La “scienza di Facebook”

Roberto Vacca - Chief inspiration OfficerFacebook è la più grande base dati mai esistita dei comportamenti umani.
«Ma non si fa scienza contando le foglie degli alberi»

 

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Nel 1638 Galileo pubblicò “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze” e fondò meccanica e scienza dei materiali. Da Newton in poi, è sorta la scienza moderna con tutte le sue rivoluzioni. In ogni campo ci sono state controversie, ma sono stati rari i casi di scienziati, come Lysenko, ostinati nell’errore con effetti disastrosi. Recentemente alcuni studiosi di valore, dopo aver prodotto risultati ottimi, hanno deviato verso posizioni poco plausibili. Altre sedicenti nuove scienze, invece, sono già viziate dagli inizi.

Nel mio libro “Anche tu fisico” racconto la storia di Stephen Wolfram che ha fatto molto per la matematica. Ha creato e affinato il software Mathematica, basato su un suo linguaggio di programmazione, con cui si risolvono problemi matematici: dalla teoria al calcolo numerico e grafico in modo automatico ed efficiente. Oltre a questo, Wolfram da anni annuncia un nuovo tipo di scienza e offre gratis il suo NKS, A New Kind of Science su www.wolframscience.com. È una proposta alternativa all’uso della matematica per modellare i fenomeni fisici.

Anche il sociologo Cameron Marlow propone la nuova scienza di Facebook. Il suo Facebook Data Team mira a studiare modi, forme e ragioni delle interazioni sociali umane. Credono di poterlo fare perché “Facebook è la più grande base dati mai esistita dei comportamenti umani”. Secondo i dati diffusi dal più popolare dei social network, il numero di utenti attivi nel mondo è 1.11 miliardi, in crescita, mentre secondo Nielsen, nell’ultimo anno Facebook avrebbe perso 10 milioni di utenti solo negli Usa.

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Il Facebook Data Team sostiene che, in modo simile a quello in cui i grandi telescopi hanno trasformato la nostra visione del cosmo, analizzando il mondo di Facebook miglioreranno la comprensione dei comportamenti umani. Capiranno dinamiche umane, influenze e solidità dei legami personali, diffusione delle informazioni. Sono tesi illusorie. Serve poco sapere quanti utenti siano “amici” di quanti altri («sai che amicizie!») e se si conoscano anche di persona. I messaggi trasmessi possono essere falsi o insignificanti. Se non analizziamo i contenuti (compito ciclopico e in gran parte impossibile, almeno con le attuali tecnologie), impariamo poco sugli umani e sul loro funzionamento. Questa scienza di Facebook svelerà notizie in gran parte irrilevanti.

Da oltre un decennio, poi, la struttura delle reti costituite da esseri umani o da loro costruite è stata analizzata da studiosi conseguendo successi interessanti. Albert-Laszlo Barabasi (La scienza delle reti, Einaudi, 2004) ha analizzato le reti di conoscenze personali, trasporti, telefoni e Internet. Lo sviluppo di Internet mostra che le applicazioni della teoria dei grafi alle reti erano sbagliate. Supponevano che le reti crescano a caso e con struttura uniforme. Quindi, la maggior parte dei nodi dovrebbe avere in media lo stesso numero di connessioni. Questo è vero per le reti stradali: dalle città (grandi e piccole) partono numeri di strade poco diversi. Invece dal più grande e trafficato aeroporto di un Paese parte un numero enorme di linee aeree: dal secondo aeroporto ne partono molte di meno e ancora meno dal terzo. Per gli scali via via minori, il numero decresce sempre più lentamente. La stessa legge vale per i redditi in un Paese: il cittadino più ricco distanzia di molto il secondo e il terzo, poi i redditi si livellano. Il 20% delle persone ha l’80% della ricchezza – ma in alcuni paesi la sperequazione è molto più alta. Anche su Internet dal 20% dei siti parte l’80% dei link. La distribuzione dei link fra i nodi non determina un valore normale che serva a definire una scala. Tale struttura si crea perché la rete cresce di continuo e ogni nuovo nodo si connette ad altri con probabilità proporzionale al numero di link già connessi a ogni nodo preesistente. Le nuove connessioni preferiscono i nodi più attivi, ma anche quelli di migliore qualità, per i contenuti e l’utilità che offrono. Una analisi delle reti umane sarà fruttuosa se non si limita a conteggi bruti. Come diceva Rita Levi Montalcini: «Non si fa scienza contando le foglie degli alberi». La trasmissione di milioni di messaggi banali e volatili aggiunge poco alla nostra conoscenza. Sarebbe utile sapere chi e quanto impara da una rete. Vanno fissati obiettivi di ricerca sensati. Vanno inventate nuove metrologie.

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