Il colosso dell’AI guidato da Sam Altman – e notoriamente co-fondato da Elon Musk – estenderà l’uso di Microsoft Azure, mentre OpenAI intende far leva su questa ulteriore capacità di calcolo per “addestrare” e far crescere i suoi modelli e offrire al pubblico servizi di qualità.
Com’è strutturato un campus Stargate? Le prime anticipazioni sul data center in costruzione in Texas parlano di un sito già entrato nella seconda fase di espansione, con un’estensione complessiva di circa 354 ettari: una superficie superiore a quella di Central Park, a New York. Il campus ospiterà otto edifici operativi, con una capacità complessiva prevista di 1,2 gigawatt, sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico di circa un milione di abitazioni. L’azienda incaricata di realizzare l’infrastruttura è Crusoe Energy, fondata da Chase Lochmiller, pioniere nel settore del “crypto-mining” e, in precedenza, del trading ad alta frequenza, un altro ambito ad alta intensità computazionale. Secondo il piano definitivo, il progetto prevede l’utilizzo di un pezzo di terreno nei pressi di Abilene, che dista da Dallas quanto Milano dista da Venezia. La scelta del Texas, al di là degli attuali di trend di affermazione, non è casuale. Lo stato del petrolio – un altro comparto industriale il cui futuro dipende strettamente dal supercalcolo e dal machine learning – è uno dei pochi in grado di assicurare così velocemente la fornitura energetica alla mega-fabbrica dei bit. Energia e calcolo sono un binomio capace di scompigliare le carte di un mercato che negli Stati Uniti sembrava essersi consolidato sullo stato della Virginia. Indipendentemente da Stargate, il Texas ha già superato la Virginia in termini di nuovi data center in costruzione, se misurati in potenza complessiva assorbita.
ANATOMIA DELL’AI DATA CENTER
Cerchiamo però di capire meglio, come deve essere fatto “dentro” un data center specializzato per carichi di lavoro di intelligenza artificiale, anche per rispondere alle curiosità delle aziende che devono intraprendere, magari dopo una prima fase di sperimentazione dell’AI attraverso le sue offerte “pubbliche”, un discorso in qualche modo legato anche alla fisicità del calcolo attraverso una strategia mirata alle risorse computazionali, alla modernizzazione di infrastrutture esistenti o addirittura alla realizzazione di data center di nuova concezione.
Mentre molte attività di sperimentazione possono essere realizzate facilmente tramite sottoscrizioni a piattaforme come Gemini o ChatGPT, o attraverso l’utilizzo di istanze personalizzate di modelli open-source scaricabili su server virtuali o fisici da gestire in autonomia, le comunità di esperti di machine learning e data scientist possono sfruttare ambienti online come Hugging Face o Kaggle per accedere a modelli, librerie, strumenti e servizi cloud dedicati. In generale, il cloud pubblico rappresenta la soluzione principale per il dispiegamento dei motori LLM utilizzati nelle loro attività. Tuttavia, arriva un momento in cui, per motivi legati alla potenza di calcolo, alla latenza, o più frequentemente alle dimensioni dei dataset, alla tutela della privacy o della proprietà intellettuale, la scelta dell’infrastruttura on-premise per le operazioni di MLOps diventa inevitabile.
Un data center progettato per soddisfare le specifiche esigenze degli algoritmi di AI e dei carichi di lavoro legati all’analytics può presentare caratteristiche architetturali distintive rispetto a un’infrastruttura tradizionale. L’accento si sposta sulla potenza computazionale accelerata, sull’elevato throughput dei dati e sulla flessibilità operativa, elementi centrali per garantire performance elevate e scalabilità. La gestione ottimale di modelli complessi come quelli basati su transformer e l’integrazione di unità di calcolo specializzate, come le TPU, sono fondamentali per l’efficienza dei processi di inferenza e addestramento.
