Europa e Stati Uniti, l’eterno scontro

Due pianeti differenti, due storie diverse ma in grado entrambe di arrivare al successo. L’Europa aumenta il passo, ma pesano ancora il contesto istituzionale, il diverso modo di operare e la mancanza di una cultura diffusa del rischio

Gli USA e l’Europa sono sempre stati due mondi separati, due poli distanti, anche se non sempre opposti. Negli ultimi anni, si deve rilevare come si sia gradualmente sviluppato un processo di investimenti nel capitale di rischio, tradizionalmente confinato alla Silicon Valley, al di fuori degli USA. Si è trattato certamente del risultato di un arduo e lungo percorso, tuttavia Europa e USA continuano a rimanere due identità distinte e autonome. In particolare, occorre anche precisare che il raffronto tra il venture capital statunitense e quello europeo non è una comparazione che si può fare in termini paritari, date le diversità sostanziali. Diversità che sussistono già a partire dalla concezione del mondo del venture capital. Infatti in Europa il termine “capitale di rischio” spesso viene utilizzato per indicare non solo gli investimenti delle fasi early stage e late stage, ma anche con riferimento alle operazioni di acquisizione.

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Qualora si voglia, invece, adottare una definizione più ristretta di equity, tesa a includere soltanto gli investimenti delle fasi successive a quelle di avviamento, è chiaro che negli ultimi anni l’interesse pubblico e privato nel capitale di rischio e il volume delle attività di VC in Europa sono aumentate. Tuttavia, la performance dei fondi europei di VC sembra non riuscire mai a eguagliare i livelli delle controparti americane. Per esempio, guardando le analisi di Venture Economics, a partire dagli anni Ottanta e fino al 2007, la media di rendimento annuale dei fondi di investimento europei si è aggirata intorno al 4%, percentuale molto bassa rispetto al 16% dei fondi statunitensi. Ma allora perché sono state versate quantità crescenti di liquidità nei fondi europei di VC, nonostante la loro scarsa performance? La risposta è semplice. Perché le imprese europee di VC hanno sempre cercato di emulare il successo delle loro controparti americane nel tentativo di creare nuova ricchezza e i governi europei vivono nell’ansia di replicare il successo americano dei VC.

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MERCATO, CULTURA E METODO

In tutti i casi, non si può sottovalutare il diverso contesto istituzionale in cui operano i venture capital europei e quelli statunitensi. Nonostante molti tentativi di duplicare il NASDAQ americano, l’Europa non è dotata di un mercato vivace in cui le giovani startup possano esordire con offerte pubbliche iniziali (IPO). Il percorso principale delle startup è infatti sempre un cammino che di solito termina con una vendita commerciale (fusione o acquisizione) o un’IPO. Pertanto, una delle ragioni per cui le imprese di VC in Europa non hanno raggiunto i livelli di performance delle controparti americane è sicuramente da individuare nell’assenza di un mercato che sia desideroso di scambiare le quote di nuove imprese. Un’influenza rilevante nell’ambito delle differenze USA-Europa è anche data dalle diverse doti personali che contraddistinguono i direttori dei più grandi fondi. Negli USA vige il dictat in base al quale “il successo genera il successo”. Molti venture capitalisti americani si sono gettati nel rischio e nonostante il successo già raggiunto hanno tentato di dare l’input ad altri grandi successi. Gli europei tendono invece ad avere poca familiarità con il rischio. Altre diversità persistono nel metodo operativo applicato dai venture capital.

Le imprese di VC in Europa, rispetto alle controparti americane, in media: 1) detengono i loro investimenti per un periodo di tempo più lungo (3,6 anni in Europa contro 2,9 anni in America); 2) ricorrono più spesso a obbligazioni convertibili (19 per cento contro 34 per cento); 3) investono più spesso nel proprio territorio (60 per cento contro il 46). Sulla base delle rilevazioni di PitchBook, nel corso degli anni 2007-2011, l’impresa europea ha cominciato ad accelerare il passo. Naturalmente, sempre con qualche metro più indietro rispetto agli USA, ma si consideri che nell’arco del 2011 ci sono stati ben 1.400 investimenti europei rispetto a poco meno di 4.000 negli Stati Uniti: un decisivo balzo in avanti. E la dimensione media era quasi di 5 milioni di dollari contro i 7 milioni per gli USA. I cinque anni successivi, dal 2012 al 2016, hanno mostrato tuttavia scenari dai profili completamente diversi. L’uscita media del capitale di rischio americano si è aggirata intorno ai 200 milioni di dollari contro i 70 milioni di dollari per l’Europa. L’impresa europea, nonostante il suo ingresso tutto in ascesa nel mercato del capitale di rischio, continua pertanto a rimanere un mercato con una rete più piccola e, conseguentemente, anche con una exit più piccola. È estremamente pericoloso per i VC europei di fase iniziale raccogliere fondi sempre più grandi, o per le startup conquistare subito grandi round di investimento di serie A o B. Per adesso, il mercato europeo di exit risulta essere molto poco sviluppato. E investire di più nelle società potrebbe soltanto danneggiare le aspettative di profitto.

NUOVE PROSPETTIVE POSSIBILI

Quanto sopra riflette semplicemente una realtà attuale che cambia lentamente e che ha bisogno di tempo per adottare strategie operative diverse. Per fare ritorni significativi, gli amministratori delegati e gli investitori dovrebbero investire meno in più imprese efficienti dal punto di vista del capitale, in modo da assicurare ritorni adeguati anche se con exit più piccole. L’exit buona in Europa si aggira intorno ai 100 milioni di dollari o più, mentre un’uscita buona negli Stati Uniti è di almeno 250 milioni di dollari. Un cambiamento è quindi imprescindibile ma cosa si potrebbe fare? Il segreto potrebbe essere quello di riempire il vuoto rappresentato dai round di serie C ovvero di ultima fase. L’estensione degli investimenti a turni successivi e più grandi potrebbe determinare il sorgere di prospettive allettanti per le società scalabili. Un’altra soluzione potrebbe essere quella di introdurre finanziamenti / cofinanziamenti governativi specifici per i cicli di serie C. E ciò si può fare attraverso l’emissione di strumenti di debito, poiché le imprese precedenti sono spesso redditizie e in grado di finanziare debiti a basso interesse.

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Infine, altra azione da non sottovalutare potrebbe essere quella di aumentare il numero di lavoratori altamente qualificati disponibili per le startup tecnologiche. L’Europa in questo campo ha vantaggi determinanti rispetto alla Silicon Valley. Per esempio, basti pensare alla forza lavoro più stabile, alla minore ostilità da parte degli immigrati e soprattutto alla lunga tradizione di scuole di ingegneria di alta qualità. Si potrebbero pertanto creare piccoli “hub scalabili” in tutta Europa in grado di seguire le startup anche oltre la fase iniziale di avvio all’investimento. Incubatori più piccoli ma più diffusi e soprattutto più qualificati. Senza azioni mirate e specifiche, il settore del capitale di rischio europeo avrà bisogno di 20-30 anni per evolversi e raggiungere i livelli USA. Con azioni orientate all’obiettivo, tali tempistiche potrebbero ridursi a 10 anni. E con questo orizzonte temporale, si potrebbero creare anche più startup unicorno, aggiungendo circa 50-100 miliardi di dollari di valore economico aggregato al settore tecnologico europeo.