Appuntamento con l’app

La nuova sfida dei modelli smartphone e tablet nei contesti applicativi aziendali

L’incredibile affermazione sul mercato delle piattaforme smartphone, soprattutto in termini di adozione da parte di utenti individuali, ha dato la stura al trascinante fenomeno della consumerizzazione, che sta spingendo verso una crescente ibridizzazione dei dispositivi utilizzati dalle persone nella loro duplice veste di lavoratori sempre più mobili e privati cittadini dediti a ogni sorta di attività di svago e occupazione del tempo libero.

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I modelli consolidati della microinformatica e della informatica distribuita escono profondamente trasformati dall’integrazione dei dispositivi “personali” nell’ambiente di lavoro, andando a impattare anche sulla industria del personal computer. Per le aziende, la sfida può essere duplice. C’è la vitale esigenza di venire subito incontro all’implicita richiesta di una clientela esterna che si serve quotidianamente di tablet e smartphone e si aspetta che anche il mondo dell’impresa privata e della pubblica amministrazione adotti gli stessi linguaggi anche in termini di accesso alle informazioni e fruizione dei servizi erogati.

Ma accanto a tutto questo si verifica una autentica rivoluzione nei modelli interni di accesso alle risorse software applicative. Modelli che sono ormai ampiamente condizionati dalla popolarità del concetto di app – le piccole applicazioni specializzate, spesso monofunzione – che sembra prendere il posto, anche in contesti lavorativi e professionali, di quell’idea monolitica, plurifunzionale, del software applicativo in senso “classico”.

Le implicazioni per i responsabili tecnologici di una azienda sono enormi, perché aziende e amministrazioni dovranno affrontare il problema dell’introduzione della cultura delle app e dei loro dispositivi, in ambienti di sviluppo e lavoro che possono essere molto avanzati sul piano tecnologico, ma che sono anche relativamente “conservatori”. Se è facile immaginare un progressivo ingresso dell’uso delle app anche in contesti aziendali, in che misura sarà possibile adeguare o addirittura far migrare interi ambienti applicativi strategici in una realtà tattica come quella delle app? Ma soprattutto: è auspicabile e vantaggioso?

Superamento del paradigma client/server

È possibile il superamento del tradizionale paradigma client/server (basato sulla stretta interazione di un pc o di un thin client con una complessa applicazione residente sul server), verso le nuove modalità dei servizi erogati attraverso le app? E quali sono i servizi e le funzioni più adatte alla cosiddetta “appificazione” e con quale impatto sulle procedure in essere? Il primo a rispondere è Gregorio Piccoli, responsabile tecnologie di sviluppo Zucchetti (www.zucchetti.it). «La diffusione esponenziale di dispositivi mobili come smartphone e tablet rende inevitabile la transizione dal client/server a un nuovo paradigma che possa sfruttare la disponibilità di un piccolo calcolatore, strettamente personale, da parte di ogni utente e in qualsiasi momento della giornata.

Le app rispondono a questi vincoli: potenza di calcolo ridotta, semplicità d’uso e compatibilità con il device dell’utente, il concetto espresso dall’acronimo BYOD». Nelle applicazioni gestionali, prosegue però Piccoli, è inevitabile che le singole app siano solo la punta dell’iceberg di un sistema più vasto che comprende anche i sistemi “tradizionali” client/server. Non si può, insomma, pensare a un contesto di completa sostituzione. «Le app, anche se potranno funzionare off-line, “comunicheranno” e scambieranno dati con il resto del sistema aziendale. In Zucchetti, stiamo dando la precedenza alle app che riguardano le soluzioni gestionali, ad esempio per controllare lo stato di un ordine, il pagamento di una fattura, la presenza di un prodotto a magazzino e così via».