A livello di architettura IT, è essenziale implementare reti ad alta velocità e bassa latenza, in grado di gestire flussi massicci di dati senza colli di bottiglia, e sistemi di storage scalabili e performanti per un accesso rapido ai grandi volumi di informazioni. Inoltre, l’integrazione di software e tool ottimizzati per l’AI e l’adozione di piattaforme MLOps per la gestione del ciclo di vita dei modelli è indispensabile per mantenere l’efficienza operativa. Il raffreddamento e l’alimentazione ad alta densità sono altrettanto importanti in un ambiente che gestisce carichi computazionali elevati, garantendo la stabilità e la sostenibilità energetica. Infine, la flessibilità e la scalabilità dell’infrastruttura, unite all’automazione tramite tecnologie come l’Infrastructure as Code (IaC), sono essenziali per rispondere rapidamente alle esigenze in continuo cambiamento dei modelli di AI, assicurando un funzionamento fluido e sicuro.
INFRASTRUTTURA DI CALCOLO
Nel cuore dei moderni data center dedicati all’intelligenza artificiale si trovano infrastrutture di calcolo radicalmente diverse da quelle tradizionali. Pensate per rispondere alle esigenze estreme dei modelli di machine learning e deep learning, queste architetture si fondano su un massiccio impiego di hardware specializzato e su un’organizzazione pensata per garantire velocità, efficienza e scalabilità. A partire dalle GPU, diventate lo standard de facto per l’addestramento degli algoritmi AI grazie alla loro architettura massivamente parallela, capace di eseguire simultaneamente migliaia di operazioni matematiche. Nei data center AI, le GPU di fascia alta sono distribuite in server ad alta densità e spesso interconnesse tramite tecnologie come NVLink, che garantiscono una comunicazione ultraveloce tra dispositivi all’interno dello stesso nodo computazionale. A fianco delle GPU, sta crescendo l’adozione di acceleratori specializzati come gli ASIC e le FPGA.
I primi, come le TPU (Tensor Processing Units) sviluppate da Google, sono progettati su misura per specifici carichi di lavoro AI e offrono livelli superiori di efficienza energetica e prestazioni. Le FPGA, pur più complesse da programmare e meno performanti degli ASIC in ambiti specifici, consentono una personalizzazione estremamente profonda, agendo a livello più basso rispetto al firmware e rendendo l’hardware modificabile in funzione di diversi algoritmi. Anche le CPU ad alte prestazioni mantengono un ruolo fondamentale: pur non essendo impiegate direttamente nei calcoli di inferenza o training, sono indispensabili per la gestione del sistema operativo, la preparazione dei dati e il coordinamento dei carichi di lavoro AI. Questi componenti convivono in nodi di calcolo ad alta densità, che massimizzano l’utilizzo dello spazio e minimizzano la latenza, ma pongono anche sfide rilevanti in termini di raffreddamento e gestione dell’alimentazione, richiedendo soluzioni termiche e infrastrutturali di nuova generazione. Il risultato è una piattaforma completamente ripensata rispetto al passato, capace di sostenere carichi computazionali intensi in modo efficiente.
L’evoluzione delle architetture AI-oriented è ben rappresentata dalle Google TPU, circuiti integrati specifici progettati per accelerare i carichi di lavoro di machine learning, in particolare quelli basati su TensorFlow. A differenza delle CPU e GPU, le TPU sono ottimizzate per le operazioni tensoriali alla base degli algoritmi di deep learning. Grazie alle Matrix Multiply Units, queste unità sono in grado di eseguire moltiplicazioni di matrici in modo estremamente efficiente. Sono inoltre dotate di memoria HBM (High Bandwidth Memory), che garantisce un accesso ultra-rapido ai dati, riducendo i colli di bottiglia nei trasferimenti tra processore e memoria.
