Banca 2017, l’innovazione è aperta

In previsione del nuovo scenario competitivo delineato dalla seconda direttiva europea sui pagamenti, le banche italiane si confrontano sulla trasformazione dei loro processi e della relazione con il cliente. Le tecnologie non sono meno importanti delle persone e degli aspetti organizzativi

Pochi settori della nostra economia hanno sperimentato – per merito dell’innovazione tecnologica – un cambiamento di mentalità di portata simile a quella vissuta dai grandi gruppi bancari nazionali e regionali e dalla complessa filiera di istituti di credito e risparmio di tipo territoriale. Per riprendere qui le parole di Massimo Messina, head of Group ICT di UniCredit, uno degli ospiti della tavola rotonda dedicata all’innovazione in banca, a cambiare radicalmente oggi sono «la motivazione e il passo di una trasformazione da sempre considerata fisiologica». Fin dall’avvento del mainframe, il backoffice della banca ha vissuto prima di tanti altri ambiti il profondo mutamento indotto da una automazione finalmente possibile. Ma per vincoli regolamentari e cultura aziendale, l’industria bancaria è rimasta fedele a un’immagine istituzionale, prudente, anche nel modo di cambiare.

TI PIACE QUESTO ARTICOLO?

Iscriviti alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato.

Massimo Messina head of Group ICT di UniCredit – Fabio Rizzotto senior consulting & research director di IDC Italia – Angela Gemma chief digital officer di Deutsche Bank – Massimo Gianola responsabile sviluppo applicazioni area canali di Banca Popolare di Sondrio

I ritmi e le modalità dell’innovazione hanno subito una forte accelerazione quando la banca, ed è questione molto più recente, ha dovuto fare i conti con un contesto competitivo condizionato da Internet e dai suoi effetti disintermediatori. Alle soglie di una rivoluzione chiamata Payment Services Directive 2, le banche europee devono accettare una nuova sfida competitiva che non consiste “semplicemente” nello sfruttare la leva tecnologica per soddisfare i propri clienti attraverso una molteplicità di canali, conquistarne nuovi, assicurarsi nuove marginalità, stringere alleanze aprendosi verso l’esterno nel pieno rispetto dei tradizionali vincoli di sicurezza e compliance. Si tratta soprattutto – come confermano gli esponenti di varie istituzioni finanziarie riunite alla tavola rotonda organizzata da Data Manager in collaborazione con UniCredit – di selezionare, implementare, governare le tecnologie in modo diverso, spesso immaginando ruoli nuovi, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali, promuovendo nuove regole di ingaggio.

L’arrivo dei disruptor

Spetta come sempre a IDC, oggi rappresentata da Fabio Rizzotto, senior consulting & research director per l’Italia, di tracciare una visione di insieme propedeutica alla discussione. «Un primo elemento che condiziona il quadro attuale – afferma Rizzotto – è il cambiamento dei ritmi e modelli economici tra le grandi regioni, un cambiamento epocale per un sistema con cui le banche sono strettamente connesse». Per le banche, il mercato è condizionato da una nuova generazione di “disruptor”, i grandi player extra-settore, le piccole società ad alto contenuto tecnologico, «che essendo anche meno esposti a percorsi di regulation, offrono ormai gli stessi servizi su cui tradizionalmente le banche si sono mosse, e mettono in discussione la loro rilevanza». Altri fattori condizionanti sono, secondo Rizzotto, la continua esposizione al cybercrime in costante evoluzione, o il tema generale delle architetture tecnologiche, dei linguaggi che le banche mettono in campo per sostenere l’innovazione. Tematiche che alimentano la trasformazione, sullo sfondo di fenomeni tecnologici che stanno avendo un impatto forse più sociale oltre che economico: nuovi dispositivi, una economia sempre più digitale e interconnessa, la massiccia dose di automazione “intelligente” che sta assumendo un ruolo crescente nei processi e nelle decisioni aziendali.

