Il lato oscuro della Rete

La dimensione problematica della rivoluzione digitale – il suo lato oscuro – è oramai un tema che va analizzato all’interno delle più generali dinamiche dell’evoluzione tecnologica.

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Gli scandali recenti delle intercettazioni della NSA non fanno che aumentare il crescente sospetto nei confronti delle Rete e delle sue potenti tecnologie e il timore che le sue promesse non possano essere mantenute.

Ne abbiamo parlato con Andrea Granelli – autore del libro “Il lato oscuro del digitale

Qual è il lato oscuro della Rete?  

Le inesattezze e falsificazioni di Wikipedia, il potere sotterraneo e avvolgente di Google, la fragilità psicologica indotta dagli universi digitali, il finto attivismo politico digitale svelato dall’espressione click-tivism, il crollo della produttività legato all’essere always-on, il diluvio incontenibile della posta elettronica, il pauroso conto energetico dei data center, i comportamenti “scorretti” dei nuovi capitani dell’impresa digitale sono solo alcuni dei problemi che stanno emergendo, con sempre maggiore intensità e frequenza.

Quali sono i principali rischi? 

Quello principale è che non ci si renda conto delle dimensioni problematiche e – tutto d’un tratto – quando i primi problemi emergono e diventano di dominio pubblico (pensiamo al Datagate oppure al suicidio di Carolina Picchio dopo gli episodi di cyberbullismo su Facebook) le reazioni diventano irrazionali e incontrollabili, tendendo a forme di neo-luddismo. S’incominciamo anche a mettere a fuoco i danni potenziali; nel mio libro parlo diffusamente di dodici aree problematiche, che introduco – seguendo l’esempio di Morozov – sotto forma di domande retoriche:

  1. Supporto alla democrazia e all’equità? Dal click-tivism ai pericoli di Wikipedia fino all’uso criminale del potere del digitale
  2. Irrobustimento competitivo delle imprese? L’invasione delle eMail, l’esplosione della complessità e il multitasking crash
  3. Potenziamento del sé? Ansia da disconnessione, nuove dipendenze e le patologie da digitale
  4. Creazione di capitale sociale? L’amicizia nell’era di Facebook e la delusione dei social media
  5. Impatto ambientale trascurabile? Inquinamento informativo, data centre energivori, eWaste
  6. Facilitazione del libero mercato? La rapida ascesa dei neo-monopolisti digitali.
  7. Garanzia e diffusione della cultura per tutti, rispetto della diversità? Google, Wikipedia, apps e la nuova omogeneizzazione culturale
  8. Eternità dei dati e robustezza delle piattaforme ICT? Dal degrado digitale ai disastri informatici
  9. Il nuovo oppio dei popoli? Dagli oggetti elettronici di culto ai mondi virtuali
  10. Frodi, virus e le nuove sfide alla sicurezza
  11. La vendita di prodotti non controllati
  12. Le zone d’ombra della libertà digitale: violenza diffusa e la facile apologia di razzismo e nazismo
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Puoi citare qualche case history? 

Alcune aziende incominciano a vedere l’Email come un elemento dannoso per il flusso lavorativo quotidiano. Alcune stime indicano che i lavoratori passino quasi un terzo del tempo a leggere e cancellare messaggi con un danno d’improduttività annuale calcolato in sei settimane per dipendente. Per questo motivo Atos, società leader europea nei servizi IT, ha pianificato di ridurre progressivamente l’utilizzo delle Email in azienda – fino all’eliminazione completa entro il 2014 – al fine di contenere al massimo l’inquinamento informativo (ogni manager dell’azienda dedicava, infatti, tra il 5% e il 20% del suo tempo alle Email).

S’incomincia anche a fare il conto energetico del digitale. Google ha recentemente rivelato, per la prima volta, quanto consumano tutti i suoi data center: 2,26 milioni di megawattora, nel 2010, pari a un quarto della produzione annua complessiva di una centrale elettrica funzionante a combustibile atomico; oltretutto con una produzione di anidride carbonica di 1,46 milioni di tonnellate. E Google, seppur importante sia solo uno degli attori. Già nel 2005 negli Stati Uniti vi erano oltre dieci milioni di data center il cui consumo era equivalente  a due mesi dell’intera Inghilterra. Inoltre i consumi di queste strutture sono cresciuti – dal 2000 al 2006 – del 200%.  Il dato più aggiornato è stato pubblicato in un articolo di James Glanz sul New York Times – e poi ripreso dal Corriere della Sera – nel settembre 2012: i data center hanno consumato nell’ultimo anno 30 miliardi di watt di elettricità a livello mondiale, quanto l’energia prodotta da 30 centrali nucleari

Nel mondo c’è chi mitizza Internet e il mondo digitale, perché?  