Nei data center, le TPU sono connesse tramite reti ad alta velocità proprietarie che permettono l’addestramento distribuito e l’inferenza su larga scala. Supportano anche formati a precisione ridotta, come bfloat16 o int8, ideali per processi di inferenza veloci e a basso consumo energetico, senza sacrificare in modo significativo la qualità del modello. Sebbene inizialmente pensate per TensorFlow, oggi le TPU supportano anche altri framework come PyTorch e JAX, aprendo l’accesso a una community di sviluppatori AI sempre più ampia. Questa nuova generazione di data center, costruita attorno a un’architettura computazionale “aperta” e orientata ai carichi AI, rappresenta un passaggio critico nella trasformazione digitale delle imprese. Un’infrastruttura non solo performante, ma modulare, scalabile e ottimizzata per sostenere l’ascesa dell’intelligenza artificiale in ogni ambito del business.
PIÙ SPRINT NEL CLOUD
L’inferenza di modelli Transformer, specialmente quelli di grandi dimensioni come i Large Language Models (LLM), può essere computazionalmente intensiva a causa del gran numero di parametri e delle operazioni di moltiplicazione di matrici coinvolte nel calcolo dell’attenzione. In questo scenario, le Google TPU (Tensor Processing Units) si sono affermate come uno degli strumenti più efficaci per accelerare le prestazioni di questi modelli. Progettate specificamente per eseguire in modo efficiente operazioni matriciali, cuore pulsante degli algoritmi di self-attention, le TPU sfruttano unità di moltiplicazione ad alta velocità (MXU) che superano ampiamente le prestazioni di CPU o GPU non ottimizzate.
Uno dei vantaggi principali dell’utilizzo delle TPU per l’inferenza è il supporto per formati a precisione ridotta, come il bfloat16. In molti scenari applicativi, non è necessaria la piena precisione floating point a 32 bit, e l’uso di formati più leggeri consente di migliorare la velocità e ridurre il consumo di memoria, senza compromessi significativi in termini di accuratezza. Il throughput elevato e la latenza contenuta rendono le TPU ideali per applicazioni in tempo reale, come chatbot, assistenti virtuali, motori di ricerca e sistemi di traduzione automatica. È proprio grazie a queste caratteristiche che Google è in grado di servire quotidianamente miliardi di richieste basate su modelli Transformer tramite le proprie TPU distribuite nei data center globali.
Il vantaggio competitivo delle TPU si estende anche all’integrazione software: strumenti come TensorFlow Serving, ottimizzati per l’inferenza su TPU, semplificano notevolmente il deployment di modelli AI. Tuttavia, è importante sottolineare che Google non commercializza direttamente le proprie TPU come hardware autonomo da integrare in data center privati. L’accesso a questa tecnologia è riservato agli utenti della Google Cloud Platform (GCP), che possono utilizzare varie versioni delle TPU – dalle Cloud TPU v3 fino alla recente v5e, pensata specificamente per l’inferenza – attraverso istanze virtuali scalabili on-demand. Questo approccio riflette un modello di “ibridizzazione” comune: l’infrastruttura hardware resta nei data center dell’hyperscaler, mentre aziende e sviluppatori possono beneficiare di prestazioni elevate senza dover affrontare la complessità di gestione fisica dell’hardware. Raffreddamento, alimentazione, integrazione con il software, ottimizzazione del framework (soprattutto TensorFlow) e compatibilità con strumenti come Google Compute Engine, Kubernetes Engine o Vertex AI sono tutte responsabilità del provider. Per ora, dunque, l’adozione diretta delle TPU all’interno di ambienti on-premise è limitata, non solo dalla scarsa disponibilità commerciale di questi ASIC proprietari, ma anche dalle barriere tecniche legate alla loro integrazione.
Guardando al futuro, è probabile che le tecnologie di accelerazione come le TPU continueranno a essere fruite prevalentemente tramite modelli cloud ibridi, a meno che non emergano problematiche insormontabili di costo, latenza o controllo. Un utilizzo cloud-first, infatti, garantisce maggiore agilità e libertà in un panorama tecnologico in continua evoluzione, dove la rapidità di aggiornamento dell’hardware e l’ottimizzazione del software giocano un ruolo decisivo nella corsa all’intelligenza artificiale generativa.