Ma che cosa stanno facendo le banche in termini di innovazione? «Molte le attività sul tema frontend e della customer experience – spiega Rizzotto – e anche su quelli dell’organizzazione, dei processi, con cambiamenti magari non significativi, che però fanno efficienza. Internamente, si moltiplicano i progetti relativi al lavoro e al capitale umano. All’esterno, tutte le realtà, grandi e piccole, si impegnano nell’attuare i nuovi approcci della multicanalità in un settore che da tempo non vede più nello sportello una interfaccia esclusiva con il cliente. Prevedendo che al tavolo sarebbe stato discusso il diverso modo di approcciare l’asset informativo costituito dall’enorme patrimonio di dati che le banche sono in grado di tesaurizzare, Rizzotto ha distillato diverse indicazioni sulla base di alcuni incontri organizzati nell’ambito della business intelligence finanziaria. «In un’ottica più innovativa, ci sembra che il tema del frontend, legato allo sviluppo di un supporto maggiormente data driven per la creazione di campagne, o per comprendere meglio il cliente, oggi sia percepito come più importante. Questo senza far mancare il valore di approcci più tradizionali ai temi della segmentazione, della compliance o della fraud detection and prevention». Infine, un interrogativo di contesto rivolto a operatori chiamati ad abbracciare un ecosistema di servizi sempre più globale e ibrido. «Un aspetto che ci sembra interessante rispetto al fenomeno fintech è che a differenza di 12 mesi fa, ci sembra che il mondo dei servizi tradizionali stia cominciando a guardare alle tecnologie avanzate offerte da player non tradizionali, non più con il rispetto dovuto a un fenomeno percepito come minaccioso e ostile, bensì in una ottica più sinergica, a volte con vere e proprie politiche di acquisizione».

Pensare in modo diverso

«Il Gruppo UniCredit – afferma Massimo Messina – all’apertura della tavola rotonda, ha innovato per tutto il suo ciclo di crescita». Ma le motivazioni non sono rimaste le stesse. «Per anni le banche hanno subito la pressione degli accordi di fusione, la tecnologia era finalizzata a creare nuovi assetti». Come tutti gli operatori economici, in seguito al continuo mutare del quadro complessivo, le banche hanno dato la caccia a nuovi fattori di soddisfazione del cliente, a una nuova customer experience, e l’innovazione ha perso il suo forte connotato “solo informatico” ponendo le basi – secondo Messina – all’individuazione di nuove figure e nuove responsabilità. «Da qualche anno in UniCredit siede un responsabile dell’innovazione più organica, meno disruptive. Accanto a tale figura un’organizzazione R&D che ha invece il compito di creare situazioni più inattese, che genera molta sperimentazione, ma soprattutto fa sì che i prodotti si testino e si sviluppino». Il grande gruppo bancario ha saputo metabolizzare una struttura nata per pensare in modo diverso, prendendo tecnologie che potevano sembrare marginali rispetto al business e creando innovazione in ambiti come i pagamenti e l’interazione uomo macchina. «In questa area, più innovativa, abbiamo inserito anche la gestione di un fondo di investimento piuttosto consistente, che conferma le osservazioni di Idc a proposito di un mondo, quello delle startup fintech, che non è più considerato come un pericoloso aggressore. Ne abbiamo ricavato una buona capacità di vision, la possibilità di vedere dove si focalizza il nuovo, di avere contatti molto pragmatici» – afferma Messina. Tra i temi più impattanti sulle strategie di cambiamento di UniCredit, Messina inserisce quelli dei Big Data e dell’analisi in chiave Crm di informazioni che in passato non venivano considerate un asset. «Progetti che ci hanno resi più data oriented nella parte manageriale e gestionale, creando impulsi molto positivi» – precisa Messina, soffermandosi anche sul ruolo che in tanti ambiti hanno assunto gli applicativi e gli strumenti open source. Una innovazione estesa e pervasiva, sicuramente focalizzata al cambiamento dei processi, all’acquisizione di logiche industriali, da “product factory” nello sviluppo di servizi con approcci modulari; e che ha alla base, non più come fattore abilitante esclusivo, una infrastruttura sempre più “responsive” ed elastica, che libera la banca dal peso dei costi fissi e permette di introdurre criteri più “industriali” nel modo di pianificare spesa e marginalità.

