Virtual e augmented reality, se la digitalizzazione entra in negozio

Il punto vendita del futuro è dappertutto: tra sensori, virtual e augmented reality si moltiplicano i punti di contatto e le possibilità di acquisto online e offline. Maggiore integrazione tra servizi, fiducia nella nuvola e potere al mobile per portare lo store tradizionale in una nuova era

Stando a una recente ricerca di Goldman Sachs, VR e AR varranno, entro il 2025, circa 95 miliardi di dollari. La spesa totale per queste tipologie di prodotti e servizi dovrebbe passare a livello worldwide da 11,4 miliardi di dollari del 2017 a quasi 215 miliardi di dollari nel 2021, con un tasso medio annuale composto (CAGR) superiore al 110% (fonte IDC). Buona parte di questi saranno maturati all’interno di applicazioni ludiche, di intrattenimento, mentre altri contesti, come la formazione e il training aziendale stanno già prendendo velocemente piede. Eppure, c’è una categoria che da mondi del genere può trarre benefici significativi, per certi versi determinanti. Stiamo parlando del retail, che dopo aver passato, quasi indenne, l’era dell’evoluzione dall’acquisto localizzato a quello online, ha l’opportunità di cogliere i paradigmi del virtuale e aumentato per trasformare processi interni e di offerta, tutto a vantaggio del consumatore. Quest’ultimo, conscio del nuovo tipo di interazione abilitata dalle tecnologie odierne, cerca una gratificazione immediata che vada oltre le app sullo smartphone o i modelli propositivi tipicamente 3.0, che tentano cioè di unire la personalizzazione dei contenuti con la visita in negozio (pensiamo al marketing di prossimità). È come se visori e occhialini, ma anche gli stessi smartphone, grazie agli sviluppi di piattaforme di developing peculiari, ARKit (iOS) e ARCore (Android), siano ponti verso dinamiche di coinvolgimento approcciate non ancora del tutto, per la mancanza di comunicazione da parte dei brand interessati, per una formula ritenuta appannaggio dei soli appassionati o per la poca convinzione del valore aggiunto che tali soluzioni sono in grado di attivare.

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Da anni, alcuni brand sperimentano tecniche di commercio futuristiche. Pensiamo allo specchio “augmented” (un esempio è AR Makeup Mirror di Shiseido) che permette di provare capi di abbigliamento sovrapponendoli alla propria figura, senza perdere minuti preziosi in camerino, oppure i cataloghi tridimensionali delle navi da crociera, capaci di far vivere, per quanto possibile, una primaria esperienza emotiva a chi si accinge ad acquistare la vacanza della vita. Forse non ce ne accorgiamo, ma simili punti di contatto, per quanto a uno stadio non ancora avanzato, stanno già cambiando il modo di costruire engagement e storytelling da parte delle aziende. Sembrava che la formula social fosse quella definitiva per il B2B e il B2C e invece ecco una ricetta ulteriore, che apre scenari vasti e inesplorati.

NUOVA MA GIÀ CONSOLIDATA

Per troppo tempo, le realtà digitali sono state considerate troppo acerbe per il mercato. Tuttavia, alcuni casi, tra cui il gioco Pokémon Go e la social-chat di Snapchat, hanno dimostrato che le logiche AR e VR possono aprire varchi importanti per le aziende in cerca di tipologie dirompenti di business. La sinergia tra l’industria e queste tecnologie non è così innovativa come potremmo pensare. È spesso una questione tecnica, di piattaforma, più che di vera trasposizione su livelli mai tastati. Ci aspettiamo che domani i consumatori indosseranno un paio di occhialini o visori per comprare prodotti su Amazon prelevandoli dagli scaffali?

