La gogna 2.0

Farsi giustizia da soli ai tempi del Web

Nello scorso weekend ha impazzato sulla Rete la storia di Giuseppe De Napoli che come molti in questo periodo hanno avuto difficoltà a incassare il pagamento di uno dei suoi clienti.

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La Web Agency Creorin, diretta da Giuseppe De Napoli, probabilmente esasperato dalla situazione, ha pensato di reagire per ribellarsi ad un loro cliente in ritardo col pagamento ed approfittando dell’accesso alla pagina di amministrazione del sito ha modificato la home page in modo che ognuno che si connettesse potesse leggere questo annuncio:

 

 

Molti addetti ai lavori si sono interrogati sulla liceità del comportamento alternando giudizi positivi e negativi.

Ho pensato fosse giusto chiedere un parere legale ai miei amici esperti di Diritto Informatico, Avv.Francesco Paolo Micozzi e Avv.Giovanni Battista Gallus.

Micozzi– “La condotta tenuta dal ragazzo in questione può avere più o meno implicazioni di tipo penale anche a seconda del rapporto tenuto con la “persona offesa”. Diamo per scontato ciò che emerge unicamente dalla pagina incriminata, e cioè che il ragazzo (Giuseppe De Napoli) avrebbe dovuto solamente registrare il dominio e realizzare il sito internet per il signor Francesco Armentano. Se noi ipotizziamo che il ragazzo non fornisca servizi di hosting ma la sua attività sia stata più quella di un semplice intermediario per la registrazione del dominio e per la realizzazione del sito internet possiamo intravedere, nella sua condotta, una pluralità di fattispecie criminose.

In primis: art. *392 c.p.* “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, in base al quale “Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da se medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 516”. Tale primo comma va coordinato – nel caso di specie – con l’ultimo comma del medesimo articolo in base al quale “Si ha, altresì, violenza sulle cose quando un programma informatico è alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero è impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico”. Nel caso di specie il ragazzo avrebbe, infatti, potuto utilmente attivare un procedimento in sede civile per richiedere e ottenere quanto dovutogli dal signor Armentano in base al contratto tra loro stipulato per registrazione del dominio e creazione del sito internet.

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Non si può, come da taluni sostenuto, ipotizzare nel caso in questione il reato di estorsione, posto che nel reato di estorsione (art. 629 c.p.) la violenza o minaccia sono esercitate in ipotesi in cui non sarebbe comunque possibile far valere la pretesa di fronte ad un giudice.

Non sarebbe neppure ipotizzabile neppure il reato di cui all’art. 635-bis (danneggiamento d’informazioni, dati e programmi informatici) posto che il fatto tipico di danneggiamento è già ricompreso nel fatto tipico di cui all’art. 392 c.p.

Si potrebbe, poi, ipotizzare anche il reato di cui all’art.*595, terzo comma, c.p.*, ovvero un’ipotesi di diffamazione aggravata e, ancora, il reato previsto dall’art.*615-ter c.p.* (accesso abusivo a sistema informatico o telematico) posto che (in ipotesi) De Napoli non offriva un servizio di hosting all’Armentano e, pertanto, avrebbe compiuto sullo spazio del server web (e comunque di configurazione del server virtuale, ad esempio) una serie di attività non certamente richieste, né consentite dall’Armentano.

In ultimo si potrebbe ipotizzare (poiché il ragazzo esprime chiaramente che anche le caselle email collegate al dominio internet di “proprietà” dell’Armentano sarebbero rimaste bloccate sinché egli non avesse corrisposto quanto concordato per acquisto del dominio e realizzazione del sito) il reato previsto dall’art.*617-quater c.p.* che punisce chiunque intercetta, impedisca o interrompa illecitamente comunicazioni informatiche o telematiche. Nel caso in questione, infatti, tutte le email indirizzate dominio dell’Armentano sarebbero state certamente bloccate (e quindi si sarebbero impedite le comunicazioni telematiche destinate all’Armentano attraverso le email riguardanti il dominio in questione).