RETI ULTRA-VELOCI PER L’AI
Nei data center progettati per l’intelligenza artificiale, l’architettura di rete gioca un ruolo chiave nell’assicurare le prestazioni necessarie per carichi di lavoro estremamente intensivi in termini di dati. Il trasferimento efficiente e a bassa latenza di enormi volumi di dati tra nodi di calcolo, storage e risorse esterne è essenziale per garantire l’efficacia dell’addestramento distribuito dei modelli AI e delle attività di inferenza in tempo reale. A tal fine, queste infrastrutture adottano tecnologie di interconnessione ad alta velocità come InfiniBand ed Ethernet da 100, 200 o 400 gigabit al secondo, spesso organizzate in topologie spine-leaf per mantenere una larghezza di banda elevata e uniforme tra tutti i nodi. Protocolli come RDMA (Remote Direct Memory Access) permettono ai server di accedere direttamente alla memoria di altri sistemi senza passare dal sistema operativo, riducendo così drasticamente la latenza e il carico della CPU. Inoltre, il networking ottico, basato su connessioni in fibra e switching avanzato, è fondamentale per garantire alte prestazioni nelle comunicazioni a lunga distanza all’interno del data center e verso ambienti cloud. Questo livello di ottimizzazione della rete è ormai imprescindibile per supportare lo sviluppo e il deployment di modelli AI complessi.
STORAGE AD ALTE PRESTAZIONI
I carichi di lavoro AI generano e consumano enormi quantità di dati, dai dataset di addestramento alle uscite dei modelli. L’architettura di storage di un data center AI deve essere scalabile, performante e in grado di gestire diverse tipologie di dati. Per rispondere a queste esigenze, vengono adottati sistemi di storage parallelo come i file system distribuiti o l’object storage, capaci di offrire accesso simultaneo e ad alta velocità a un numero elevato di nodi di calcolo, garantendo anche scalabilità orizzontale. Per i dati ad accesso frequente e a bassa latenza, come quelli caricati nelle GPU durante l’addestramento, si ricorre a soluzioni all-flash basate su NVMe. A supporto dell’efficienza economica, molte architetture implementano un tiering dello storage, che consente di archiviare i dati meno usati su supporti a costo inferiore, mantenendo al contempo prestazioni adeguate. Infine, il data lake rappresenta l’infrastruttura centrale per aggregare, esplorare e analizzare dati grezzi e trasformati, fungendo da base per pipeline AI integrate.
SOFTWARE AI-READY
Nel moderno data center AI, la potenza dell’hardware deve essere accompagnata da un’infrastruttura software altrettanto avanzata, capace di orchestrare carichi di lavoro complessi, gestire risorse eterogenee e garantire agilità operativa. Piattaforme come Kubernetes permettono di distribuire in modo flessibile applicazioni containerizzate di deep learning, assegnando in modo efficiente CPU, GPU e memoria ai diversi job. Scheduler ottimizzati assicurano che le GPU vengano allocate con precisione, migliorando i tempi di esecuzione. Il supporto nativo per framework come TensorFlow e PyTorch, insieme a librerie specializzate per l’accelerazione hardware, consente al software di sfruttare appieno le capacità computazionali del sistema. A completare l’ecosistema, le piattaforme MLOps introducono automazione e tracciabilità nell’intero ciclo di vita dei modelli, integrando sviluppo, distribuzione e monitoraggio continuo in un’unica pipeline operativa.
CONTINUITÀ E PROTEZIONE
L’elevata densità di calcolo dei moderni data center AI, trainata dall’impiego intensivo di GPU e acceleratori, impone infrastrutture di raffreddamento e alimentazione avanzate per garantire efficienza e continuità operativa. Tecnologie come il raffreddamento a liquido, in configurazione direct-to-chip o a immersione, stanno sostituendo l’aria forzata tradizionale, consentendo di mantenere l’hardware alla massima efficienza termica e ridurre il consumo energetico. A supporto di questa intensità computazionale, servono sistemi di alimentazione ridondanti e scalabili, dotati di UPS e generatori di backup per assicurare la resilienza operativa. In parallelo, la sicurezza rappresenta un pilastro imprescindibile: dal controllo fisico degli accessi e la sorveglianza dei locali, fino alla protezione digitale con firewall, crittografia e segmentazione di rete, ogni livello dell’infrastruttura viene messo in sicurezza. A tutto questo, si aggiungono meccanismi rigorosi di protezione dei dati, come la crittografia end-to-end e l’accesso basato sui ruoli, oltre a pratiche di sviluppo sicuro per le piattaforme software e i modelli AI, garantendo applicazioni non solo performanti, ma anche affidabili e protette.