Leggi anche:  Lavoro flessibile, il connubio vincente tra ibrido e smart
Saverio Ferraro IT director del Gruppo bancario ICCREA – Gabriele Obino country manager di Pegasystems Italy – Luca Vanetti responsabile Digital & Omnichannel Banking di Banco BPM – Alberto Scaduto responsabile Incassi di Banco Posta

Laboratori digitali

Anche nell’esperienza vissuta dal Gruppo Deutsche Bank, racconta Angela Gemma, chief digital officer, il nuovo ruolo di responsabile della digitalizzazione nasce dal bisogno di affiancare il classico meccanismo di un team di sviluppo business che cerca di trasferire nel modo migliore le proprie esigenze verso un comparto IT. «In Deutsche Bank, questa era una struttura specifica che esiste tuttora e svolge egregiamente il suo mestiere» – spiega Gemma. Ma con l’evoluzione delle modalità di sviluppo agile, «Deutsche Bank si è resa conto che questo modo di procedere non veniva incontro ai bisogni dell’IT e del suo ecosistema collaborativo. Intorno ai cosiddetti canali diretti, centralizzati in Germania, viene quindi creato un team interdisciplinare, dove colleghi dell’IT e del business lavorano insieme, fianco a fianco, anche con i contributi di partner esterni. Nel secondo semestre 2016, Deutsche Bank ha aperto ufficialmente la sua digital factory dove operano 400 persone con l’obiettivo di un successivo raddoppio e dove il lavoro si svolge cercando di incorporare fin dall’inizio nei vari progetti elementi di sicurezza e compliance. Non manca l’interesse nei confronti del settore fintech, anche se per il momento a differenza di UniCredit, Deutsche Bank non è entrata nel venture capital, ma ha preso attivamente parte in acceleratori di impresa e altre iniziative. Abbiamo quattro digital lab, dove incontriamo periodicamente fintech preselezionate dai colleghi in funzione delle tematiche più interessanti. Inoltre, abbiamo dei center of excellence totalmente virtuali, in cui operano persone che hanno una competenza specifica, seguendo schemi di incontro online per scambiarsi competenze e informazioni».

La multicanalità e la necessità di adattamento più rapido alle diverse esperienze di fruizione dei prodotti sviluppati dalla banca emergono dalla discussione come due potenti driver di cambiamento, anche in realtà molto territoriali come Banca Popolare di Sondrio – tremila dipendenti in 330 filiali, un team informatico di circa 200 persone – qui rappresentata da Massimo Gianola, responsabile dello sviluppo delle applicazioni per l’area canali. «Un gruppo di piccole dimensioni, con forte vocazione locale, che intende continuare a crescere, rimanendo indipendente e aprendo nuove filiali» – afferma Gianola. «Popolare Sondrio sarà pure un istituto di piccole dimensioni, tradizionalista anche lato utenza, ma è molto solido e il suo Cio, Milo Gusmeroli, non si tira indietro quando si tratta di innovazione». Dopo la sua nomina – racconta Gianola – la banca ha intrapreso un percorso di modernizzazione del backend, orientandolo a una logica di servizio 24×7, ripensando l’intera piattaforma. «In seguito, ci siamo dedicati al multicanale, inteso come Enterprise service bus, un’area trasversale di servizi. Su questi abbiamo costruito le applicazioni di business che poi abbiamo utilizzato sui vari canali. Da un paio d’anni, personalmente sono molto impegnato sui canali diretti, stiamo rifacendo il nostro internet banking per una customer experience nuova. Abbiamo capito che è sbagliato aver la presunzione, da tecnici, di poter disegnare le applicazioni, i processi, completamente da soli». L’Internet banking della banca, inoltre era molto datato e la clientela più evoluta e più giovane, esprimeva un chiaro desiderio di novità.

