Italiani: tanti cellulari, poco bon ton

Indagine Intel sugli usi e i (mal) costumi degli Italiani alle prese con cellulari e tecnologie portatili. Sempre più connessi, sempre più distratti: solo un Italiano su cinque si comporta bene

Più dispositivi mobili che abitanti, è questa l’immagine dell’Italia che cambia, fotografata da una nuova indagine Intel condotta nel nostro e in altri sedici paesi dell’area EMEA in collaborazione con Redshift Research . Se tutta la popolazione maggiorenne italiana si mettesse contemporaneamente in viaggio o per strada, a spasso per la penisola si ritroverebbero oggi oltre 80 milioni tra cellulari, computer, tablet, navigatori satellitari.

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La nuvola digitale di cui tanto si parla è già fuori dalla Rete, nelle tasche e nelle borse di milioni di cittadini italiani. Tanto che il 40% di loro dichiara di non muoversi mai senza almeno due diversi dispositivi tecnologici sempre con sé, e uno su cinque anche con tre o più. Irrinunciabile il cellulare personale per la quasi totalità, il 93% del campione, seguito a distanza dal laptop in seconda posizione, necessario per il 31%. Sul terzo gradino del podio con un ex aequo salgono il navigatore satellitare e il cellulare di lavoro (necessari per il 15% degli italiani). In rimonta gli ultimi arrivati: il netbook, votato dall’11%, e il tablet, dal 4%.

Una vera e propria esplosione di “schermi” e terminali nel quotidiano, insomma, attraverso i quali passano in tempo reale emozioni, sentimenti, relazioni, lavoro, e che è destinata a cambiare progressivamente usi e costumi dell’intera popolazione.

Tanta “mobility”, poca “etiquette”

A domanda diretta, il 90% degli italiani, pensando ad un ipotetico bon ton della nuova era tecnologica, giudica il proprio comportamento alle prese con i dispositivi mobili tra il buono e, addirittura, l’eccellente. Nessuno lo trova invece migliorabile. A sorpresa, però, per gli stessi intervistati solo un italiano su 5 si comporta educatamente e, anzi, sempre per un italiano su cinque il voto complessivo alla popolazione è insufficiente. Ad onor del vero, gli italiani in Europa sono anche tra i più autocritici verso se stessi e i connazionali. Più severi di noi solo romeni, cechi ed egiziani.

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Tra i comportamenti riconosciuti come più scorretti al telefono, per il 77% degli italiani il peggiore si conferma sicuramente quello di leggere e scrivere messaggi mentre si guida, seguito a ruota dal parlare ad alta voce in pubblico, per il 73% degli intervistati, e dalle suonerie invadenti (58%). Per molti, il 55%, non c’è niente di peggio che parlare a qualcuno che si distrae con il cellulare o, per il 44%, che legge e scrive messaggi. Ai buoni propositi però non seguono i fatti. Ben un italiano su tre scrive infatti messaggi alla guida e uno su due lo fa in compagnia di altri nel mezzo di una conversazione. Un altro 50% utilizza infine i dispositivi mobili nella propria camera da letto, con buona pace del partner (sempre a patto che non faccia altrettanto).

Il dispositivo mobile come status symbol

Il fenomeno hi-tech si misura anche dai suoi risvolti “sociali”. Un italiano su due ormai considera il dispositivo mobile alla stregua di uno status symbol, e forse anche per questo si dice facilmente irritabile dalle cattive maniere di chi lo usa. Ecco così che quasi la maggioranza dei cittadini, il 46%, auspica la creazione di una sorta di codice comportamentale, se non di una vera e propria “etichetta” mobile.

D’altronde, nella top ten ideale delle “mancanze di stile” in pubblico, i comportamenti scorretti al telefonino oggi sono saliti addirittura alla seconda posizione, subito dietro alle insuperabili dita nel naso e al mordicchiarsi le unghie, ma addirittura prima delle parolacce ad alta voce e del fumare addosso a coloro che non fumano.

C’è di più. Se l’80% degli italiani rinuncerebbe per una settimana a caramelle, caffè, the e cioccolato per il proprio dispositivo mobile preferito, c’è chi – fortunatamente solo il 4% – farebbe addirittura a meno di una doccia. Per ben sette giorni. La stessa percentuale che rinuncerebbe al partner – valore che sale al 10% in Campania e Umbria e addirittura, a livello europeo, al 22% in Romania.

