Il sito di microblogging è uno strumento fondamentale per informare ed essere informati sulle proteste antigovernative in atto in Turchia. Il premier Erdogan lo definisce “la maledizione della società odierna”
Quando i media tradizionali tacciono, perché censurati dai governi solo formalmente democratici, la Rete diviene un mezzo potente per esprimere le proprie opinioni, fare informazione e organizzare le proteste. Lo stesso ex ministro degli Esteri Giulio Terzi aveva sottolineato il nuovo ruolo del web, e in particolare dei social network, come strumento per favorire il dibattito democratico. L’esempio lampante si è visto durante la cosiddetta “Primavera Araba”, quando Egitto, Tunisia e altri paesi del Maghreb erano insorti contro i propri governi organizzando le manifestazioni di protesta tramite la Rete.
L’importanza dei social network come stumento democratico diviene ancora più evidente in relazione alle contromisure prese dai governi non democratici per fermare il dibattito in Rete. La Siria ha oscurato il web per non far trapelare notizie sulle stragi avvenute durante le rivolte contro il premier Bashar al-Asad, l’Iran sta portando avanti il progetto di una intranet governata direttamente da Teheran e la Cina sta sperimentando nuovi modi, oltre a quelli già in vigore, per bloccare il dissenso su Internet.
“I social sono una maledizione”
La stessa cosa si sta vedendo in questi giorni in Turchia. Il primo ministro Tayyip Erdogan ha definito i social media “la maledizione della società odierna”, nonostante siano proprio queste piattaforme a permettere al mondo di seguire le violenze governative nei confronti dei manifestanti timorosi di un ritorno della legge islamica nel Paese.
Le proteste
Tutto è iniziato il 27 maggio quando un gruppo di ambientalisti si era accampato in una delle piazze principali di Istanbul per protestare contro la distruzione del parco Taksim Gezi per far spazio a un centro commerciale. La protesta pacifica, che intendeva ricalcare quella utilizzata dal movimento “Occupy Wall Street”, è poi degenerata a causa dell’intervento della Polizia. In pochi giorni sono stati arrestati 1.700 manifestanti e si sono registrati tre morti.
Il ruolo di Twitter
Visto che i media turchi si sono disinteressati delle proteste che lacerano il Paese, l’unico modo per i cittadini per esprimersi ed essere informati rimangono i social network. Su Twitter agli hashtag #occupygezi, #istanbul e #turkey i manifestanti tengono aggiornamenti in diretta sulle violenze nelle strade. Persino Anonymous, che ha violato il Viminale per svelare “i tentacoli del potere”, è intervenuto in difesa della democrazia con attacchi informatici mirati agli organi di governo (#OpTurkey). Intanto in Turchia le proteste continuano.