Per Francesco Stolfo, direttore commerciale di Toolsgroup (www.toolsgroup.it) il tema è effettivamente molto “caldo” e proprio su questo tema l’azienda milanese (filiale di un gruppo che ha il suo quartier generale europeo ad Amsterdam) sta lavorando con particolare attenzione. «I mezzi d’interazione sono diversi, così come è diverso il loro contesto d’uso rispetto ai più “tradizionali” pc anche nel settore della pianificazione delle attività commerciali e della supply chain che sono i settori nei quali operiamo normalmente – sostiene Stolfo. L’uso di app sarà sempre più diffuso e per questo abbiamo cominciato a rilasciare soluzioni per tablet: a partire da cruscotti di controllo delle attività aziendali fino a procedure collaborative (per esempio la demand collaboration) per le quali l’apprendimento all’uso deve essere per forza molto rapido per l’utente anzi, direi decisamente intuitivo. Questa rivoluzione costringerà i vendor di soluzioni a favorire l’aspetto della semplicità di interazione alle proprie soluzioni. Questo significa avere motori di calcolo e di analisi molto potenti e in grado di funzionare in modo automatico (indipendentemente dal tipo di piattaforma usata e dal volume di dati da analizzare). Non a caso, abbiamo tradotto la nostra strategia per questo decennio nello slogan “Powerfully Simple”, che cerca proprio di seguire le ultime tendenze».

Il paradigma del Byod è di sicuro un acceleratore verso la trasformazione delle aziende in ottica mobile, dichiara Davide Albo, mobile consultant Software Group di Ibm Italia (www.ibm.com). «L’utilizzo di alcune applicazioni basilari come la posta elettronica, la compilazione del cartellino orologio o le app di autorizzazione per approvare le ferie si sono dimostrate più efficaci di quelle tradizionali perché riescono a migliorare e velocizzare processi che poco tempo fa richiedevano la presenza assoluta di un pc collegato a una rete. Nel prossimo futuro si prevede un graduale passaggio delle principali applicazioni d’ufficio sui dispositivi mobili. Si può immaginare come possa migliorare il lavoro delle forze di vendita, con la possibilità di attingere a informazioni relative ai propri asset aziendali per richieste in tempo reale che hanno bisogno di rapidi riscontri».

Per quanto riguarda quali possano essere i servizi più adatti a essere fruiti attraverso le app, Davide Bastianetto, direttore sviluppo prodotto di Reitek (www.reitek.com) è convinto che si tratti, per definizione, di quei servizi che l’utente ha interesse a consultare in mobilità. «In treno, metropolitana, al lavoro o in vacanza. Per questo – aggiunge Bastianetto – diventano molto utili funzionalità offerte dai device mobili come la geo-localizzazione, la possibilità di scattare foto, la condivisione sui social network. È importante sottolineare che le app devono risultare piacevoli e utili all’utente, perché sono poche quelle che vengono mantenute sul device per lungo tempo. La maggior parte delle app vengono disinstallate subito o semplicemente abbandonate. I più comuni servizi messi a disposizione sono di tipo informativo, caratterizzati da bassa complessità e facile automatizzazione. Sono in sviluppo, ma ancora pochi, i servizi di tipo dispositivo».

Conclude questo primo giro di pareri Andrea Nava, PM Emea, technical director regional di Compuware (it.compuware.com), il quale sembra essere molto d’accordo con Gregorio Piccoli (Zucchetti). «Attualmente, più che di un superamento assoluto del paradigma client/server parlerei di un affiancamento a esso di nuovi paradigmi di erogazione e fruizione per rendere più agile l’organizzazione nel rispondere alle richieste dei clienti e affrontare le sfide di business» – sottolinea il manager di Compuware.

«La specializzazione delle app, la disponibilità in modalità as a service (SaaS) nel cloud, i contesti di lavoro in mobilità, rendono lo scenario più dinamico e articolato. Gli ambiti aziendali che per primi hanno trasformato i modelli software interni sono stati il customer care, il retail, la sales force e la workforce, contesti nei quali è sicuramente più semplice la transizione verso applicazioni aziendali per automatizzare in mobilità processi organizzativi e di business  come, per esempio, Crm, Bi, logistica, supply chain, Hr».

Requisiti e competenze per il cambiamento

Quali sono invece i requisiti tecnologici e le competenze necessarie per questo cambiamento di modello? Bisogna necessariamente partire dalla fase intermedia delle web application e dei web service o è possibile migrare verso le app anche le applicazioni convenzionali, legacy? E come reclutare – internamente o in collaborazione con i consulenti esterni – le skill necessarie in termini di progettazione, sviluppo, testing e messa in sicurezza?

