Italians don’t do it better

La rivista Technology Review dell’MIT ha analizzato le cinquanta industrie mondiali che innovano di più: nessuna è italiana

 

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È triste che gli imprenditori privati innovino meno delle strutture pubbliche. Gli incentivi non funzionano. «Se non innovate, le vostre aziende muoiono»! È questo il monito da diffondere. Lo ripeto da anni, ma nessuno ascolta o sembra capire veramente. Stranamente, domenica due marzo, sono invitato dalla trasmissione Unomattina in onda su Rai1, per chiedere che vengano reintegrati nelle scuole gli insegnamenti di geografia e storia dell’arte che sono stati menomati dalla riforma Gelmini. Certo, è un bene insegnare storia dell’arte. Scienza e tecnica non vengono insegnate male nelle scuole medie e superiori – però – sono latitanti e assenti nei giornali o nei palinsesti della tv generalista e della radio. L’attenzione del pubblico è distratta da cose minime e inessenziali.

«L’Italia non aiuta l’industria». Il presidente di Confindustria Sergio Squinzi lo ripete da tempo. Punta l’indice contro le imposte eccessive e i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. Il j’accuse del numero uno di Confindustria è comprensibile, ma che cosa fa la nostra industria per ringiovanire? La Technology Review del Massachusetts Institute of Technology ha stilato la classifica delle industrie più innovative del mondo. Il criterio era semplice e preciso: scegliere aziende che negli ultimi 12 mesi hanno sviluppato, con successo, tecniche nuove così importanti da ridefinire interi settori di attività. È significativo che non compaiano aziende come Apple o come Facebook. Ma quante sono le industrie italiane presenti nella classifica di Technology Review? Nessuna. E allora vien da pensare che le nostre aziende non possono attendere che venga loro offerto su un piatto d’argento un Paese normale. Dovrebbero impegnarsi loro – qui e ora – a innovare se stesse, aumentando anche gli investimenti in ricerca e sviluppo. Il governo, gli scienziati e gli accademici dovrebbero poi incoraggiarle e aiutarle. Solo così, il circolo diventerebbe virtuoso. E il Paese normale.

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Campioni di innovazione 

La classifica di Technology Review è significativa. Al primo posto c’è Illumina, fondata nel 1998 a San Diego, California. Produce macchine per identificare le sequenze del genoma, crea software e offre servizi. La genialità dell’azienda? Ridurre drasticamente i costi.

Al secondo posto della classifica c’è Tesla Motors, che si prefigge un obiettivo ambizioso: far diventare l’automobile elettrica un oggetto di normale uso quotidiano. Al terzo posto, Google, già ampiamente nota per il suo motore di ricerca. Al quarto posto, Samsung, che ha una quota del 32% del mercato degli smartphone. In quello che un tempo era solo un telefonino, ora abbiamo un computer, un comunicatore, un registratore di immagini e video, un telecomando, una connessione con ogni sorta di realtà virtuali. Al seguito delle prime quattro, tutte le altre industrie più innovative, tra le quali segnaliamo: Bmw che nel 2020 dovrebbe produrre auto self-drive; Amazon al primo posto nell’e-commerce di libri e altro; Wal-Mart che dai supermercati sta passando all’e-commerce. E ancora, General Electric, Qualcom, Siemens e IBM che con il sistema Watson realizzerà simbiosi mentali uomo-computer.