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Pare molto difficile, ma la virtualizzazione degli oggetti può sicuramente fornire uno spunto maggiore verso l’acquisto, un elemento decisionale aggiuntivo, che potrà sostituire processi classici: lo scroll delle foto online, la lettura dei commenti, i feedback degli appassionati. VR e AR diventano allora quasi commodity, strumenti declinati in gadget differenti che guardano tutti a un unico obiettivo: vendere di più, vendere meglio. Molti retailer lo hanno capito, trasformando l’esperienza prettamente digitale, quella di siti e app, in un mix di visita liquida nei negozi fisici, dove la mancanza (voluta o no) di spazio e tempo viene colmata dai mondi 3D, che riescono davvero a semplificare le scelte, in negativo e in positivo. Abbiamo detto delle crociere e dell’abbigliamento, ma gli esempi sono tanti: concessionari che creano l’auto su misura, mobilifici che riproducono salotti, cucine e camerette, assistenti che accompagnano il visitatore in cantieri e musei. L’unico limite è l’immaginazione. Questa però è la parte finale della fruizione “mista”, che prevede un grande lavoro di digitalizzazione a monte. I sistemi dunque hanno dovuto, e dovranno sempre più, supportare questo cambio di passo del retail, fornendo soluzioni stabili ma flessibili, versatili quanto basta per soddisfare le esigenze dei clienti.

IL CONTESTO EUROPEO PER IDC

Non a caso, secondo una recente ricerca di IDC, l’industria al dettaglio dell’Europa occidentale può essere suddivisa in tre aree, in base allo stadio del percorso che le aziende devono affrontare per passare a un modello di business multicanale completo. Nei Paesi Bassi, i retailer si concentrano principalmente sull’ottimizzazione delle efficienze di realizzazione di strategie multichannel; in Francia e in Germania sono nella fase di raggiungimento della visibilità e del miglioramento dei processi mentre in Spagna, Belgio e Italia, i grandi soggetti stanno iniziando a costruire adesso le basi della piattaforma. La parola d’ordine è integrazione, come evidenzia Maria Margherita Cugnonatto, consumer goods, retail, fashion industry leader di DXC Technology Italia, azienda con oltre 20 anni di esperienza nel software engineering e nei servizi di consulenza ICT. «Il mercato del retail, per avere successo, deve puntare a un progetto che sappia legare, sin dal principio, i principali flussi di un’organizzazione» – spiega Maria Margherita Cugnonatto. «Devo poter provare in negozio e acquistare via web, o acquistare via internet e ritirare in negozio, con gli stessi servizi di reso. DXC è stata precursore del tema, sviluppando tool specifici per alcuni importanti brand del mondo del Luxury Fashion, come Jimmy Choo, Bally e Belstaff. Per questi è stata studiata – a stretto contatto con i brand manager – una soluzione basata su un front-end personalizzabile e integrato con il back-office, a partire dall’ERP, sino all’intera supply chain e i sistemi di magazzino. Il bello è che strategie simili, che rientrano comunque nel filone della trasformazione digitale, riescono a dare nuova luce anche alle tipiche problematiche del retail, quelle chiamate “old school math”, oltre ad abilitare l’adozione di tecnologie, dalle smart analytics alla cognitive AI, riconoscimento facciale e vocale, che forniscono risposte a domande forse non del tutto esplicite ma sottese».

Insomma, il cliente iperconnesso è oggi l’indiscusso protagonista di tutte le nuove iniziative del soggetto operante nel retail. E le cosiddette tecnologie “phygital”, ossia nate dalla convergenza tra mondo fisico e digitale, giocano un ruolo fondamentale nell’offrire una customer experience personalizzata e di qualità. Ne è convinto Paolo Pelloni, head of marketing and communication di Gruppo Sintesi, secondo il quale i retailer sono in gran fermento nell’affrontare la rivoluzione digitale, anche se a un occhio attento potrebbe sembrare che si tratti di una situazione sotto controllo e di naturale evoluzione. «La realtà – spiega Pelloni – è che i cambiamenti tecnologici sono molteplici, troppi per essere abbracciati tutti. Inoltre sono guidati poco dall’insegna e molto dal cliente, che è il primo a portare le novità fisicamente all’interno del punto vendita, tramite un semplice smartphone. Una situazione che, dal punto di vista del Gruppo Sintesi, advisor delle infrastrutture a supporto della trasformazione digitale, appare fondamentale per le sue implicazioni concrete. Molti dei progetti moderni di innovazione in negozio prevedono l’uso di punti di ingaggio o di interazione cliente-prodotto. Ciò è possibile grazie a tecnologie video, wireless, di realtà aumentata, virtuale o emettitori multi-sensoriali. La vera sfida non è nella tecnica, ma su due altri fronti: portare il consumatore a usare questi touchpoint e ottenere una ricaduta finale sulle vendite. Un duplice scopo che si raggiunge quando si mette in atto una strategia più ampia di coinvolgimento in cui vengono incluse attività di gamification e loyalty. Solo così si può costruire una relazione solida e duratura, che non si limiti alla mera vendita istantanea».

