Smartwatch accusati di violare la privacy

smartwatch e privacy

Federprivacy accusa gli smartwatch di violare la privacy leggendo le nostre emozioni tramite il battito cardiaco

Nonostante i dubbi iniziali, gli smartwatch sono diventati il device del momento. Complice l’ingresso di Apple nel settore con Apple Watch, gli orologi SMART diverranno presto un oggetto di tendenza e gli utenti avranno moltissima scelta. Oltre al prodotto di Cupertino sono infatti disponibili sul mercato diverse soluzioni Android Wear e persino Swatch ha realizzato un proprio smartwatch. Qualcuno però comincia a sollevare qualche dubbio in merito alla privacy e all’uso dei dati raccolti dai sensori di cui questi device sono dotati.

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Gli smartwatch possono leggere le nostre emozioni. Problema per la privacy?

Federprivacy afferma che gli smartwatch sono in grado di monitorare le nostre emozioni attraverso i sensori per il fitness. Ciò permetterebbe ai produttori dei device di vendere tali informazioni a scopo pubblicitario. L’accusa si basa su uno studio condotto dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università dell’Essex, l’Harvard Medical School e il MIT. La ricerca ha dimostrato che il battito cardiaco può essere utilizzato come parametro attendibile per identificare le emozioni e ciò può rivelarsi un problema per la privacy. Lo smartwatch, rilevando le pulsazioni, potrebbe infatti capire il nostro livello di gradimento alla vista di un prodotto in vetrina. Inoltre, l’associazione sottolinea che solo il 15% delle app ha un’informativa sulla protezione dei dati completa.

“Occorre cautela nel dare il consenso quando si scarica un’app,  – ha sottolineato il presidente di Federprivacy, Nicola Bernardi – per evitare di autorizzare in modo inconsapevole l’installazione di una vera e propria spia sul nostro polso, che comunicherebbe alle grandi aziende del marketing una moltitudine di informazioni sul nostro conto, e adesso anche le nostre emozioni”. Bernandi quindi auspica che venga approvato un nuovo regolamento europeo sulla privacy, “che potrà generare sul mercato fino a 70mila richieste di professionisti esperti nel settore data protection, i cosiddetti privacy officer”.

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