Integrazione uomo-macchina ai confini della fantascienza: ne abbiamo parlato con Francesca Santoro, direttrice del gruppo di ricerca “Tissue Electronics” della sede partenopea dell’Istituto Italiano di Tecnologia

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Articolo a cura di Federico Cutrone

Il colonnello Steve Austin, gravemente ferito in missione, perde una gamba, un braccio e un occhio, ma grazie ad uno sperimentale programma segreto del governo USA le parti perse vengono sostituite con protesi d’avanguardia che donano al soldato capacità sovraumane: incredibile forza e velocità ed una vista ai raggi X.
È la trama di una famosa serie televisiva fantascientifica americana degli anni 70 “The six million dollar men”  in Italia conosciuta col nome “L’uomo Bionico”.

Per nostra fortuna, spesso accade che la fantascienza resti “fanta” per poco prima di trasformarsi in realtà e così oggi abbiamo i telefoni cellulari, le videochiamate, le porte scorrevoli, gli schermi al plasma, il touch screen, e tante altre invenzioni che ormai diamo per scontate e che sono state anticipate nei film e nelle serie fantascientifiche.
Pensiamo ad un pilota che a causa di un incidente durante un gran premio subisca l’amputazione di una gamba. Nella fiction Sci-Fi l’arto sarebbe immediatamente rimpiazzato da una protesi biocompatibile e il nostro pilota potrebbe in breve tempo riprendere una vita normale, con in più la capacità di correre veloce come un’auto. E nella realtà?  Cosa potremmo fare per il nostro pilota? Certo non potremmo donargli capacità sovraumane, ma oggi la scienza ha fatto un enorme passo avanti nel mondo delle Bioprotesi e dell’integrazione fra uomo e macchina. In un futuro non troppo lontano, potremmo essere in grado di dare nuovamente al pilota la capacità di camminare, correre e avere percezioni termiche, tattili e dolorifiche come se si trattasse delle sue gambe. Fantascienza? Questa volta no.

Nature ha appena pubblicato uno studio dal titolo “A biohybrid synapse with neurotransmitter-mediated plasticity”, un lavoro condotto in collaborazione fra la sede di Napoli dell’Istituto Italiano di Tecnologia, l’Università di Stanford in California e l’Università tecnica di Eindhoven in Olanda.

Francesca Santoro, giovanissima e brillante direttrice del gruppo di ricerca “Tissue Electronics” del centro Partenopeo, è fra i principali fautori di questa ricerca e con piacere si è offerta per una breve intervista.

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Inizio col ringraziarti per la tua disponibilità e col farti i complimenti per il risultato ottenuto, come ti senti? Cosa provi in questo momento?

Mi sento molto felice e soddisfatta, è stato lavoro complesso, gravato dalle difficoltà intrinseche dello studio e dai problemi di coordinamento con le equipe straniere, per via del fuso orario e naturalmente dall’emergenza COVID. Ora che tutto si è concretizzato posso tirare un respiro di sollievo, vedere il nostro studio pubblicato su Nature è stata un’ emozione enorme.

Iniziamo dalle cose semplici, se così possiamo definirle, che cos’è una sinapsi bioidbrida?

Una sinapsi bioibrida si compone principalmente di due parti, un circuito di base stampato in materiale bioplastico e semiconduttivo che permette sia di trasportare impulsi elettrici che di far attecchire e sopravvivere cellule nervose, che costituiscono la seconda parte del microchip; un nostro chip contiene circa 10 cellule nervose impiantate e attive.

Nel vostro studio si parla di sinapsi bioibrida con plasticità mediata da neurotrasmettitori, che vuol dire plasticità mediata da neurotrasmettitori? E perché è importante?

Il nostro cervello è un organo in continua evoluzione, capace di apprendere le informazioni importanti e di dimenticare quelle superflue, quando nasciamo non conosciamo quasi nulla di ciò che ci circonda, dobbiamo imparare a comprendere e riconoscere quel che abbiamo intorno, indaghiamo il mondo prima con il tatto, con l’udito e con il gusto, poi con la vista ed in fine attraverso il ragionamento.  Già dagli ultimi mesi di gravidanza, il cervello è continuamente bombardato da informazioni che provengono dal mondo circostante, registrate e trasmesse dai nostri “sensori periferici”, gli organi di senso, arrivano al nostro encefalo per essere processate. Quando un’informazione si ripete più volte tende ad attivare sempre la stessa area del cervello, ogni stimolazione avvia un processo nelle sinapsi di quell’area che modulandosi iniziano a rispondere allo stimolo in maniera differente, in pratica si settano su valori soglia diversi, più o meno alti in base al tipo di circuito che andranno ad attivare una volta trasmesso l’impulso. Questo processo è definito plasticità neurale ed è alla base dei meccanismi legati all’apprendimento, alla memoria e al movimento.

