Il coraggio di cambiare

La tecnologia serve a ridurre le differenze che creano squilibrio. Per innovare bisogna imparare dagli errori e sapere guardare al futuro anche con gli occhi di uno straniero

Il coraggio di innovare. Il coraggio di cambiare. Ecco ci siamo. Dodici mesi da archiviare. Tra alti e bassi, consegne da inseguire, progetti da rimandare e scelte mancate. Il Natale ha sempre quel sapore di pane e profumo di cannella: un po’ sagra gastronomica e un po’ riunione di condomino. Sono passati 25 anni dal primo messaggio SMS che ha dato inizio alla rivoluzione del nostro modo di comunicare. Nel presepe, accanto ai pastori, c’è posto per i corrieri di Amazon e i pirati informatici, che durante le feste prenderanno di mira dispositivi IoT, smartphone e tablet con botnet basate su Android. Lo sguardo del bue più che alla speranza lascia spazio alla rassegnazione. L’asino – in formazioni sempre più articolate – è presente in ogni circostanza. E la mangiatoia fa da sfondo a molte scene. La collaboration è di moda solo negli ambienti aziendali, nel resto del Paese ci si divide su tutto e per ogni cosa. L’intelligenza artificiale è la buzzword del momento. Ma l’intelligenza del dialogo, della capacità di ascolto, dell’empatia fa sempre più difetto. Mettersi nei panni degli altri costa fatica. Non tutto può essere ridotto a energia, hardware e informazione. La complessità richiede strumenti complessi per essere governata. E il tempo per imparare e comprendere non può essere compresso.

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Con la sperimentazione del 5G, l’Italia fa un passo in avanti e gioca la carta dello sviluppo con standard attesi già dal 2018 e nuove soluzioni di mercato nel giro di un paio di anni. Un’accelerazione che ci porta finalmente in testa in Europa, recuperando tempo perduto, ma imponendoci di fare da driver per una parte del Paese che resta indietro. Si tratta di una rivoluzione sistemica che permetterà di scaricare a terra tutto il potenziale dell’Internet delle Cose e che metterà al centro dell’attenzione la questione cruciale delle reti. Un cambio di passo già registrato dalla Classifica TOP100, fotografato dal Rapporto Assintel e reso ancora più tangibile dalle cifre dello studio Anitec-Assinform. In Italia, l’Information Technology rappresenta un settore strategico che contribuisce in modo rilevante al PIL con il 3,7% del valore aggiunto. Se è vero che la frammentarietà delle aziende IT costituisce un punto di debolezza strutturale, la vivacità del tessuto delle PMI, pur con tutti i suoi limiti, rappresenta – però – l’unico argine alla polarizzazione e alla concentrazione del mercato. Secondo il Censis, “l’Italia è un paese in cui il futuro è rimasto incollato al presente”. Nonostante l’enfasi su social e web, la società italiana appare sempre più “sconnessa, disintermediata e con scarsa capacità di interazione”. Non solo. La ripresa registrata negli ultimi mesi sembrerebbe indicare, più che “l’avvio di un nuovo ciclo di sviluppo, il completamento del precedente”. Gli analisti del Censis avvertono che “siamo un Paese invecchiato e ambiguo nel dilagare di nuove tecnologie che spazzano via lavoro e redditi”.

Il potere della conoscenza, per citare Marco Icardi CEO di SAS Italia, significa persone e macchine che lavorano insieme. Eppure, si fa fatica a riconoscere gli errori. Al merito si intitolano premi, ma il talento non viene veramente riconosciuto. E agli analytics in grado di guidarci nelle scelte, si preferisce il sorteggio. “Rendere possibile l’impossibile” è il mantra di Intel quando parla di intelligenza artificiale. Ma oltre che possibile, il mondo che vogliamo costruire deve essere anche più giusto. Perché nessuno squilibrio è destinato a durare per sempre. Ci commuoviamo davanti alle foto, sulle facciate della Microsoft House, dei bambini di Haiti, che giocano a piedi scalzi nelle fogne a cielo aperto, ma neghiamo ai figli di immigrati nati in Italia di essere cittadini italiani. La tecnologia serve a ridurre le differenze che creano squilibrio. Per innovare bisogna imparare dagli errori e sapere guardare al futuro, anche con gli occhi di uno straniero.

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