Clienti padri, clienti figli

L’esperienza della Banca Popolare di Sondrio parla di una innovazione che avviene in un settore troppo dinamico per poter seguire percorsi standardizzati. Lo scenario descritto da Gianola riappare con alcuni tratti in comune e molti altri differenzianti, anche nel racconto di Saverio Ferraro, che dopo una lunga esperienza maturata sulle infrastrutture di un operatore globale di TLC, è stato nominato responsabile IT del Gruppo bancario ICCREA, l’Istituto centrale delle Casse Rurali e Artigiane, una realtà capillarmente diffusa sul territorio. La lezione che Ferraro dice di aver imparato dal settore delle telecomunicazioni, quando questo si stava aprendo a novità come gli operatori virtuali e i service provider Over the Top, è che l’unico modo per cogliere certe opportunità consiste «nel saper preservare l’asset relazionale con i propri clienti». Guardando alle prospettive IT dell’ecosistema rappresentato dalle casse rurali (350 banche per un totale di cinquemila sportelli e 37mila dipendenti), la mission dei prossimi due anni verte sulla migrazione delle architetture, la convergenza dei processi e una sostanziale fusione dal punto di vista organizzativo. L’ecosistema IT coordinato da Ferraro deve affrontare una doppia tematica di dualità. Da un lato l’ormai classica dicotomia tra tecnologie legacy e informatica a supporto dell’innovazione, dall’altro un’analoga segmentazione applicata alla clientela. L’insieme dei clienti “di base”, richiede ancora molta fisicità nella relazione e una strategia di formazione di una cultura dei nuovi servizi, che verrà implementata anche con l’aiuto di casse autoassistite evolute, una tecnologia che – guarda caso – nessun’altro ha evocato al tavolo. Iccrea vuole rivolgersi a una clientela più giovane, tipicamente di seconda generazione, che rischierebbe di andare dispersa se l’Istituto non adottasse un percorso di innovazione del prodotto. «La strategia che stiamo calibrando è di fatto “monocanale”, perché crediamo fermamente che gli smartphone domani, o forse i wearable, saranno le uniche interfacce con cui le nuove generazioni vorranno interagire con noi».

Il tema della customer experience non potrebbe essere più centrale quando si parla di trasformazione della banca e la proposta di PegaSystems va oltre il classico Crm. «La società oggi inserita al top delle classifiche di rating di tutti i maggiori analisti, nasce più di trent’anni fa proprio in ambito bancario» – interviene il country manager di Pegasystems in Italia, Gabriele Obino. Alla base, c’è l’idea di una piattaforma unificata in grado di permettere un lavoro cooperativo tra business e IT». Secondo Obino, i cicli evolutivi dello sviluppo del business e dell’Ict mostrano storicamente tanti punti di discontinuità, e gli strumenti di analisi, gestione e decisione integrati nella piattaforma Pega continuano a essere un argomento vincente per una soluzione adottata in tutti i settori. «Se riesco a colmare il gap tra backend e front office e faccio andar bene tutte e due, posso realizzare le strategie di relazione end-to-end che tutti auspicano». Anche grazie a una robusta dose di intelligenza artificiale, la piattaforma Pega rappresenta un “customer decision hub” ideale, che “ragiona” per soddisfare le esigenze del cliente salvaguardando, per la banca, marginalità e profili di rischio.

Leggi anche:  Data governance e self-service. Il futuro dell’accesso ai dati in azienda

Agili nella progettualità

Gli obiettivi di integrazione che abbiamo visto in uno specifico prodotto richiamano concettualmente il compito che attende Luca Vanetti, responsabile Digital & Omnichannel Banking in Banco BPM, il gruppo che dal primo gennaio di quest’anno sancisce la fusione tra Banca Popolare di Milano e il veronese Banco Popolare. «Più che vederci come due entità da integrare, preferisco pensare a Banco BPM come un foglio bianco tutto da elaborare» – esordisce Vanetti. Un gruppo che conta quattro milioni di clienti non può certo fingere di essere una startup e questo pone la necessità, sottolinea Vanetti, di fissare obiettivi organizzativi più innovativi rispetto al passato, ma non necessariamente “disruptive”. «Un approccio più conservativo, che consiste nel rimanere focalizzati in un’area essenzialmente business, mettendo insieme tutto quanto riguarda i servizi non chiaramente tradizionali, quelli della vendita in filiale con metodologie classiche». Nel gruppo guidato da Vanetti, ricadono elementi come l’Internet Banking di WeBank, il concetto di digital and omnichannel sales, il tema del contact center, delle reti terze, dei canali acquisiti dall’esterno, il CRM avanzato, gli advanced analytics. La differenza rispetto alle modalità organizzative multidisciplinari, citate da altri colleghi, risiede proprio nella natura organizzativa ancora molto legata all’area business, per quanto già “fertilizzata” con alcune competenze di provenienza IT. «Piuttosto, cerchiamo di ottenere un effetto “agile”, di superare i vecchi silos, applicando logiche di approccio progettuale, ben coordinato, dove tutte le figure coinvolte lavorano come in una unica struttura digital».