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LA FIDELIZZAZIONE INTELLIGENTE

Un tema centrale, quello della fidelizzazione, che ambiti come le realtà miste possono incentivare. Ma come possiamo consolidare il patrimonio di fiducia e il rapporto con il cliente? «Attraverso due strade che devono essere percorse in parallelo» – risponde Maria Margherita Cugnonatto di DXC Technology Italia. Una è quella della personalizzazione: rendere personale il prodotto, il premio e lasciare che il brand comunichi direttamente con il singolo utente. L’altra, sicuramente stimolante, riguarda l’augmented reality, la multisensorialità come driver di fidelizzazione, soprattutto se associata a qualcosa di veramente interessante, cioè la simulazione in fase di pre e post-acquisto. In generale, il marchio deve soddisfare il desiderio del consumatore di vivere esperienze nuove e straordinarie, di certo uniche». Quello tra retailer e cliente è un rapporto destinato a evolversi e a cambiare in maniera proporzionale all’ingresso di ulteriori tecnologie. «Entro la fine dell’anno, il 20% dei retailer europei adotterà sistemi cognitivi per lo sviluppo di attività omnichannel» – spiega Daniela Rao, senior director research and consulting di IDC Italia, tracciando lo scenario di mercato. «Tra questi, il 10% li utilizzerà per i chatbot autonomi e il 9% per assistenti digitali vocali e consentire così il “voice shopping”, applicazioni in grado di interagire in maniera avanzata con il cliente. In Europa Occidentale, vedremo un aumento degli investimenti per progetti del genere, ma solo quando dagli Stati Uniti arriveranno le prove dell’efficacia del loro uso ai fini di una crescita del mercato. Stando all’Innovation in Retail Survey di IDC, il 56% dei retailer continentali attribuisce grande importanza a AR e VR per l’attuazione di una strategia di innovazione nel triennio 2018-2020 ed è per questo che inizieranno a implementare strumenti misti per potenziare le attività di magazzino e distribuzione, con l’obiettivo di ottenere maggiore efficienza, accuratezza e produttività, permettendo alla forza lavoro al dettaglio di concentrarsi maggiormente sul servizio clienti».

FUTURO PRESENTE

Del resto, la stessa DXC dimostra che accogliere il futuro è già possibile. «La combinazione di soluzioni omniconsumer con la piattaforma DXC Smart Shopper consente di offrire una customer experience più ricca, anche in-store, combinando artificial intelligence per le profilazioni con promozioni personalizzate e realtà virtuale» – riprende Maria Margherita Cugnonatto di DXC Technology Italia. «DXC Smart Shopper, implementata all’interno degli spazi aeroportuali ad esempio, permette di interagire con il viaggiatore negli spazi adiacenti e all’interno dei negozi. La tecnologia diffusa nel punto vendita si basa su infrastruttura light (beacon e Wi-Fi), IoT, analytics e tecnologie di VR, per dare al passeggero servizi di way finding e di push notification oltre a proximity marketing. Dunque, la virtualizzazione viene utilizzata proprio per attrarre e guidare il consumatore nel punto di vendita fisico e aumentare il tempo trascorso in negozio. Altri progetti di VR, come lo Smart Assistant, che raccoglie e indirizza le esigenze di un cliente tramite un chatbot, aiutano a migliorare l’efficienza del personale e a ridurre i tempi di attesa. Le applicazioni del domani non potranno che aggiungere un’ulteriore freccia all’arco dei punti vendita, per far evolvere l’esperienza di acquisto». La sensazione è che AR e VR stiano affrontando un momento cruciale della loro esistenza, non solo in ambito retail. Lo snodo è rappresentato dalla voglia di rivenditori e marchi di sperimentare nuove modalità di business che aggancino gli utenti più smart, quelli cioè prominenti nei prossimi decenni. Proprio come gli smartphone hanno svolto un ruolo essenziale nella rivoluzione del commercio online, così la realtà aumentata e la realtà virtuale hanno il potere di dare nuovo slancio al retail, coinvolgendo gli acquirenti come mai prima d’ora.

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