FLESSIBILITÀ E AUTOMAZIONE
L’evoluzione rapida dell’intelligenza artificiale richiede data center altamente flessibili e scalabili per far fronte alle nuove tecnologie, algoritmi e crescenti esigenze di calcolo e storage. Per rispondere a queste sfide, le architetture dei data center si orientano verso moduli scalabili, permettendo un’espansione incrementale in base alle necessità, e verso un’integrazione ibrida o multi-cloud che offre capacità on-demand, essenziale per gestire i picchi di carico e accedere a servizi cloud specializzati per l’AI.
L’utilizzo di strumenti come l’Infrastructure as Code (IaC) consente di automatizzare il provisioning e la gestione dell’infrastruttura, semplificando il processo e migliorando la coerenza. Un data center dedicato all’AI è progettato per ottimizzare l’elaborazione parallela, il trasferimento rapido dei dati e la gestione del ciclo di vita dei modelli, con un’attenzione particolare all’integrazione di hardware specializzato, reti ad alta velocità e storage scalabile. La flessibilità, la scalabilità e la sicurezza diventano dunque elementi imprescindibili nella progettazione e gestione di queste infrastrutture, che devono essere anche capaci di integrarsi con tecnologie esterne in un ambiente collaborativo, dove il data center non è più visto come una risorsa isolata, ma come il cuore di un’architettura ibrida che include anche “hardware as a service”. La gestione automatizzata delle risorse computazionali e l’allocazione dinamica dei carichi sono fondamentali, con le piattaforme MLOps e l’automazione tramite IaC che giocano un ruolo cruciale nel garantire efficienza nella gestione della complessità del ciclo di vita dei modelli AI e delle infrastrutture sottostanti.
ML OPERATIONS IN AZIONE
Le piattaforme MLOps stanno diventando l’asse portante delle strategie di intelligenza artificiale aziendale, perché permettono di automatizzare e standardizzare l’intero ciclo di vita del machine learning: dalla preparazione dei dati all’addestramento, fino alla messa in produzione, al monitoraggio e alla governance dei modelli. In un contesto in cui affidabilità, efficienza e scalabilità sono essenziali, queste soluzioni rappresentano il ponte tra il lavoro dei team di data science e la robustezza richiesta dagli ambienti produttivi. I grandi provider cloud – AWS con SageMaker, Google con Vertex AI e Microsoft con Azure Machine Learning – offrono piattaforme integrate, ma cresce anche l’offerta di soluzioni indipendenti e open source, pensate per essere agnostiche rispetto all’ambiente cloud e capaci di adattarsi a data center ibridi o virtualizzati. Strumenti come Weights & Biases, MLflow (nella versione gestita da Databricks o nella sua forma open source), Comet ML e Seldon Core si specializzano in aspetti chiave come il tracciamento degli esperimenti, il controllo delle versioni, la gestione degli artefatti o il deployment su Kubernetes. La loro forza è nell’interoperabilità con stack consolidati come Git, Docker, Kubernetes e pipeline CI/CD, fondamentali per garantire coerenza e riproducibilità. Accanto a questi si affermano progetti open source modulari e potenti come Kubeflow, Metaflow, Kedro, Feast e Ray, che coprono funzioni avanzate come l’orchestrazione di workflow, la gestione delle feature, l’hyperparameter tuning o il training distribuito. L’adozione di queste tecnologie segna un passaggio fondamentale: dall’AI sperimentale a un’infrastruttura realmente produttiva, governata da strumenti che uniscono automazione, trasparenza e controllo.