Di grande interesse, a proposito di ripensamento in chiave digitale della logica di un servizio, è l’intervento di Alberto Scaduto, responsabile Incassi di BancoPosta. Se l’obiettivo è diventare una banca “liquida” in senso digitale, la meta per BancoPosta è ancora lontana, ma il percorso – afferma Scaduto – è già ben delineato e vede già risultati molto concreti, a partire dalla nuova veste che il sito web di Poste Italiane ha acquisito di recente. «È un percorso sul quale ci siamo dati delle scadenze e dei modelli organizzativi diversi, mettendo il processo di digitalizzazione sotto il governo del marketing strategico, fortemente appaiato con il mondo dell’IT» – spiega Scaduto. «L’IT partecipa al processo di cambiamento ed è strettamente connessa al vertice di un immaginario triangolo costruito con le strutture di marketing di prodotto. E naturalmente c’è la presenza dei canali, perché anche noi dobbiamo ragionare in termini di omnicanalità». Il manager di Poste Italiane si sofferma sul lavoro svolto per concretizzare la messa online di un servizio che rappresenta il core della tradizione di BancoPosta, il bollettino di versamento. «Abbiamo cercato di capire come si muoveva l’utente e devo dire che la decisione è stata immediata. Abbiamo smontato lo strumento di pagamento, abbiamo messo una immagine che potesse richiamare i contenuti del bollettino, ma non abbiamo replicato il bollettino cartaceo. Una volta smontato il contenitore, abbiamo ricostruito la funzionalità sottoforma di identità all’interno della pagina da esporre al cliente». Per Scaduto, l’ambiente competitivo che si apre con l’introduzione della direttiva Psd2 deve indurre tutti gli attuali player del settore a profonde riflessioni in chiave di futura rilevanza delle diverse prerogative.

Liliana Fratini Passi direttore generale di Consorzio CBI – Daniele Melato direttore generale di Corvallis – Matteo Baido responsabile Business Service Canali e Pagamenti di UBI Sistemi e Servizi – Claudio Telmon membro del direttivo e del comitato tecnico scientifico di CLUSIT

Condividere per competere meglio

Se le nuove direttive europee aprono la strada a una diversa cultura della partnership, le banche italiane possono sempre contare su una lunga storia di servizi di tipo consortile, basate su una efficace condivisione di risorse infrastrutturali e formati comuni. In veste di direttore generale del Consorzio CBI, Liliana Fratini Passi è intervenuta con un esaustivo panorama di servizi, dal corporate banking che 15 anni fa motivò la costituzione del Consorzio, agli ultimi orientati ai pagamenti verso la pubblica amministrazione. Per Fratini Passi, la libera concorrenza sul mercato dei pagamenti deve essere vista come grande opportunità. «In riferimento al dimensionamento del mercato target, dalle analisi condotte è emerso che, a fronte di circa 630 milioni di bollettini postali emessi e incassati ogni anno in Italia, solo il 3 per cento è intermediato dalle banche. C’è un potenziale enorme da mettere a frutto» – afferma la direttrice di CBI, sottolineando l’importanza di una strategia in grado di mettere a fattor comune determinati costi di base, spostando la competitività verso le componenti a valore aggiunto di un servizio. «I temi sono moltissimi. Stiamo mettendo a terra un progetto sui Big Data, in modo che anche Consorzio CBI possa sfruttare l’enorme patrimonio informativo e metterlo a disposizione di tutte le banche italiane, attraverso strumenti di natura analitica per individuare i nodi di riferimento commerciali, l’analisi del rischio, e sviluppare mappe della conoscenza geolocalizzate». L’unica ricetta possibile per un service provider che voglia trasferire capacità di innovare, è porsi in prima persona sul fronte avanzato del cambiamento.