Si è sviluppato una sorta di fondamentalismo digitale che unisce amore cieco e negazionista per ogni forma di tecnologia e una cinica furbizia legata a considerazioni più prettamente commerciali e personali. D’altra parte il valore economico dietro al settore digitale è enorme; pensiamo che solo Apple vale come la borsa italiana. Il digitale è un ecosistema fatto di fornitori di tecnologie, di produttori di device (PC, telefonici, console per videogiochi,), di software house, di systems integrator, di Telco, di service provider (Google, Facebook, Twitter, …), di gestori di fiere ed eventi, di consulenti, di formatori, di giornalisti, ….

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Pensiamo per quanto tempo le aziende di sigarette – il cui valore è infinitamente più piccolo rispetto al mondo digitale – sono riuscite a non dire ai propri consumatori che “Il fumo uccide”. Si è dunque formato un vero e proprio “pensiero unico digitale” che dice sostanzialmente: “il digitale è sempre una grande opportunità (se non lo sai usare è colpa tua e devi essere alfabetizzato); più digitale hai meglio è; e se per caso hai scoperto qualche piccolo problema, la prossima versione lo risolverà …”.

Com’è possibile difendersi e quale dovrebbe essere il giusto approccio? 

Il tema non è se bisogna, o no essere digitali, ma piuttosto COME deve esserlo. Va sviluppata una sensibilità al digitale – una sorta di “digital awareness“, che è il prodotto non di una banale alfabetizzazione digitale – che si limiti a insegnare l’ABC (i rudimenti) degli strumenti più utilizzati – ma di un vero e proprio percorso di e-ducazione al digitale. In questo caso l’obiettivo non è saper usare degli strumenti e neanche saperli progettare; l’obiettivo ultimo è la progressiva costruzione di una comprensione, sensibilità e senso critico nei confronti del fenomeno digitale nel suo complesso: capirne gli impatti, i vantaggi competitivi estraibili, i costi nascosti, gli effetti secondari.

Ai fondamentalisti non interessa fertilizzare con il digitale l’ambiente in cui vivono, i vecchi settori economici, i business tradizionali (ciò richiede, infatti, una lunga coltivazione e quindi una cultura digitale); essi puntano a un colonialismo digitale (che ritiene gli utenti “indigeni da alfabetizzare”), che vuole “cambiare tutto” e che ritiene – per esempio – una città smart per il semplice fatto che ha introdotto in maniera massiva (e soprattutto molto ben raccontata) nuove tecnologie digitali.

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A tal fine la formazione scolastica che ruolo ha e quale dovrebbe avere nel nostro Paese?

Il punto d’innesto sono le scuole superiori e la fase iniziale degli studi universitari, dove si deve iniziare un’autentica e-ducazione al digitale, incominciando ad affrontare temi come: I criteri “obiettivi” di scelta di un certo tipo di soluzione tecnologica, con particolare attenzione agli impatti e agli effetti “collaterali”. Le precondizioni di utilizzo (culturali, organizzative, normative, …). Gli elementi per costruire Business Case realistici (evitando di sovrastimare i ricavi e sottostimare costi, rischi e tempi attuativi). Le implicazioni organizzative, psicologiche e linguistiche e cioè cosa deve essere cambiato per usare al meglio le soluzioni tecnologiche adottate. I lati oscuri e gli aspetti più problematici del digitale.
Solo questi elementi consentono di contrastare tre comportamenti patologici associati al digitale e purtroppo in grande crescita e diffusione:

  • Essere un credulone: non sapere di non sapere, fidandosi del proprio intuito, di quanto si leggiucchia sulla Rete e rifiutando il sapere scientifico e il parere dei “veri esperti”
  • Fare “lo struzzo”: non voler vedere le crescenti dimensioni problematiche del digitale e considerare marginali i possibili rischi e impatti negativi
  • Fidarsi solo della tecnica: pensare che il digitale e Internet siano una grande piattaforma (e cioè strumento) tecnica che possa essere gestita semplicemente conoscendone i comandi principali

 

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Andrea Granelli è presidente di Kanso, società di consulenza specializzata in innovazione e change management. Da diversi anni lavora su temi legati all’innovazione: è stato in McKinsey e successivamente amministratore delegato di tin.it e dei laboratori di ricerca del Gruppo Telecom. È in molti comitati scientifici e in commissioni di valutazione. È stato membro del Comitato di valutazione del CNR e direttore scientifico della scuola internazionale di design Domus Academy. Attualmente è presidente della società consortile Coirich (Italian Research Infrastructure for Cultural Heritage) e dell’Associazione Archivio Storico Olivetti.
Scrive periodicamente di innovazione su quotidiani e riviste e ha pubblicato molti libri. Ha inoltre curato la voce Tecnologie della comunicazione per la nuova enciclopedia Scienza e Tecnica della Treccani.