Dovunque e comunque? No, grazie

Il peggior posto dove usare un computer portatile si conferma – in particolare per noi e francesi – la tavola imbandita per il pranzo o la cena, almeno per il 49% degli intervistati; inappropriato il suo utilizzo anche durante le serate con gli amici per il 23% e sul letto per il 9%.

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Altri tabù intanto sono caduti da tempo, e i dispositivi tecnologici non solo si accendono sempre prima per spegnersi sempre più tardi, ma spesso rimangono “always on”. È una minoranza oggi, il 31%, quella che controlla i suoi dispositivi solo una volta giunta sul posto di lavoro; tutti gli altri cominciano ben prima, durante la colazione o il caffè il 28%, ancora prima di alzarsi dal letto il 15%, oppure sui mezzi pubblici per andare in ufficio o in azienda il 13%. Così accade anche nel resto d’Europa, con una piccola sorpresa. Più “ansiose” sul piano digitale si dimostrano le donne: ben il 71% di loro controlla infatti messaggi e mail prima di uscire di casa contro il 67% degli uomini.

Identità digitali, sempre con sé

Il 68% degli italiani controlla almeno una volta al giorno le proprie pagine e informazioni sui social network, anche se molti ormai sono passati ad un controllo una volta l’ora (almeno un italiano su dieci). A sorpresa, in Egitto e Turchia la quasi totalità della popolazione (rispettivamente il 90 e l’89%) controlla lo stato giornalmente se non più volte al giorno. Anche in questo caso le donne si riconfermano più “ansiose” sul piano digitale rispetto agli uomini: il controllo è giornaliero per il 71% di loro, contro il 67% della controparte maschile.

L’uso dei dispositivi mobili per accedere ai propri alter ego digitali spesso coincide anche con una maggiore disinvoltura nel loro utilizzo. Anche per questo i comportamenti scorretti si tollerano sempre meno. Tra i più detestati, l’uso di identità altrui, anche solo per gioco o scherzo, votato dal 64% degli intervistati, la condivisione eccessiva di informazioni online, spesso anche fin troppo private, per il 53%, l’essere inseriti tra i “tag” di una foto senza avere dato il proprio consenso (52%) o ancora l’essere geolocalizzati da servizi e siti web (49%). Mal tollerati anche gli errori grammaticali e di sintassi, almeno dal 35% del campione, così come cresce il fastidio per le richieste d’amicizia o contatto da perfetti sconosciuti: non le gradisce il 29% degli intervistati.

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E ora, cacofonia mobile!

Da ultimo, anche l’orecchio vuole – o non vorrebbe – la sua parte. Col moltiplicarsi dei dispositivi mobili crescono infatti esponenzialmente i diversi “rumori digitali” nella vita di tutti i giorni. Sul gradino più alto del podio tra i suoni più sgraditi salgono a pieno titolo i toni della tastiera del cellulare: non li sopporta più di un italiano su tre. La sveglia del mattino tiene saldamente il secondo posto tra i nemici della pace acustica, mentre al terzo, con il 16%, si piazzano i jingle di accensione e spegnimento dei dispositivi. A sorpresa, le vibrazioni di cellulari o smartphone per ricezione di chiamate, messaggi o email indispongono solo una stretta minoranza: tre italiani ogni cento.

Le ricadute sociali della mobilità secondo Intel

“La ricerca che abbiamo realizzato dimostra come nonostante ormai i dispositivi mobili, dai cellulari ai computer, siano diventati così pervasivi in molti paesi nel mondo, le nostre società e le nostre diverse culture non hanno tuttavia ancora davvero compreso come ‘metabolizzare’ correttamente tali tecnologie all’interno del vivere civile e quotidiano”, ha commentato Genevieve Bell, Intel Fellow e Direttrice dell’Interaction and Experience Research Group degli Intel Labs.

“Quando guardiamo ai risultati dell’indagine e capiamo le frustrazioni – se non la vera e propria confusione – che derivano dalle modalità con cui oggi i dispositivi mobili vengono utilizzati, appare evidente che ci troviamo di fronte ancora ad una fase precoce dell’attuale evoluzione digitale, in cui non è chiaro come questi dispositivi e questi comportamenti si debbano integrare nei diversi mondi. Questo tipo di normalizzazione sociale, queste nuove regole del vivere civile, o, più semplicemente, l’ ‘etichetta’, come spesso viene chiamata, sono infatti il frutto di molti anni di evoluzione. Un’evoluzione che passa necessariamente attraverso le generazioni.”