Periodicamente quando il Partito Democratico attraversa qualche momento di cruciale, esplode su Twitter l’enigmatico hashtag #direzionePD, che in questo periodo rappresenta alla perfezione il senso di smarrimento della Sinistra italiana
Si sa, al Social Media Expert italico piace da impazzire giocare sulle assonanze, gli ossimori, le sinestesie, ecc… si sa, al Social Media Expert italico piace da impazzire rendere omaggio a semiologia, semantica, semiotica, ecc… così, solo per darsi quel tocco da bohémien evoluto sospeso tra Baudelaire e Umberto Eco.
Un hashtag come #direzionePD è da intendersi pertanto come un “arguto” tentativo da un lato di “raccontare i lavori degli apparati” della Direzione del Partito Democratico, dall’altro come una sorta di invito a “intraprendere la retta via” del Partito Democratico.
Nello scenario di acuta incertezza politica succeduto alle ultime elezioni, la riesumazione di questo hashtag è apparsa ai più altamente problematica.
Innanzitutto ha raccontato un Partito incapace di rinnovarsi di fronte alle istanze di “democrazia liquida” del Movimento Cinque Stelle. Tant’è che da più parti si ricomincia a guardare a Matteo Renzi. L’effetto avvertito dai più è stato quello di un Partito che si rinchiude nei propri luoghi di potere a leccarsi le ferite.
D’altro canto è emersa anche la debolezza della proposta politica di Pierluigi Bersani, che piuttosto che indicare chiaramente la via per uscire dall’empasse istituzionale propone una sorta di diagramma di flusso.
Gli otto punti di Bersani sono stati declinati in ogni genere di modalità digitale dal tweet all’infografica:
1. Fuori dalla gabbia dell’austerità.
2. Misure urgenti sul fronte sociale e del lavoro.
3. Riforma della politica e della vita pubblica.
4. Voltare pagina sulla giustizia e sull’equità.
5. Legge sui conflitti di interesse, sull’incandidabilità, l’ineleggibilità e sui doppi incarichi.
6. Economia verde e sviluppo sostenibile.
7. Diritti.
8. Istruzione e ricerca.
Della premiata serie dire tutto e dire niente.
Ne parlavo su Twitter qualche giorno addietro con Massimo “Supernauta” Metrangolo: il Partito Democratico sembra non avere la minima intenzione di dotarsi di una “Unique Selling Proposition” (USP), a differenza di Movimento Cinque Stelle e PDL, che sviluppano tutta la propria comunicazione attorno a questo principio.
La USP è un concetto molto vecchio, elaborato nella prima metà del secolo scorso da Rosser Reeves in ambito di comunicazione pubblicitaria. In sostanza è riassumibile:
1. Ogni campagna pubblicitaria deve proporre “un” beneficio per il consumatore.
2. Questo deve esser tale che la concorrenza non può offrirlo.
3. Il beneficio deve essere così forte da poter spingere milioni di consumatori all’acquisto.
Per intenderci, la USP durante la campagna elettorale del Movimento Cinque Stelle era “Tutti a Casa” e quella del PDL era “Vi rimborsiamo l’IMU“. Concetti semplici, chiari e di forte presa verso il proprio bacino elettorale di riferimento.
Bisogna ammettere che ormai le categorie del marketing spiegano meglio i fenomeni politici delle scienze politiche. Il cittadino elettore e il cittadino consumatore sono esattamente la medesima persona. Peraltro, quando si utilizzano per comunicare con questo soggetto politico/economico i medesimi media, con cui vengono veicolati messaggi commerciali (ivi inclusi i social media), ridicolo pensare che si attivino neuroni differenti.
Ancora oggi, nonostante i reiterati contatti con il Movimento Cinque Stelle, un punto di contatto appare lontano… E forse Matteo Renzi, che di comunicazione ne capisce qualcosa, ben dice quando richiama il Partito a cercare un punto di contatto sull’abolizione del finanziamento Pubblico ai Partiti.
Qualcosa di molto più concreto ed edibile di “riforma della politica e della vita pubblica“.
>> Vedi tutti gli altri articoli della rubrica “Cinguettii” a cura di Giovanni Scrofani