Cuore, addio ai pacemaker grazie al trapianto di geni

Cuore, addio ai pacemaker grazie al trapianto di geni

In futuro ci penserà il DNA a garantire il funzionamento del cuore: i pacemaker potrebbero andare in pensione grazie all’auto-riparazione del corpo umano, mediante un trapianto di geni

Anche se per adesso si tratta solo di una prospettiva testata solo su animali, lo studio potrebbe portare ad un autentica rivoluzione per il trattamento di quei pazienti con aritmie cardiache che ora sono curati mediante l’impianto chirurgico di pacemaker. Il test ha infatti dimostrato che il trapianto mini-invasivo di un gene è in grado di stimolare le cellule staminali del cuore ad evolvere specializzandosi in pacemaker biologici con la capacità di monitorare il ritmo cardiaco in modo efficiente. Si tratta di una tecnica innovativa, sviluppata presso il Cedars-Sinai Heart Institute di Los Angeles e pubblicata su Science traslational medicine.

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Il pacemaker sarà biologico

Eduardo Marban, coordinatore della ricerca, spiega: “Per la prima volta siamo riusciti a creare un pacemaker biologico usando metodi poco invasivi e a riprogrammare le cellule cardiache di animali viventi per curare in modo efficace una patologia”.
In alcuni casi questo tipo di trattamento potrebbe risultare vitale, soprattutto nei pazienti che soffrono di effetti collaterali, quali infezioni causate dal materiale che collega lo strumento al cuore, e aiutare anche i bambini con malformazioni cardiache congenite. La ricerca ha previsto l’iniezione ad alcuni maiali da laboratorio con un completo blocco cardiaco del gene TBX18, mediante un catetere.

Possibile studio sull’uomo

La procedura è poco invasiva e in un paio di giorni il gene raggiunge il cuore degli animali. I soggetti trattati in questo modo hanno rivelato un battito cardiaco più veloce degli altri che non avevano ricevuto il gene, risultati confermati per tutti i 14 giorni dello studio.

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Marban conclude con prospettive positive: “Inizialmente pensavamo che le cellule dei pacemaker biologici potessero essere una terapia ponte temporanea per i pazienti con infezione da pacemaker impiantato, ma questi risultati ci indicano che con più ricerca si può arrivare a sviluppare un trattamento biologico di lunga durata. Se i risultati delle prossime ricerche saranno positivi, nel giro di tre anni si potrebbe arrivare allo studio sull’uomo”.