INFRASTRUCTURE AS CODE
L’automazione e l’Infrastructure as Code (IaC) sono fondamentali per gestire la complessità dell’infrastruttura sottostante a un data center AI, inclusa il provisioning delle risorse di calcolo, la configurazione della rete, la gestione dello storage e il deployment delle piattaforme MLOps. Anche in questo caso, riportiamo le offerte dei tre principali provider di cloud pubblico a titolo esemplificativo: AWS CloudFormation, Azure Resource Manager e Google Cloud Deployment Manager sono tutti servizi che consentono di definire e gestire l’infrastruttura tramite codice, attraverso template YAML o JSON, garantendo coerenza, riproducibilità e automazione nel provisioning delle risorse necessarie per l’AI. Tra le altre soluzioni commerciali reperibili nella fascia degli strumenti di automazione della configurazione ricordiamo Ansible, Chef e Puppet sono strumenti ampiamente utilizzati per automatizzare la configurazione e la gestione dei server e delle applicazioni, inclusi gli ambienti necessari per l’esecuzione di carichi di lavoro AI e delle piattaforme MLOps.
Un altro approccio è legato ai container e alla loro orchestrazione, a partire dallo standard di riferimento nel campo: Kubernetes. La containerizzazione semplifica il deployment, lo scaling e la gestione delle applicazioni AI containerizzate, incluse le componenti delle piattaforme MLOps o i server di inferenza. E naturalmente tutti i fornitori di cloud offrono versioni gestite di Kubernetes. Accanto a questa offerta ci sono le soluzioni che riguardano l’automazione del networking (SDN – Software-Defined Networking) che consentono di definire e gestire la topologia di rete, le policy di sicurezza e il routing tramite software, facilitando la creazione di reti ad alte prestazioni e a bassa latenza necessarie per i carichi di lavoro AI distribuiti. Chi volesse affrontare l’automazione dell’infrastruttura in un contesto on prem o ibrido, può considerare – oltre che ai già citati Puppet, Chef, Kubernetes e Ansible, ampiamente utilizzato per automatizzare la configurazione degli ambienti AI e delle piattaforme MLOps – una piattaforma come Terraform (HashiCorp), strumento IaC open source e multi-cloud che consente di definire l’infrastruttura in un linguaggio dichiarativo (HashiCorp Configuration Language) e di gestirla su diversi provider cloud e infrastrutture on-premise. Chi utilizza il modello operativo GitOps in ambiente Kubernetes può contare su strumenti di continous delivery come Argo CD e Flux.
Sulla base di questi strumenti di automazione, si possono ipotizzare gli scenari più svariati. Un’azienda, per esempio, può utilizzare Terraform per definire l’intera infrastruttura del suo data center AI su AWS, inclusi le istanze EC2 con GPU, i cluster EKS per l’orchestrazione dei container delle piattaforme MLOps, lo storage S3 per i dati e le configurazioni di rete virtual private cloud. Ogni successiva modifica all’infrastruttura verrà gestita intervenendo sul codice Terraform che provvederà ad applicarle in modo automatizzato. Ansible viene utilizzato per configurare il software necessario sulle istanze EC2 e all’interno dei container Kubernetes. In un contesto on prem, un team di ricerca in AI può servirsi di Ansible per automatizzare la configurazione di server bare-metal nel proprio data center privato per l’addestramento distribuito di modelli deep learning. Kubernetes può essere utilizzato per orchestrare i container Dockerizzati che eseguono i job di addestramento e il serving dei modelli. Argo CD può automatizzare il deployment delle nuove versioni dei modelli e delle piattaforme MLOps sui cluster Kubernetes in base alle modifiche che vengono man mano apportate ai repository Git dove risiedono le applicazioni. In tutti i casi, la sfida resta la stessa: far dialogare automazione e AI in un’infrastruttura sempre più agile, scalabile e controllata.