Daniele Melato, direttore generale di Corvallis, si appassiona nel riferire la storia recente degli investimenti della sua azienda in progetti a prova di futuro. Una parte consistente di questi progetti è già entrata in fase commerciale, come la partecipazione in ModeFinance – startup specializzata nel rating, che sfrutta potenti algoritmi cognitivi per valutare la solidità e la reputation di banche e aziende – e lo sviluppo, a partire da una applicazione antiriciclaggio che Corvallis ha sviluppato nei suoi laboratori di Bari, di uno spider, un motore di riconoscimento semantico, in grado di ricostruire autonomamente le relazioni finanziare tra organizzazioni e individui. «Un altro fiore all’occhiello è Julia, uno strumento che analizza il software a livello di codice eseguibile e identifica i bachi di interpretazione, accelerando lo sviluppo e la quality assurance». Julia, messo a punto da una startup veronese che Corvallis ha acquisito, è un tool unico al mondo, che ha già ottenuto prestigiosi riconoscimenti. E in dirittura d’arrivo, annuncia Melato, ci sono anche soluzioni rivolte al mondo dei pagamenti, capaci di sfruttare direttamente l’ambiente dei social network per aprire e concludere le transazioni.

Leggi anche:  Public cloud, mai perdere il controllo

La casa della sicurezza non si costruisce dal tetto

Collocata da un punto di vista dimensionale, al quinto posto della classifica delle banche italiane per numero di sportelli, Ubi Banca è rappresentata da Matteo Baido, responsabile del business service focalizzato su Canali e Pagamenti di Ubi Sistemi e Servizi. Con lui la discussione si sposta decisamente sul piano dell’organizzazione. Baido pone l’accento sulla specificità del suo ruolo all’interno di una società di servizi, in una struttura che fa da interfaccia con la struttura di business della capogruppo. «Un punto di vista privilegiato, perché vediamo nascere i servizi dal progetto fino alla messa in produzione e gestiamo noi stessi le istruzioni operative e la normativa aziendale». Nel nuovo organigramma definito dal Cio di UBI Banca, Marco Cecchella, il presidio dell’innovazione, spiega ancora Baido, è affidato a una struttura dedicata, volutamente leggera, che agisce su tre assi. «Un primo punto – spiega Baido – è lo scouting, la raccolta di spunti di innovazione. Una seconda funzione mira a far sì che l’innovazione si traduca in implementazione profittevole delle idee, attraverso il coinvolgimento delle figure di business». E infine c’è l’aspetto della comunicazione interna, del tenere al corrente di ciò che succede il top management, come le investor relations. A proposito di sviluppo “agile”, Baido conclude il suo intervento parlando della digital factory, che da quattro anni funge da punto di confluenza tra competenze business, servizi e IT, con una particolare attenzione all’aspetto regolamentare. «Siamo consci dei limiti che le normative possono porre all’innovazione e per trasformare il vincolo in fattore competitivo cerchiamo di imbarcare sui diversi progetti ruoli come il legal, la sicurezza, l’antiriciclaggio e la compliance».

Anche sulla base di queste ultime osservazioni da parte di Ubi Banca, a Claudio Telmon, membro del direttivo e del comitato tecnico scientifico di Clusit spettano le considerazioni finali in materia di sicurezza: «Un obiettivo sfidante – avverte l’esperto – in un contesto di innovazione in cui la banca, fondata sulla trustability, si trova sempre più spesso a confrontarsi con startup tecnologiche e grandi competitor che hanno una propensione al rischio completamente diversa». Poiché fare cose nuove è di per sé rischioso, afferma Telmon, «è importante che i rischi relativi alla sicurezza facciano parte fin dall’inizio delle attività di innovazione, del disegno dei servizi». Il rischio insito nella trasformazione, ritiene Telmon, fa meno paura quando sappiamo che sono stati messi in campo tutti i controlli adeguati. Una seconda lezione che le banche possono apprendere dal confronto con l’esterno, dice Telmon, riguarda la capacità di implementare strategie antifrode, partendo dalla profilazione dei clienti. «Questa cultura deve crescere nelle banche, senza però delegare la sicurezza alla sola informatica, ma portandola all’interno dei progetti». Cosa che induce parecchie riflessioni anche sulla necessità di fornire a tutti i livelli dell’organizzazione una formazione di base in materia di sicurezza. Attenzione però, conclude l’esperto. «Se è diventata prassi comune acquisire prodotti da soggetti esterni con competenze specifiche verticali molto elevate, in molti casi, questi soggetti sanno pochissimo di sicurezza. Anche le attività di esternalizzazione che partono da esigenze di business, devono portarsi dietro valutazioni molto serie».