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Quindi la vostra scoperta potrà essere utilizzata nella ricerca sui disturbi dell’apprendimento e della memoria?

Di sicuro questo è un possibile campo di applicazione, soprattutto per ciò che riguarda l’apprendimento, questo chip è una possibile interfaccia fra uomo e computer e può lavorare in due direzioni, sia per inviare dati ad un computer che per trasferirli in un organismo biologico, certamente è qualcosa di affascinante, pensare di poter arrivare a trasferire informazioni in un organismo, ma attualmente siamo lontani da questo traguardo.

Tutto il mondo studentesco farebbe carte false per avere una tecnologia simile, ma purtroppo mi sembra di capire che lo studio classico resterà ancora a lungo l’unico modo per passare gli esami, quali applicazioni più concrete nel breve periodo il vostro lavoro potrebbe avere?

La plasticità neurale di cui parlavo prima è un processo che in realtà hanno tutti i neuroni del nostro corpo, dalle cellule della retina che riescono in breve tempo a cambiare setting in base ai differenti livelli di esposizione solare, ai nostri sensori dolorifici o di pressione fino ai complessi circuiti delle vie di comunicazione che regolano il movimento. Tutto il nostro sistema nervoso è costituito da miliardi di microcircuiti capaci di influenzarsi a vicenda e apprendere quali pathways siano più vantaggiosi e quali livelli di segnale servano per attivare o meno una determinata area.
Detto questo io credo che la nostra ricerca potrebbe essere impiegata in un tempo relativamente breve nel campo delle protesi, oggi le nuove tecnologie in campo protesico permettono di realizzare arti bionici con capacità di tatto, sensori di temperatura e potenziometri per il movimento, il nostro chip potrebbe essere integrato in queste protesi come collegamento fra uomo e macchina permettendo all’utente di imparare naturalmente a gestire la protesi, la sua sensibilità, il suo movimento con un processo di neuro-modulazione naturale e non dettato da un normale chip settato secondo dei parametri che possono non corrispondere alla sensibilità dell’arto contro laterale.

Una sorta di uomo Bionico, come nella serie televisiva americana degli anni 70 “the six million dollar men” dove le protesi donano al colonnello Austin delle capacità sovraumane?

La Fantascienza è divertente  (Francesca accenna un piccolo sorriso) ma qui parliamo di realtà, di certo il nostro Chip potrebbe migliorare il feeling della protesi e magari con il tempo e grazie alle nuove tecnologie si potrebbe arrivare addirittura ad un’integrazione così avanzata da permettere la ripresa di normali attività come la corsa, in un paziente che abbia subito un’amputazione.  Il nostro chip però potrebbe essere utilizzato anche nel controllo del vie di comunicazione del movimento, ad esempio nelle persone che hanno subito incidenti con lesioni spinali o in chi soffre di malattie neurodegenerative o in pazienti affetti da Parkinson.

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Vorrei concludere questa breve intervista con un tuo pensiero riguardo l’utilizzo delle nuove tecnologie nella nostra vita, è giusto implementarle o si rischia di diventare troppo dipendenti? La digitalizzazione della vita fa del bene o del male?

La ricerca è il motore del mondo, le nuove scoperte aiutano ogni giorno migliaia di persone, una nuova tecnologia non è né buona né cattiva, l’accezione positiva o negativa dipende dall’uso che se ne fa: l’energia atomica può alimentare intere città o può essere usata per distruggerle. Quindi sì, è  giusto implementare la ricerca e le nuove tecnologie, d’altra parte però è importante ricordare sempre che le macchine da sole restano macchine e non potranno mai sostituire del tutto l’elemento umano. Confutare una teoria potrebbe richiedere l’uso di un supercomputer capace di eseguire in pochi minuti calcoli che una persona non potrebbe fare in una vita intera, ma l’intuizione che ha portato a formulare quella teoria resterebbe prerogativa della mente umana, così come un’Intelligenza artificiale potrebbe identificare pathways patologici e portare ad una corretta diagnosi ma non potrebbe mai sostituirsi  al medico nella visita e nel colloquio con il paziente per via del legame di fiducia che si instaura fra i due.

Una corretta sinergia fra uomo e macchina porterà sempre a risultati migliori rispetto al lavoro delle singole parti.

Tanti campi d’applicazione possibili, uomo e macchina insieme in sinergia per tracciare la strada del futuro e la vostra ricerca che fa da pietra angolare in questo mondo, tutto da sviluppare. Abbiamo affrontato tanti concetti e sviluppato molti possibili scenari, io ti ringrazio nuovamente per la disponibilità e ti faccio i migliori auguri per il futuro, nella speranza che questo futuro sia il più vicino possibile.