Naturalmente, come detto, tutto questo ragionamento è condizionato al fatto che il ragazzo non offrisse anche un servizio di hosting: in quest’ultimo caso, infatti, ben avrebbe potuto sospendere il servizio a fronte del mancato pagamento. Il nostro ordinamento, difatti, prevede all’art. 1460 c.c. l’eccezione d’inadempimento, che consente, appunto, di sospendere la prestazione o il servizio, in caso d’inadempimento dell’altra parte.

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Gallus – “La condotta della “gogna mediatica” sarebbe comunque illecita anche sotto il profilo del trattamento di dati personali. Si tratta (ovviamente) della diffusione indiscriminata della qualità di debitore, accompagnata dalle generalità complete del debitore stesso.

Il Garante si è più volte pronunciato su casi assai simili, con particolare riguardo ai debiti condominiali, ritenendo, più volte, illecita la pubblicazione negli androni condominiali delle posizioni debitorie dei singoli condomini, proprio perché tale condotta conduceva a una diffusione di dati personali.

Tale posizione è stata confermata dalla Cassazione, la quale, nell’ord. 4 gennaio 2011 n. 186 ha ribadito che “l’affissione nella bacheca dell’androne condominiale, da parte dell’amministratore, dell’informazione concernente le posizioni di debito del singolo partecipante al condominio, risolvendosi nella messa a disposizione di quel dato in favore di una serie indeterminata di persone estranee, costituisce un’indebita diffusione, come tale illecita e fonte di responsabilità civile, ai sensi degli artt. 11 e 15 del codice”.

La “gogna del debitore” è quindi, quasi certamente, un’indebita diffusione di dati personali. Bisogna però precisare che, a seguito di una delle tante riforme del Codice della Privacy, i dati delle persone giuridiche (come le società) non sono più dati personali, ma nel caso in questione questa modifica non ha rilievo, dal momento che sono state pubblicate le generalità complete del legale rapp.te della S.r.l. debitrice (e dunque dei dati, senza dubbio, relativi a persona fisica)”.

Privacy, interruzione di servizio, diffamazione; sembrerebbe quindi che anche in questo caso non sia auspicabile farsi giustizia da sé ma molto meglio affidarsi ai tempi lenti ma sicuri della Giustizia.

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E voi cosa ne pensate?

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Avv. Giovanni Battista Gallus, LL.M., PhD, patrocinante in Cassazione, collabora con la cattedra di Informatica Giuridica e Informatica Giuridica Avanzata della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, relatore in svariati convegni e seminari e autore di diverse pubblicazioni in tema di diritto dell’informatica, privacy e diritto d’autore. Presidente del Circolo dei Giuristi Telematici, la più antica associazione del web giuridico, e fellow del Centro Hermes per la trasparenza e i diritti digitali.

gallus@gm-lex.eu twitter @gbgallus

Francesco Paolo Micozzi, avvocato, si occupa di diritto penale, con particolare predilezione per il diritto dell’informatica, delle nuove tecnologie, privacy e diritto d’autore. È autore per LeggiOggi (www.leggioggi.it) e cura il blog Quid Novi (www.micozzi.it). Collabora con le cattedre di Informatica Giuridica e Informatica Giuridica Avanzata dell’Università di Milano, fa parte dei redattori della rivista “Ciberspazio e Diritto” (Mucchi Ed.) ed è fellow dell’Hermes Center for Transparency and Digital Human Rights. Fa parte del comitato esecutivo dell’Istituto per le politiche dell’innovazione ed è relatore in svariati convegni, corsi di formazione e seminari in tema di diritto d’autore, privacy, diritti digitali e reati informatici. Collabora con il mensile Linux Pro (Sprea Ed.) dove tratta argomenti relativi a diritto e software libero. Ha pubblicato, tra gli altri, I nuovi reati informatici (Giappichelli, 2009), di cui è coautore, e l’ebook Il sequestro dei siti internet (Altalex, 2010).