Gregorio Piccoli racconta che in questo senso Zucchetti può essere considerata un pioniere. «Abbiamo precorso molto i tempi, perché a partire dal 2006 abbiamo riscritto tutti i nostri applicativi in tecnologia web. Questo progetto, denominato “Infinity Project”, che comprende anche gli strumenti di sviluppo, ci ha permesso di realizzare progressivamente un’offerta completa in ottica web nella quale si possono facilmente innestare delle app, sviluppate in Html5, per supportare al meglio l’utilizzo degli applicativi in mobilità. Per le soluzioni Zucchetti – conclude Piccoli – l’obiettivo è formare le competenze internamente sia per i nostri dipendenti sia per i nostri partner, affinché la rete distributiva sia in grado di sviluppare in piena autonomia delle app su misura per soddisfare qualsiasi richiesta dei clienti finali».

«Le web application e i web service rappresentano una fase storica dell’evoluzione e non sono il punto di arrivo – afferma Francesco Stolfo di Toolsgroup. Per seguire il cambiamento è necessario guardarsi intorno per avere a disposizione due tipi di competenze indispensabili: risorse in grado di trasferire i vecchi paradigmi e di trasformarli nei nuovi, usando i nuovi mezzi (sono in genere le nuove skill per progettazione, sviluppo, testing, non sempre disponibili internamente) e risorse in grado di sfruttare i nuovi mezzi e le informazioni che possono essere veicolate per potenziare il loro uso e essere molto, molto più efficaci rispetto a ieri. Un esempio per tutti è il tema di come trattare i big data e il tipo di strumenti di analisi da usare per intercettare valore aggiunto da tanti e così eterogenei dati. Le competenze diventano talmente specifiche che difficilmente potremo pensare a sole strutture di R&D indipendenti».

Per Davide Albo di Ibm è altrettanto chiaro che il passaggio di queste soluzioni sul canale mobile richiede una trasformazione accurata che impegna l’intero ciclo di vita dell’IT. «Si consideri che una app poco efficiente o troppo complessa nel suo utilizzo non verrà mai utilizzata, perché un utente abituato a operare sul proprio pc pretende di ottenere gli stessi risultati o addirittura migliori. Non si può neppure pretendere di poter adattare sistemi enterprise al canale mobile. Al contrario, si può optare per sistemi che operano in modalità SOA (service-oriented-architecture) o che utilizzano un’infrastruttura software di tipo enterprise service bus, che possono rapidamente dialogare con i device mobili in maniera flessibile e con investimenti più contenuti». Secondo Davide Albo, il variegato panorama di piattaforme mobile non aiuta a comprendere quale strategia adottare per poter contenere gli investimenti in questo mercato. «Quindi l’adozione di una piattaforma può servire a semplificare e a razionalizzare questa trasformazione, stabilendo requisiti “universali” e proponendo un modello controllato dell’intero ciclo di vita. Ibm MobileFirst ne è l’esempio e fornisce un percorso strategico e condiviso all’interno delle aziende in modo da industrializzare le varie fasi del ciclo di vita».

Davide Bastianetto di Reitek, osserva che per un’azienda che si avvicina per la prima volta al mondo delle app, è importante operare parallelamente sia in ambito interno, facendo crescere il know-how specifico delle proprie strutture IT e sviluppo software, sia in ambito esterno, affidandosi anche a consulenze di provata esperienza. «Sono molti gli aspetti da considerare, dalla percezione dell’utente finale (che si aspetta sempre che una app sia “sexy”) alle attività relative all’Mdm (mobile device management) e Mam (mobile application management). Tra tutti l’aspetto più importante è probabilmente il cambio di mentalità, perché, ad esempio, da una app aziendale l’utente si aspetta la stessa coinvolgente user experience delle altre app -magari non professionali – che è abituato a utilizzare».

Infine, Andrea Nava di Compuware ribadisce che i requisiti e le competenze risiedono nel circolo virtuoso che caratterizza l’applicazione. «Prima di tutto, deve essere gestita centralmente, definendo policy di accesso e fruizione, deve essere messa in sicurezza e deve avere accesso ai dati in locale ed essere nativa sul sistema operativo del device utilizzato. Un requisito fondamentale, a monte della migrazione, è garantire che la catena del servizio non sia interrotta, implementando un monitoraggio end to end delle prestazioni dell’applicazione per ottenere una visibilità completa e un controllo proattivo di quanto è erogato. La soluzione APM di Compuware consente una visione unificata dell’intera catena di delivery dell’applicazione, ponendo al centro l’esperienza dell’utente finale».

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