Malattie cardiache, salvi grazie a cellule cresciute su un chip

E’ l’ultima frontiera della medicina nell’ambito della ricerca sulle malattie cardiache l’esperimento condotto da un gruppo di esperti di cellule staminali e ingegneria biomedica: in laboratorio è stato ricreato il tessuto cardiaco di un paziente, per utilizzarlo nello studio specifico della sua malattia, facendo crescere le cellule cardiache del malato al di fuori del suo corpo

Sembra che questo tipo di tecnologia possa in un futuro prossimo avere un’applicazione anche nella cura vera e propria. Il progetto è stato condotto dall’Università di Harvad al Children’s Hospital e pubblicato sulla rivista Nature medicine.

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Tra le altre soluzioni tecnologiche sviluppate per la cura delle patologie cariache ci sono anche cuori completamente artificiali senza rischio di rigettoproteine che favoriscono la rigenerazione cellulare e, da una recentissima ricerca, un idrogel che possiede le stesse caratteristiche del muscolo cardiaco e potrà essere utilizzato per riparare i danni al cuore.

Una copia identica di tessuto malato 

Lo studio è partito dall’analisi della rarissima sindrome genetica di Barth, malattia che colpisce i bambini maschi e di cui non esiste ancora una terapia risolutiva. La patologia è causata da un gene che produce una proteina battezzata ironicamente Tafazzina, dai ricercatori che l’hanno isolata per la prima volta in Italia nel 1996: il richiamo è a Tafazzi e al suo autolesionismo, a sottolineare gli anni di sforzi impiegati per arrivare alla scoperta.

La funzione della proteina è fondamentale per le cellule delle ossa e dei muscoli, in particolare quelle cardiache, ecco perché i bambini colpiti da sindrome di Barth presentano un grave difetto cardiaco. 

Gli studiosi hanno prelevato campioni di cellule di pelle da due bambini malati e grazie a tecniche di riprogrammazione cellulare le hanno trasformate in staminali.

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Alcune erano portatrici del gene per la Tafazzina. Invece che farle crescere su una piastra di laboratorio, i ricercatori le hanno coltivate su un chip ricoperto di proteine umane, simulando l’ambiente naturale del cuore e producendo un vero e proprio lembo di tessuto cardiaco funzionante. Certo, il funzionamento in questo caso presentava le stesse limitazioni di quello tipico della sindrome di Barth, limitato quindi nella capacità di contrazione dei tessuti. Dimostrazione questa di successo nel generare una copia identica del tessuto malato.

Medicina personalizzata

Per confermare il ruolo della Tafazzina nel funzionamento cardiaco, introducendola nei tessuti malati i ricercatori hanno osservato la guarigione del difetto di contrazione. Questo ha consentito di studiare nel dettaglio i difetti causati dalla sua mancanza e individuare le ragioni precise che hanno fatto ammalare le cellule. Il valore innovativo di questa ricerca per la cura delle malattie cardiache passa quindi soprattutto attraverso la possibilità di personalizzare le cure. Infatti la possibilità di ricreare un intera parte di tessuto aumenta significativamente le possibilità di studio rispetto all’analisi di singole cellule.

E’ questo l’assunto alla base della tecnologia chiamata organ  –  on  –  a  –  chip: si parte da una cellula staminale del singolo paziente per arrivare ad un modello esatto di quello che accade nei suoi tessuti malati.