Giornalisti e comunicatori. Come non si inventa una professione

Il mestiere di giornalista è “esserci” per raccontare. Ogni giornalista ha il proprio dittatore preferito o editore di riferimento. Il conformismo è il vero male. Ma il web ha dato una bella scrollata all’albero. Mentre le redazioni dei giornali tradizionali subiscono una radicale trasformazione, avanzano i nuovi professionisti della comunicazione con ruoli sempre più complessi e quasi sempre difficili da tradurre. Intanto, secondo l’Istat, il tasso di disoccupazione in Italia ha raggiunto nel 2013 l’11,9%. Segno di un difficile ricambio tra “vecchio” e “nuovo”. Ci sono i vecchi mestieri che utilizzano strumenti nuovi e ci sono mestieri completamente nuovi come il brand journalist, che informa in nome di un brand specifico, il social media manager che presidia la presenza online, il social media editor, che evita di imbattersi in notizie false e il community manager che gestisce la “faccia” social di un’azienda. Alcuni studi arrivano a contare oltre 174 nuovi “mestieri” legati all’online. Nell’analisi, condotta da Claudia Dani, giornalista free lance e PR manager, emerge in maniera forte che quello che conta non è «come una professione venga denominata bensì «che cosa debba saper fare la persona chiamata a ricoprire quel ruolo». 

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